Alla ricerca del “Mundo Perdido”

Scendiamo dal battello che da Belém ci ha condotto a nord verso il confine con la Guaiana Esequiba, un “carro” ci attende in un piccolo villaggio di pescatori e ci conduce a Macapà, qui trascorriamo la notte. Si riparte con una jeep di buon ora, attraversiamo una pista all’interno dell’Amazzonia fino a Pacaraima e da qui raggiungiamo “La Linea” che si trova tra il Brasile e il Venezuela. Consapevoli che stiamo per abbandonare il sicuro Brasile per un Venezuela tutt’altro che tranquillo. Siamo in quattro oltre all’autista; i miei compagni di viaggio sono una coppia di Venezuelani che dopo aver visitato la costa brasiliana rientrano in Venezuela e una ragazza italiana piuttosto esaurita che cercherà di rientrare autonomamente a Caracas. Superato il confine ci inoltriamo in un territorio molto suggestivo, la vegetazione endemica è bassa, non molto diversa da quella che si potrebbe ammirare attraversando la savana africana. Sono seduta davanti, vicino all’autista, gli altri passeggeri chiacchierano senza sosta, così io, cerco di isolarmi e di immergermi nel paesaggio che scorre davanti ai miei occhi. Finalmente mi sarà possibile ammirare l’unico Tepuy la cui sommità è possibile raggiungere con delle guide e con portatori adeguatamente attrezzati. Ad una sosta all’improvviso mi appare il Roraima, è il più famoso Tepuy che si trova nello Stato Venezuelano di Bolivar, sulla sua sommità ricadono i confini di tre stati: Venezuela, Brasile e Guyana ( Punto Triple). Raggiunge la sommità di 2800 m, così come altri Tepuys l’arcaica vegetazione, la presenza di invertebrati rimasti isolati dal resto del mondo, grazie alle pareti verticali, e le antropomorfe figure della roccia scolpita dal vento li rende unici. Il nome Roraima, risale ai primi abitanti della Gran Sabana, che lo chiamavano “Madre di tutte le acque” o anche “Grande Verde-Azzurro” per il colore della montagna vista a una certa distanza, i suoi colori sono comunque cangianti al sopraggiungere del tramonto. Si tratta di un enorme basamento, formato da granito e rocce ignee ricoperto da sedimento arenario, la cui origine risale a un vecchio continente chiamato Gondawna, che univa l’Africa al sud America. Con il vento che mette a dura prova la mia stabilità, da un’altura non posso che fotografare questa regina dei Tepuys, mi piace immaginarla al femminile, “Lei” che ha ispirato il grande romanziere Arthur Conan Doyal nel suo romanzo “Il mondo perduto”. Questa immensa e piatta montagna fa parte di una isola ecologica, isolata da alcune foreste circostanti, dove il microclima favorisce lo sviluppo alla sua base di un ambiente piuttosto fresco grazie alle frequenti piogge. Una pioggia battente ci accompagna fino alla cittadina di Santa Elena de Uairén. Durante il tragitto ripenso a quanto ci è stato raccontato durante una sosta in un villaggio pemon, qui ho mangiato il pollo più buono della mia vita, cucinato da un’autentica india. La popolazione è prevalentemente indigena, a parte la polizia che controlla i vari transiti da una zona all’altra, si tratta di gente molto tranquilla, che sta subendo ingiustizie di tutti i tipi. Sono privi di muoversi sul territorio venezuelano se non rischiando la vita e a tal proposito sono stata messa in guardia sui pericoli che corrono i turisti in Venezuela. Arrivati a destinazione prendiamo alloggio presso una stupenda posada, “Villa Apoipo”; felicemente immersa nella natura mi ritiro in un piccolo Lodge e qui mi addormento pensando che l’indomani avrei proseguito verso la Gran Sabana.