Salar De Uyuni
Benché dispiaciuta di lasciare la terra Argentina percepisco che sta per iniziare il vero viaggio, quello che mi consentirà di scoprire quel pezzo d’America che mi riporterà alle origini. L’isolamento di alcuni villaggi andini ha consentito ai popoli che li abitano di mantenere inalterate le loro tradizioni e credenze religiose. Il primo confine che attraverso a piedi, è quello con la Bolivia; procedendo verso gli altipiani andini mi si offre alla vista un paesaggio sempre meno ricco di flora e fauna, ad eccezione di sparuti branchi di timide vigogne.
Finalmente la solitudine è finita, mia figlia Erica è con me, sono felice per la sua compagnia, ma inquieta per eventuali rischi. Durante una breve sosta a Tupiza per riposare una protesta popolare non ci consente di visitare le aspre e selvagge “quebradas” della “Cordillera de Chicas”. I rivoltosi bloccano la strada principale, così, con una vecchia Jeep è stato possibile aggirare l’ostacolo attraverso una pista posta all’interno di una fiumara in secca.
La Bolivia è un luogo abbastanza sicuro, purtroppo è un Paese molto povero e periodicamente, nonostante che il presidente Evo Morales, sia lui stesso un “campesinos”, scoppiano piccole rivolte popolari, che non vanno oltre al lancio di qualche sasso. Con un percorso tortuoso raggiungiamo la città di Uyuni, qui alloggiamo in una struttura semplice ma confortevole.
Al risveglio la cittadina si presenta ai nostri occhi come un luogo surreale, con strade polverose battute da venti gelidi e da un sole accecante, che non riscalda, situata a 3665 m., punto d’incontro di antiche linee ferroviarie provenienti dall’Argentina e dal Cile.
La prima tappa è il Salar de Uyuni, o “Salar de Tunupa”, nome di un’antica divinità Ayamará.
In quest’immensa distesa bianca scorgo numerose isole, che come in un miraggio sembrano non toccare il suolo. Ci fermiamo all’Isla de Inkahuasi, luogo di sosta per gli Inca, durante i loro spostamenti. Ben visibile il Volcan Tunupa, alto 5200 metri, i depositi eruttivi del passato determinano delle sfumature che vanno dal grigio biancastro al rosso mattone fino all’ocra.
Lungo il percorso s’incontrano gli “Ojos de Sal”; la mia ombra si riflette sul suolo da cui filtra l’acqua, qui sono riuscita a realizzare un suggestivo scatto fotografico. L’origine di questo luogo è quello di un antico mare, che si è prosciugato con l’innalzamento delle Ande. Le isole si presentano rocciose con numerosi fossili marini e ricoperte da giganteschi cactus che producono dei dolci e gradevoli frutti i “pasakana”. Camminando sull’isola Inkahuasi nascosto tra le rocce, intravedo un Vizcacha, si tratta di un roditore verdastro con grandi orecchie simile ad un coniglio.
Lasciamo il Salar con un tramonto mozzafiato, percepisco una forte emozione dovuta al “Nulla” di questo luogo; purtroppo ho esaurito il rullino e ogni qualvolta accade qualcosa che non mi consente lo scatto, segue la certezza di un mio ritorno, ci sono luoghi che ci tengono legati e non solo con il ricordo ma con qualcosa che non si riesce a spiegare con le parole.