Storie di Sicilia

Il cono craterico del Neck di Motta Santa Anastasia

La struttura geologica su cui si sono insediate le diverse comunità di cui abbiamo notizie storiche a partire dal XIII secolo a.C., ma che, con molta probabilità, dovettero essere presenti già dal XIII millennio a.C., è costituita da uno o, come sostiene qualcuno, due coni vulcanici sottomarini, emersi contestualmente al graduale formarsi dell’Etna a partire dalla presumibile data di 600.000 anni fa. La prima comunità insediatasi nel sito dell’odierna Motta Santa Anastasia nel XIII secolo a.C. fu Inessa, rinominata Aitna nel 461 allorchè gli abitanti di Corinto che avevano colonizzato Katana dopo la conquista da parte di Siracusa nel 476 a. C. furono scacciati da Ducezio e si insediarono ad Inessa, rinominata Santa Anastasia tra il VI ed il VII secolo, rinominata La Mota de Santa Anastasia all’inizio del XIV secolo. La nascita del Neck avviene per effetto della prima attività eruttiva sub-etnea, anteriore alla nascita dell’Etna, datata a  circa 600.000 – 550.000 anni fa, per cui si formò un cono craterico sottomarino che, gradualmente, nei milleni successivi emerse dalle acque marine, così come il restante territorio dell’odierna Motta Santa Anastasia, venendo successivamente eroso, nelle parti composte da arene e argille dai venti e dalle acque piovane, per dare vita all’imponente Neck che possiamo vedere nella sottostante foto: rarità geologica di cui esistono solo pochissimi esempi nel resto del mondo, oggetto purtroppo di eventi dovuti alla natura ed alla mano dell’uomo che ne mettono a repentaglio la tutela e la conservazione.

Il Neck di Motta Santa Anastasia in una foto degli anni ’60 dopo una delle rare nevicate

Il problema della individuazione del sito ove si trova il condotto craterico del Neck di Motta Santa Anastasia fu, a suo tempo, affrontato dal  Prof. Carlo Gemmellaro nella “ La vulcanologia dell’Etna” sulla base degli studi condotti all’inizio ed intorno alla metà dell’800. Nell’esaminare il sistema vulcanico dell’Etna il Prof. Gemmellaro  esaminò con molta attenzione la rupe di Motta Santa Anastasia, fornendone un’accurata descrizione geologica, che di seguito riportiamo: “ In mezzo ad una formazione terziaria di gres ed argilla, che forma i colli della Motta e delle Terreforti di Catania, si eleva isolata dagli altri vulcani la rupe basaltica di Motta, che non sembra avere rapporto con le altre lave dell’Etna, avendo tutte le apparenze di un vulcano indipendente dal gran focolare. Nella parte superiore si osservano i vestigi ed i materiali di un cratere, ed un pissolo corso di lava, che da quello dovette provenire; del quale una porzione resta nel lato di ponente, essendo il rimanente sparso insieme alla collina che lo sosteneva, nelle valli del terreno dei dintorni, per la forza delle acque, che han solcato tutta quella estesa parte della più volte cennata formazione terziaria superiore. La rupe di Motta, infatti, sorge su un suolo nettunio e senza appendici che la congiunga all’Etna. La Rupe mostra un cratere alla superficie superiore ed un corso di lava che si versa verso ovest, che si è fatto strada, probabilmente, in mezzo alla formazione nettunica, quando non era stata per anco logorata e tratta giù dalle acque, e dagli scavamenti prodotti, in seguito, da’ torrenti. In passato, forse, questo vulcano poteva aver avuto comunicazione col focolare pirossenico dell’Etna, per mezzo di un particolare spiraglio, ma dovette essere di poca durata, finchè la gola perenne del vulcano non avesse stabilito un più ampio canale fra il suo asse ed il focolare”. Nella classificazione che fece il Gemmelaro delle sei tipologie di lave del distretto vulcanico dell’Etna, ecco come classifica la lava della rupe di Motta: “ […] lava basaltica compattissima nerastra, con minutissimi punti di pirossene ed olivina, frattura scagliosa. La rupe della Motta, sorge pressoché isolata sul terreno di gres ed argilla, non restandovi a contatto, per ponente, se non per un aquarto circa del suo ellissoide perimetro; la sua altezza, dalla parte di mezzogiorno è circa 170 o 180 p.p. . La base, come la maggior parte della massa, offre un aggregato di prismi basaltici, di una pasta grigio-oscura, sparsa di piccoli granelli di olivina, e rarissimi cristalli di pirossene. Questi, nella parte meridionale, che è la più sgombra, ed appresta più chiara la struttura della roccia, sono più regolari, esogeni, e riuniti in un fascio inclinato a nord, tendente, così, verso il centro di tutta la rupe, a guisa di una piramide alta 80 piedi all’incirca. Il rimanente della roccia è formato di masse amorfe, di grossa mole; ma guardate a distanza si vede che nello insieme assumono poi una grossolana forma prismatica. Quasi a metà del lato orientale la massa basaltica pare che si elevasse in un sol pezzo semiconico; però osservata da vicino si osserva rompersi in piccoli prismi poligoni della stessa pasta; lo che si può anche osservare in un’altra simile massa, verso tramontana. Sopra questo grande materiale, che diremo basaltico, si posa un’ammassamento di una specie di tufo vulcanico, composto di piccole scorie rossastre, di pezzi di rocce pirogenetiche, e di qualche rognone di argilla; in alcuni punti anche ciottoli di arenaria e qualche resto di conchiglia fossile terziaria si sono rinvenuti. Verso la parte di Nord-Est questo tufo si vede introdotto fra uno strato e l’altro delle masse pirogenetiche; nel lato di tramontana esso ricopre quella porzione della rupe sino a più di metà della superficie. Quivi si osserva il margine di un vero cratere, nel sito, appunto, fra la torre normanna e la Chiesa Madre; e le scorie brune e rossastre, le arene grossolane, i lapilli, e la lava più vetrosa e carica di cristalli di pirossene e felpato in lamine, mostrano una apertura di vulcanica eruzione, non delle più antiche, ed in tutto simile a quelle dell’Etna. Questa lava copre i basalti nel lato di mezzogiorno e parte di levante, ma più ancora in quello di ponente, ove essa, vicino al quartiere delle Porte si va ad unire con le masse basaltiche. Il corso di questa lava non si scorge oltre i confini della rupe; ed a prima vista sembra non essersi estesa più in la; è facile, però, concepire, che come venne messo il suolo terziario che lo sosteneva, si fosse frata con quello, e trasportata giù ne’ sottoposti terreni; come in effetto non poche masse di lava si veggono sparse appiè della rupe della Motta e nel terreno che lo circonda, appartenenti tanto alla roccia basaltica quanto alla lava di epoca più recente. Da queste osservazioni sopra la rupe di Motta si può conchiudere che un vulcano si è aperto, sopra rocce di antica data, e forse basaltiche, e non è difficile che quelle inferiori fossero coeve al prossimo terreno basaltico sopraccennato, e preesistente alla venuta della formazione terziaria. Nella rupe della Motta, infatti, questo terreno, dalla parte di tramontana, si vede interposto tra le rocce prismatiche e quelle superiori: il fuoco vulcanico che lo produsse, attraverso la formazione basaltica, forse perché otturato il canale ordinario della gola dell’Etna”.

Il sito del cono craterico del Neck di Motta Santa Anastasia e sullo sfondo l’Etna – foto di Mario Guarnera

Il sito indicato dal Prof. Gemmellaro come quello in cui si trova il cono craterico del Neck di Motta Santa Anastasia; sullo sfondo il Dongione del Castello – foto di Mario Guarnera

I bordi esterni del cono craterico del Neck di Motta Santa Anastasia, imbrattati di vernice; in prospettiva resti delle mura del Castrum Bizantino, rimaneggiate dai Normani prima e dagli Aragonesi successivamente – foto di Mario Guarnera

 

 

 

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