Una Commedia Cult al Teatro Stabile: “L’anatra all’arancia”
È andata in scena, alla Sala ‘Verga’ la commedia di William Douglas Home e Marc Gilbert Savayon “L’anatra all’arancia”. Regia di Claudio Greg Gregori. Con Emilio Solfrizzi, Carlotta Natoli, Ruben Rigillo, Beatrice Schiaffino e Antonella Piccolo; scene di Fabiana Di Marco; costumi di Alessandra Benaduce; disegno luci di Massimo Gresia. Produzione: Compagnia Molière in coproduzione con Teatro Stabile di Verona
La drammaturgia doveva rappresentare certamente una pausa di serenità nell’esistenza di William Douglas-Home (1912 -1922).
L’aristocratico Home ebbe, infatti, una vita complicata divisa tra carriera politica e candidature parlamentari. Dovette affrontare soprattutto, durante la seconda guerra mondiale, gravi problematiche militari che lo portarono dolorosamente di fronte alla corte marziale, alla degradazione, al carcere e ai lavori forzati. Nonostante ciò trovò evidentemente sempre la voglia e il tempo di scrivere ben cinquanta opere teatrali, per lo più commedie.
Quando una di queste, scritta nei primi anni Settanta, venne adattata da Marc Gilbert Sauvajon (1909-1985), già celebre (aveva cominciato negli anni Trenta) per le sue brillanti pièces sull’onda di Labiche e Feydeau e per aver collaborato a numerosi film, ecco nascere “L’anatra all’arancia”, uno spettacolo cult del teatro comico.
Rimasta famosa per la rappresentazione del 1973 (con Lionello e la Valeri), la commedia sarebbe diventata, nel 1975, un film di successo del regista Luciano Salce con Monica Vitti e Ugo Tognazzi.
Il sottile humor inglese e il ritmo incalzante la rendono sempre attuale.
Ottima la recitazione di Emilio Solfrizzi, nato sulla scena, a cui da tempo – dopo molte incursioni televisive – è tornato a tempo pieno, e di Carlotta Natoli, figlia d’arte, enfant prodige che -anche lei- ritorna al teatro dopo aver raggiunto la notorietà attraverso il piccolo schermo.
Entriamo così nel gioco della vita dei due protagonisti: Gilberto e Lisa.
Al traguardo delle nozze d’argento Lisa, stanca dei molti tradimenti, sotterfugi e bugie del suo spigliato, dinamico e istrionesco marito decide di lasciarlo per buttarsi tra le braccia di un romantico (certo un po’ algido e molto ingessato…) aristocratico francese.
Quando, con molto candore, comunica a Gilberto il progetto della sua ‘fuga d’amore’, scatta l’ira, la gelosia assieme alla sottile strategia che il marito metterà in atto per non perdere la donna amata: un sereno week end nella loro villa sul lago per conoscere il rivale, rendendo così la separazione più accettabile e soprattutto molto ‘civile’.
Per ‘pareggiare i numeri’ sarebbe stata invitata Patty, la bella, giovane e sexy segretaria di Gilberto; una sciocca giuliva sembrerebbe…ma non troppo.
Risulterà invece essere un’ottima imprenditrice di se stessa
Le coppie girano attorno alla vicenda, apparentemente si accoppiano e poi si scoppiano.
La gelosia lentamente si fa strada anche nel cuore di Lisa.
Tutto questo sotto gli occhi indignati della cameriera che parteggia chiaramente per Lisa e che avrebbe il compito di facilitare la causa di divorzio.
Fino allo scoop finale che rimette tutto a posto e ognuno nel suo ruolo.
Imprevisti e colpi di scena, trabocchetti, soluzioni astruse, eleganti e mai banali si susseguono con classe animando una vicenda leggera ma sofisticata che coinvolge lo spettatore e lo induce tra una risata e l’altra a meditare su sentimenti e valori.
Sotto la regia di Gregori i personaggi lentamente si trasformano ritrovando se stessi.
Anche agli occhi di Lisa l’amante perde il suo fascino, appare noioso, e il marito si ripresenta come l’uomo della sua vita, il suo “centro di gravità permanente” per dirla con il grande Battiato.
Alla fine: “Omnia vincit amor”… per dirla con Virgilio.
Il finale rosa è scontato, ma la pièce lascia il suo segno.