Alla scoperta dei Ghiacci della Patagonia
Lascio definitivamente il Cile per spostarmi in Argentina, raggiungo Puerto Mont e con un comodissimo autobus con “Cama”, mi diriggo verso El Calefate. Cullata dal movimento del mezzo piombo in un sogno dove mi ritrovo a navigare con una canoa realizzata in un tronco d’albero lungo un immenso muro di Ghiaccio. Al mio risveglio dall’alto compare il lago Argentina, facciamo una breve sosta e nonostante il forte vento godo alla vista di questo smeraldo incastonato in una terra ancora piuttosto brulla, siamo a primavera e la Patagonia è finalmente uscita dal gelo invernale. La Patagonia Argentina è una regione di ampie pianure steppiche, alle quali si susseguono gli altipiani, le Ande degradano verso il mare fino ad annullarsi del tutto. L’alta piovosità e le basse temperature delle acque superficiali del mare generano masse d’aria fredda e umida, che contribuiscono al mantenimento dei campi glaciali e dei ghiacciai, che sono i più grandi nell’emisfero sud fuori dell’Antardide. La città di El Calefate è deliziosa, il suo nome deriva da un piccolo arbusto dai fiori gialli molto comune in Patagonia. Navigo per tre giorni attraverso il Parco Nazionale di Los Glaciares, gli iceberg galleggianti dai colori che vanno dal verde smeraldo al blu cobalto sono sublimi. Il mio coinvolgimento con “Madre Natura” è totale quando mi ritrovo davanti al Ghiacciaio Upsala e al Spiegazzini, che scendono verso l’acqua cristallina. La vegetazione è caratterizzata da faggi che per la furia del vento crescono con la chioma prostrata verso terra, sono “gli alberi del vento”, che sembrano voler mettere in all’erta il visitatore, ricordandogli che si trova in una terra dove non si ammettono errori, dove l’uomo si deve muovere con circospezione. Pernotto in un rifugio nei pressi di Bahia Onelli, percorrendo un lembo di terra giungo al lago Onelli; lo scenario è stupendo, mi ritrovo a passeggiare in una foresta che sembra uscire da un romanzo J. R. R. Tolkien. Tutto ciò che mi circonda ha un qualcosa di irreale, mi sento fluttuare verso una percezione di “non appartenenza”. Alla domanda perchè vai in Patagonia? Rispondevo che ero alla ricerca del “nulla”, ma qui in realtà tutto vibra in modo esponenziale. Dopo un giorno di riposo mi concedo una goliardica gita al Perito Moreno, qui con i ramponi ai piedi mi cimento in un trekking sulla superficie di questo maestoso colosso di ghiaccio. Mi adagio al tramonto su un masso in attesa del battello: osservo un megalite naturale e un’albero rinsecchito dal vento o da un fulmine, che svetta verso il cielo, mi ricordano due guardiani posti da madre natura affiché l’uomo con il suo insaziabile desiderio di possesso non deturpi ciò che ancora rimane di questo luogo. Sul crinale opposto un gruppo di Guanachi si muovono e sembrano compiere un rito di addio. Sento di dover trasmettere una testimonianza di questo Gigante Bianco, che nonostante i cambiamenti climatici non si ritira, ciò è di buon auspicio affinchè “ La Grande Madre” possa mantenere inaltrati le sottili energie che alimentano il suo esistere.