Malpertuis
“Devo presentare Malpertuis ed eccomi colto da una strana impotenza. L’immagine si dilegua come il castello di fata Morgana; il pennello diventa di piombo tra le dita del pittore; tante cose, che vorrei fissare con una descrizione o una definizione, sfuggono, diventano vaghe e svaniscono nel nulla.” (Jean Ray: MALPERTUIS, pagina 36. Mondadori – Urania Horror – dicembre 2016 – Trad. Marianna Basile. Pagg. 163)
Malpertuis è una magione immensa, avvolta, all’interno, da una perenne semioscurità che i lumi e le candele, disseminati qua e là, stentano a rischiarare. Questa sua peculiare ombrosità sembra racchiudere inquietanti presenze.
In essa si ritrovano l’enigmatico Quentin Moretus Cassave, in punto di morte, e un’accozzaglia variegata di parenti, conoscenti e servitori ai quali andranno le sue incommensurabili ricchezze, a patto che essi si stabiliscano definitivamente a Malpertuis.
Sin dall’inizio si comincia ad intuire che fra questo gruppo di persone che si trovano a convivere forzatamente per amore del denaro si celano, in sembianze umane, anche le incarnazioni di entità forse dall’antichissimo retaggio…
Ritorna il capolavoro di Jean Ray, al secolo Raymond Jean Marie De Kremer, (pubblicato nel 1943 arriva in Italia, per i tipi della Sugar, nel 1966, poi edito da Mondadori nel 1990, la quale lo ripropone adesso dopo 26 anni), il grande scrittore belga da molti definito il Lovecreft europeo. Purtroppo in Italia quest’autore, assai prolifico, è pressoché sconosciuto.
Nato nel 1887 a Gand, in Belgio, vi muore nel 1964. E’ il classico esempio di “scrittore nato”, col suo modo “sanguigno” e naturalissimo di narrare a me ha sempre ricordato un Robert E. Howard un pò più sofisticato. Certe tematiche lo accomunano a H.P. Lovecraft ma questo perché entrambi gli scrittori, che erano sconosciuto l’uno all’altro, erano grandi ammiratori, e ne traevano ispirazione, di William Hope Hodgson. I due autori, però, sono sostanzialmente diversi. Il tema principale di Lovecraft era l’orrore soprannaturale, raccontato con uno stile volutamente retrò (era affascinato dal secolo precedente), Ray è più interessato alle radici della mitologia classica (preolimpica), mediata da un approccio moderno. Infatti, anche se inserito da Mondadori in una collana dal titolo “horror”, lo scrittore belga è etichettato propriamente come “weird” (strano, bizzarro, termine che sottintende la compenetrazione fra quello che definiamo reale e gli elementi dell’ ignoto, che ne costituiscono l’altro aspetto). Infatti, nel “weird”, gli avvenimenti sopramondani non generano sempre repulsione, orrore, ma possono trasudare fascinazione e diventare anche fonte di incantata curiosità: irretiscono con una forza che nasce dal loro “senso del meraviglioso”:
“Non osavo confessare che, dal mio ritorno alla vita, mi era venuta a mancare l’eccitante sensazione delle tenebre, dell’angoscia e persino della paura stessa.”
“Avrei dato volentieri tutto lo iodio e tutto il sale del mare, effluvi della vita stessa, per il tanfo di morte che regnava a Malpertuis!”
(Malpertuis, op. cit. pagina 101)
Un altro aspetto del libro su cui mi soffermerei è l’accenno, tramite la raffigurazione dei personaggi, di quei vizi, manie e ipocrisie che caratterizzano la vita della provincia (fiamminga in questo caso, ma che è possibile ritrovare dappertutto) in generale e della borghesia in particolare (e, comunque, dell’essere umano in quanto specie). Tant’è che, come si accorto qualche critico più attento, il vero “orrore” forse non sono quelle “…povere creature…”(Malpertuis, op. cit, pagina 140), ma proprio la falsità, il finto perbenismo, la mancanza di fantasia, l’ambiguità di un humus sociale che genera mostri più letali di quelli immaginari.
Da questo romanzo fu tratto, nel 1971, regista Harry Kumell, un film di stampo volutamente onirico (nominato per la Palma d’oro al festival di Cannes nel 1972), con Orson Wells nella parte di Cassave, in cui si pone l’accento sulla contrapposizione della piattezza dell’esistenza quotidiana con il destarsi della meraviglia causato dall’irrompere del mito. E’ inutile dire che la pellicola non ebbe fortuna in Italia, dove non fu capita.