Stalking: sono sufficienti messaggi o post dal contenuto ingiurioso o minaccioso
“[…] per configurare il reato di stalking non è necessaria una persecuzione di tipo fisico ma anche l’utilizzo di un social network può integrare la persecuzione e molestia di una persona”, lo ha detto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14997/2012, assumendo una posizione rigorosa in merito ai comportamenti molesti punibili.
Cosa è il reato di stalking?
Il reato di atti persecutori, comunemente detto stalking, è entrato a far parte nel nostro ordinamento con il d.l. n. 11/2009 che ha introdotto l’art. 612-bis c.p., il quale punisce chiunque “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita“.
Chi sono i soggetti tutelati?
La norma, oltre a preservare la vittima oggetto delle molestie, estende la propria protezione anche a tutti coloro che sono legati alla stessa da rapporti di parentela o da relazioni affettive (…di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione…).
Per quanto attiene al bene giuridico protetto il reato di atti persecutori tutela innanzitutto la libertà morale.
La fattispecie incriminatrice mira a tutelare, inoltre, i beni giuridici dell’incolumità individuale e della salute, nonché, la tranquillità psichica e la riservatezza dell’individuo.
Dalla lettera dell’art. 612-bis c.p., si evince che lo stalking è un reato comune che può, dunque, essere commesso da chiunque, anche da chi non abbia alcun legame di sorta con la vittima, senza presupporre l’esistenza di legami specifici con la vittima.
Elemento costitutivo, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 612-bis c.p., è innanzitutto, la reiterazione delle condotte persecutorie, idonee a cagionare nella vittima un “perdurante e grave stato di ansia o di paura“, a ingenerare un “fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva” ovvero a costringerla ad alterare le “proprie abitudini di vita“.
Occorre sottolineare come la giurisprudenza abbia ritenuto atti persecutori idonei ad integrare il delitto di atti persecutori anche comportamenti che non necessitano della presenza fisica dello stalker, come: l’invio di sms, e-mail e messaggi tramite internet, nonché la pubblicazione di post o video a contenuto ingiurioso, sessuale o minaccioso sui social network (Cass. n. 14997/2012).
Per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato è sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia con la consapevolezza della loro idoneità a produrre taluno degli eventi descritti nella stessa (Corte Cost. n. 172/2014; Cass. n. 20993/2012; Cass. n. 7544/2012).
Occorre, tuttavia. che le medesime condotte siano idonee a cagionare uno dei tre eventi previsti dalla norma:
– quanto al “perdurante e grave stato di ansia o di paura” sofferto dalla persona offesa, l’orientamento della giurisprudenza ritiene che, ai fini della sussistenza del reato de quo, è sufficiente che gli atti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima;
– quanto al “fondato timore per l’incolumità“, la giurisprudenza ha chiarito che ogni condotta, minacciosa o aggressiva, anche laddove rivolta verso cose e non verso la persona, può integrare il reato di atti persecutori, a patto che, per le modalità di attuazione e la cadenza temporale in cui si è sviluppata, sia idonea a cagionare concretamente uno dei tre eventi richiesti dalla fattispecie (Cass. n. 8832/2011);
– quanto concerne l’alterazione delle “proprie abitudini di vita“, deve intendersi, quel “complesso di comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretto a mutare a seguito dell’intrusione rappresentata dall’attività persecutoria, mutamento di cui l’agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato per l’appunto punibile solo a titolo di dolo” (Corte Cost. n. 172/2014).
Con riferimento al regime di procedibilità, il delitto di regola è punito a querela della persona offesa.
Il termine per proporre querela è di sei mesi e inizia a decorrere dalla consumazione del reato, che coincide con l’evento di danno consistente nella alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante stato di ansia o di paura, ovvero con l’evento di pericolo consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto.
Il reato diventa procedibile d’ufficio nelle ipotesi delle aggravanti di cui al terzo comma (se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici) e in particolare nei confronti di un minore o di persona con disabilità ex art. 3 l. n. 104/1992, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si procede d’ufficio.