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Rapporto Eurispes: sono anni che il Nord depreda il Sud

La “questione meridionale” affonda le sue radici nel 1873 quando, per la prima volta, Antonio Billa volle definire così la disastrosa situazione economica del Sud rispetto alle altre regioni d’Italia. Ancora oggi la questione è quanto mai aperta. Non passa anno che il problema del Meridione torni alla ribalta; esce allo scoperto come uno scheletro dall’armadio, un problema antico e pur sempre attuale. Ipotetiche soluzioni, promesse da campagna elettorale, che restano tali tra un governo e l’altro. Così in piena crisi sanitaria, economica e sociale, mentre siamo segregati in casa, se ne torna a parlare con toni quanto mai accesi. Un Sud fanfarone, arretrato, che non produce, senza industrie. Qualcuno asserisce che lo stesso Coronavirus si sia sviluppato più rapidamente al Nord perché “lì la gente c’ha voglia di lavorare”, come se al Sud si stesse sempre con le mani in mano. C’è anche chi propone di avviare la “Fase 2” partendo dal Nord perché è lì che sono le fabbriche, lì si lavora e si fa il Pil dell’Italia. Ormai, nell’immaginario di propaganda “nordista”, il meridione è visto come un parassita che si ciba, a piene mani, della ricchezza del Nord; depaupera beni, una zavorra, una zecca attaccata ad un cane di razza che da troppo tempo “ciuccia” sangue.

Parole dure pronunciate, negli ultimi giorni, anche dal Direttore di “Libero” Vittori Feltri in merito ai continui screzi sulla gestione emergenziale tra le regioni: “Manca soltanto la Lombardia per creare una frattura tra le due Italie divise da una antipatia reciproca che si era sopita e che le polemiche sul virus hanno risvegliato in modo drammatico. Attenzione, manutengoli ingordi -, parlando delle regioni del Sud – a non tirare troppo la corda poiché correte il pericolo di rompere il giochino che fino ad ora vi ha consentito di ciucciare tanti quattrini dalle nostre tasche di instancabili lavoratori. Noi senza di voi campiamo alla grande, voi senza di noi andate a ramengo. Datevi una regolata o farete una brutta fine, per altro meritata”.

Non si comprende perché il Sud meriti una brutta fine, sembra quasi debba diventare il capro espiatorio per ogni sorta di problema economico che affligge il “bel paese”. Eppure, tralasciando la propaganda, attenendoci ai fatti ed ai numeri, tanto in voga oggi, la realtà sembra ben diversa. A rammentare al Nord che senza il Sud difficilmente potrebbe fare la voce grossa, fornendo dati ben dettagliati, è proprio Gian Maria Fara, direttore dell’Eurispes. Spiega Fara nel rapporto 2020: «Sulla questione meridionale, dall’Unità d’Italia ad oggi, si sono consumate le più spudorate menzogne. Il Sud, di volta in volta descritto come la sanguisuga del resto d’Italia, come luogo di concentrazione del malaffare, come ricovero di nullafacenti, come gancio che frena la crescita economica e civile del Paese, come elemento di dissipazione della ricchezza nazionale, attende ancora giustizia e una autocritica collettiva da parte di chi – pezzi interi di classe dirigente anche meridionale e sistema dell’informazione – ha alimentato questa deriva. All’interno di questo Rapporto si trova una descrizione della vicenda meridionale ricca di dati e di informazioni prodotti dalle più autorevoli agenzie nazionali ed internazionali che certificano come siamo di fronte ad una situazione letteralmente capovolta rispetto a quanto comunemente creduto».

Siamo nel 2016, neanche troppo lontani dai giorni nostri, lo Stato italiano ha speso, riporta l’Eurispes, 15.062 euro pro capite al Centro-Nord e 12.040 euro al Meridione. Conti alla mano ciascun cittadino meridionale ha ricevuto in media 3.022 euro in meno rispetto ad un suo connazionale residente al Centro-Nord. Nel 2017 si rileva un’ulteriore diminuzione della spesa pubblica al Mezzogiorno, -0,8%, pari a 11.939 pro capite, mentre al Centro-Nord si riscontra un aumento dell’1,6%, 15.297 euro, rispetto all’anno precedente. La realtà che emerge da questi dati è ben diversa da quanto viene puntualmente diffuso e che, nell’immaginario collettivo, vorrebbe un Sud “inondato” di risorse finanziarie pubbliche sottratte al Centro-Nord.

Ricordiamo al Direttore Feltri, ed a chi come lui creda ancora che il Sud abbia sempre “rubato” ricchezza al Nord, che dal 2000 al 2007 le otto regioni meridionali sono quelle che occupano i posti più bassi della classifica per distribuzione della spesa pubblica. Nello stesso periodo, però, tutte le casse delle regioni del Nord Italia sono state riempite dallo Stato di un quantitativo di spesa annua nettamente superiore alla media nazionale.

Se della spesa pubblica totale si considera la fetta che ogni anno il Sud avrebbe dovuto ricevere in percentuale alla sua popolazione emerge che, complessivamente dal 2000 al 2017, la somma corrispondente sottrattagli ammonta a più di 840 miliardi di euro netti (in media, circa 46,7 miliardi di euro l’anno). Lo Stato è un Robin Hood alla rovescia che toglie al povero ed arretrato sud, per dare al ricco ed industrializzato nord, un paradosso.

Inoltre la realtà italiana in termini di consumi e di export pone innanzi un’altra “strana” verità. Il Pil del Nord Italia è per lo più generato dalla vendita dei prodotti al Sud, un valore ben più alto rispetto all’export di prodotti all’estero, esattamente l’opposto di quel che accade al Sud che, a sua volta, nei confronti dello scambio di prodotti con il Nord mostra valori in forte perdita, complice anche la politica di import che, ormai da decenni, vede il Sud fortemente penalizzato.

La situazione di import-export interna all’Italia, tutta a vantaggio del Settentrione, è resa possibile, paradossalmente, proprio da quei tanto discussi trasferimenti giungenti da Nord a Sud, come frutto delle tasse pagate dal Settentrione. Se questi ultimi infatti fossero oggi annullati, o semplicemente ridotti, il primo a farne le spese sarebbe proprio il Nord, subendone le conseguenze peggiori.

A conti fatti, a fronte dei 45 miliardi di euro che ogni anno si sono spostati da Nord a Sud, ve ne sono stati altri 70,5 miliardi che hanno compiuto il percorso inverso.

Ciò che viene fuori da questi dati smentisce la performance negativa descritta per queste regioni; discorso diverso va fatto sull’efficacia della spesa, ovvero l’impatto diverso che questa avrà sui territori. Conclude Il Presidente dell’Eurispes: «Dunque, ogni ulteriore impoverimento/indebolimento del Sud si ripercuote sull’economia del Nord, il quale vendendo di meno al Sud, guadagna di meno, fa arretrare la propria produzione, danneggiando e mandando in crisi così la sua stessa economia». Pertanto sarebbe bene ricordare a chi ha descritto, e continua a farlo con mendaci illazioni, il Sud come una sanguisuga attaccata al corpo di un prestante Nord, che dovrebbe rivedere le sue posizioni o, quantomeno, evitare di divulgare false informazioni. Questo infatti non solo è fuorviante per il lettore, ma anche poco opportuno visto il periodo storico che stiamo vivendo. Sarebbe bene adoperarsi affinché si ponga la parola fine alla questione meridionale, poiché le continue divisioni e le politiche economiche attuate, dall’unità d’Italia ad oggi, hanno ulteriormente aggravato tale condizione. Cosa sarebbe accaduto se il tessuto produttivo ed industriale fosse stato uniforme? Come si sarebbe potuta affrontare questa crisi? Forse l’Italia sarebbe potuta essere più competitiva sui mercati e, a posteriori, la diversa distribuzione di contagi tra Nord e Sud avrebbe potuto non paralizzare la produzione Italiana, oggi ferma “al palo”.

La previsione sul Pil è infatti tutt’altro che rosea, i dati parlano di una perdita del 20% nel primo semestre del 2020 che si sarebbe potuto mantenere a livelli più accettabili, evitando di mettere in cassa integrazione milioni di lavoratori e costringendo alla canna del gas migliaia di aziende, se solo si fosse posto il giusto peso alla “questione meridionale”, ma questa è un’altra storia.

Foto: La Sicilia sbranata, disegno di Michelangelo Pinto

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