Un tragico scontro di culture e civiltà nella Madama Butterfly

È in scena al Teatro Massimo Bellini uno dei capolavori di Puccini: Madama Butterfly. Musica di Giacomo Puccini. Tragedia giapponese in due atti, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. Direttore Alessandro D’Agostini. Regia Lino Privitera. Scene e Costumi Alfredo Corno.
Maestro del coro Luigi Petrozziello. Madama Butterfly (Cio-Cio-San) Monica Zanettin/Valeria Sepe/Myrtò Papatanasiu, Suzuki Laura Verrecchia/Anna Pennisi, Kate Pinkerton Paola Francesca Natale/Liliana Aiera, F.B. Pinkerton Leonardo Caimi/Carlo Ventre, Sharpless Luca Galli/Francesco Landolfi,
Goro Saverio Pugliese/Mario Bolognesi, Il Principe Yamadori Roberto Accurso, Lo zio Bonzo Gianfranco Montresor/Gaetano Triscari, Il commissario imperiale/Roberto Accurso, L’ufficiale di registro/Filippo Micale.
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Massimo Bellini
La storia della piccola ‘farfalla’ Ciò Ciò San, sposata per gioco, ma anche per tradizione, dal superficiale avventuriero ufficiale americano Pinkerton; innamorata, abbandonata dal suo uomo e maledetta dai familiari, in attesa incessante – con la sola compagnia della fedele Suzuki – del ritorno del suo amato che l’ha resa madre e che infine, disperata davanti al manifesto tradimento, si uccide per il dolore e il disonore è nota.
È una delle perle dedicate all’universo femminile – Manon Lescaut (1893), La bohème (1896), Tosca(1900), Madama Butterfly (1904) e Turandot (1926) – dal compositore lucchese che, supportato dalla Casa Ricordi e dalla collaborazione con i librettisti Luigi Illica, drammaturgo, addetto alla sceneggiatura, e Giuseppe Giacosa, commediografo e professore di letteratura, che metteva in versi il testo, sviluppò la sua musica tra verismo musicale (fu grande amico di Pietro Mascagni) e decadentismo, ammirazione per le composizioni di Wagner e gusto per l’esotismo.
Le donne certamente furono molto presenti nell’ ispirazione di Puccini e nella sua vita.
Impenitente donnaiolo, amò, infatti, definirsi “un potente cacciatore di uccelli selvatici, libretti d’opera e belle donne”. “Sono – diceva di se stesso – nevrotico, isterico, linfatico, degenerato, malfattoide, erotico, musico-poetico…birbante, maschilista, uomo da bettola e da bordello”; ma era anche un uomo amabile, fascinoso, elegante e raffinato. Le donne contrassegnarono tutta la sua esistenza, insieme alle sigarette che iniziò a fumare a dodici anni e che lo portarono alla morte a Bruxelles nel 1924 per cancro all’epifaringe: “Ho l’inferno in gola, mi sento svanire”, scrive Puccini, non riuscendo più a parlare, sul suo inseparabile taccuino.
Elvira Bonturi che dopo una lunga convivenza sposò nel 1904 e con la quale ebbe l’unico figlio, Antonio veniva regolarmente tradita da Giacomo che “innamorato perdutamente dell’amore” si concedeva numerose trasgressioni (“piccoli giardini”) ma che rimase legato a lei, sino alla fine. Una delle sue prime amanti – per citarne alcune – fu una giovane sarta torinese, Corinna; la seguì, nel 1904, Sybil Beddington cui, dopo una iniziale storia d’amore, rimase legato da profonda amicizia e con la quale si confidava specie dopo lo scandalo della servetta, Doria, che si suicidò, nel 1908, a Torre del lago a causa delle infondate accuse (l’autopsia confermò che la ragazza era illibata) mosse dalla gelosissima Elvira: “…la persecuzione di Elvira continua irriducibile…È la fine della mia famiglia, la fine di Torre del Lago, la fine di tutto …”. Nell’estate del 1911, a Viareggio, Puccini conobbe la baronessa Josephine von Stengel; la loro storia durò fino al 1915. L’ultimo amore, dal 1921 al 1923 (prima dell’aggravarsi della sua malattia), fu il soprano Rose Ader. E le sue appassionate e tragiche eroine, espiano morendo il loro amore ‘colpevole’.
Ed ecco che nel 1904 Puccini mise in scena, il 17 febbraio, alla Scala di Milano la Butterflay. Quando vide per la prima volta il dramma di David Belasco al Duke of York’s Theatre di Londra, Puccini ne fu letteralmente entusiasta e chiese subito all’autore il permesso di trasformare Madame Butterfly in un’opera lirica. La prima andò incontro ad un grande insuccesso (“Un vero linciaggio!”), ma Puccini fu difeso addirittura da Giovanni Pascoli: “Caro nostro e grande maestro, la farfallina volerà!”. Fu buon profeta, tanto che il successo, che seguì, è volato fino a noi, attraverso la magistrale messa in scena di quanti hanno contribuito a realizzare questa veramente bella e inusuale edizione del Bellini.
Ma lasciamo alle interviste, suggestioni, novità e riflessioni.
Lino Privitera si dichiara felice di tornare nella sua città e nel teatro dove ha debuttato da ballerino e dove adesso si presenta come regista Nella sua visione egli vuole riproporre un’interpretazione ‘nuova’ dell’opera, basata sul suo impegno nello studio della cultura giapponese, buddista e shintoista, sfrondando la scenografia dagli eccessivi ‘giapponesismi’ di una tradizione legata non tanto a Puccini – che conobbe il Giappone solo attraverso i racconti – ma alla moda d’inizio secolo che molto amava gli ‘orientalismi’.
L’interpretazione ‘occidentale’ vede Butterfly come un fior di loto che nasce dall’acqua sporca rimanendo incontaminata. Ama l’uomo che crede di sposare al punto, superando la sua identità ‘orientale’, di abiurare ala sua religione. Questa viene ricordata ripetutamente dalle figure degli antenati che, a intervalli, dominano la scena, dai sei mimi /uomini che rappresentano le anime degli avi che assillano la Butterfly e che vivono nella sua mente sin dall’inizio.
La fanciulla si converte, simbioticamente, al cristianesimo tradendo la sua religione e la sua cultura; un’abiura degli antichi valori della tradizione shintoista che le costerà il ripudio della sua gente e la maledizione – che Privitera vuole sottolineare – dello zio bonzo destinandola ad un karma pregno di dolore, proprio di chi ‘sposa una brutta causa’. Altro elemento innovativo è la scena assolutamente minimalista giocata sulla tavolozza dei colori ‘bronzo’ e la sua collaborazione con il costumista per la scelta dei vestiti di scena.
Anche il direttore D’Agostini, per la prima volta al Bellini, benché l’opera sia stata messa in scena più volte, dichiara di essersi attenuto alla finezza psicologica di Puccini seguendo i dettami dell’autore. Ottima la collaborazione con il regista e l’intesa con l’orchestra.
Per comprendere questo vero e proprio scontro tra culture e civiltà bisogna prestare attenzione al primo atto, alla scena del matrimonio.
Nel 1897, circa trent’anni prima del capolavoro pucciniano – apprendiamo da Virgilio Bernardoni – Mary Jane Long, moglie di un pastore metodista, al ritorno a Philadelphia da Nagasaki rivela il retroscena della vicenda al fratello che la tradusse l’anno dopo nel racconto (‘Madama Butterfly’). Il drammaturgo David Belasco lo traforma nell’atto unico “Tragedia giapponese”. A questo punto Puccini, si è detto, nel 1900 a Londra assiste all’opera di Belasco e ne resta affascinato. Si rivolge a Luigi Illica e Giuseppe Giacosa ed ecco confezionata l’opera che debutterà nel 1904.
Ma dove sta l’inghippo?
Nella trasposizione narrativa il contratto matrimoniale, in realtà era ‘a temine’. Il Giappone che da poco aveva aperto i contatti con gli stranieri cercava di creare legami (tra concubinato e prostituzione) per una durata prefissata alla fine della quale la donna perdeva ogni diritto: una prassi consolidata e gestita da intermediari.
Già nel luglio del 1853 il Commodoro Matthew Perry, comandante della squadra navale delle Indie/Far East, era sbarcato a Kurihama – 80 km a sud di Tokyo – consegnando al governo shogunale una lettera in cui il presidente Fillmore chiedeva, perentoriamente e minacciosamente, l’apertura di relazioni commerciali con gli USA. Si rompeva così un isolamento che il Giappone viveva da quasi due secoli e mezzo: preludio del Trattato di Kanagawa (quattro anni dopo sarebbe nato Puccini), che nel 1854 avrebbe spalancato i porti giapponesi alla prepotente nazione americana e il paese asiatico al primo console statunitense.
Ma nella mente della piccola farfalla quel legame si trasforma in un vero e proprio matrimonio occidentale e indissolubile, per altro allietato da un figlio.
È tutto qui il tranello psicologico.
Ma il tradimento religioso, e la dannazione dello zio, chiamerà tradimento amoroso: un destino di abbandono, solitudine e attesa segnerà il tempo di Ciò Ciò San fino al tragico epilogo preceduto dal coro a bocca chiusa.
In tale clima di lotta di potere e di culture diverse si inquadra quest’opera dell’inganno, dell’attesa e dell’illusione.
Sentimenti femminili profondi sono quelli che caratterizzano lo sviluppo della vicenda di Batterfly, speranzosa ma cosciente del proprio destino, specie durante il coro a bocca chiusa vissuto nell’angoscia di una notte scura. A confronto Pinkerton appare già nel I atto uno scanzonato mascalzoncello desideroso di avventure orientali, alla conquista del paese e delle donne. Ma quando l’avventura si trasforma in innamoramento, il giovane americano appare come un antieroe in balia di situazioni che non controlla più, fino a quando, nell’ultimo atto, con tracotante sicurezza si ripresenta a tre anni di distanza, accompagnato dalla ‘vera’ moglie americana, affrontando, con angoscia, la realtà del figlioletto e il doloroso, tragico epilogo.
Il quadro è chiaro e completo.
Ma al di là delle analisi e delle critiche è il fascino dell’opera pucciniana che prende vivamente il pubblico, penetrando nei meandri profondi dei sentimenti umani. E a questo dramma del ripudio sociale, dell’amore tradito, del disonore, dell’attesa angosciosa e della dolorosa consapevolezza di un destino segnato, il pubblico ha risposto con lunghi e calorosi applausi.
Video e foto di Lorenzo Davide Sgroi