“Un appuntamento a Londra”, quando l’arte è catarsi
Alla ‘Sala Verga’ del Teatro Stabile di Catania è andata in scena la pièce teatrale di Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la letteratura nel 2010 “Un appuntamento a Londra”, per la regia di Carlo Sciaccaluga (aiuto regia: Lucia Rocco). Interpreti: Lucia Lavia (Maddalena) e Luigi Tabita (Luca). Scene e costumi: Anna Varaldo; musiche originali: nogravity4monks; luci: Gaetano La Mela.
Produzione del Teatro Stabile di Catania
A distanza di poco più di un anno lo Stabile si trova ad ospitare ancora un lavoro di Vargas Llosa, classe 1936. È il teatro la vera passione dell’autore, più della narrazione che lo ha reso, forse, maggiormente famoso. È quanto ha dichiarato tempo fa lo stesso Mario Vargas Llosa in un’intervista che mi concesse nella passata stagione teatrale quando scelse Catania per la prima assoluta in Italia de “I racconti della peste”, dopo il debutto in Spagna.
Col suo sorriso sornione, dall’alto dei suoi quasi novant’anni e dei tre matrimoni vissuti, generosamente mi narrò la sua vita fin dal primo incontro, a dieci anni, con il padre che si sarebbe fortemente opposto alla sua vocazione letteraria e teatrale (“gli scrittori sono dei perditempo!”) imponendogli la scuola militare: è con grande soddisfazione che ricevette un omaggio dal capo di quella stessa scuola a Stoccolma durante la cerimonia del Nobel!
In Perù nella sua giovinezza, tuttavia, non c’era – come adesso – un vero e proprio movimento teatrale. Non aveva dunque, il nostro autore, una compagnia con cui poter realizzare concretamente la sua vocazione: la vita lo avrebbe ampiamente ricompensato.
E nulla si fece mancare. A conclusione della nostra chiacchierata si soffermò, infatti, anche sulla sua esperienza politica in un momento storico molto violento: “Sono stato vicino alla presidenza del Perù… per fortuna non giunsi alla meta perché mi avrebbero ucciso…il presidente designato ha trascorso 30 anni in carcere…”.
Dopo la prima nazionale de “I racconti della peste” (quasi una riflessione ‘ante litteram’ sulla pandemia) il ‘Verga’ ci propone questo thriller psicologico che ha esordito in Italia nel 2009 al Festival di Spoleto.
La gestazione dell’opera, poco conosciuta e raramente rappresentata in Italia, è stata lunga e complessa. Ha infatti impegnato l’autore oltre cinque anni per ottenere, infine, un risultato intrigante per l’attualità della tematica affrontata, per la dinamica e il ritmo dell’azione piena di colpi di scena destabilizzanti e per gli interrogativi che pone allo spettatore.
Luca, un affermato economista cinquantenne peruviano, si trova durante un viaggio d’affari in una suite di lusso all’Hotel Savoy di Londra dove riceve la visita di una donna, Maddalena, sedicente e seducente sorella di un suo vecchio amico.
Da questo momento parte un fitto dialogo tra i due.
Sembrerebbe una storia scomoda di omosessualità e di transgenere, ma non è così.
La magistrale recitazione di Lucia Lavia, degna figlia d’arte del grande Gabriele, il confronto con l’altrettanto bravo Luigi Tabita, mettono in moto una dinamica intensa e pulsante che dà corpo a una dimensione quasi onirica, alla ricerca della verità.
È questo uno dei rovelli dell’autore.
Pirandellianamente: la verità c’è o si crea attraverso lo specchio dell’altro con cui interagisci?
Esiste una sola identità o ce ne sono incardinate tante altre? …e a che prezzo si scioglie il dubbio?
Viviamo la nostra vita, l’amore, la sessualità, o ce li inventiamo per riuscire a sopravvivere?
“In ‘Appuntamento a Londra’ incontriamo la metafisica dell’amore”, dice il regista.
È un gioco ora divertente, ora crudele.
Tra presunta omofobia e ipotetiche trasformazioni transgeniche rivivono antiche passioni, desideri repressi, violenze agite e subite, sensi di colpa, conflitti e rivelazioni.
In una narrazione condivisa in bilico tra realtà e ambigue invenzioni mentali prende corpo un mondo immaginario ma al tempo stesso concreto e intenso come la vita vera.
Un mondo di finzioni, un dedalo di dubbi che conduce al certamente inaspettato e perturbante finale.
Sullo sfondo, una domanda eterna: siamo chi diciamo di essere, o è solo l’altro, il testimone, a poterci dare un’identità?
Narrazione, autoanalisi, ricerca del vero e dell’identità, lussuria, sensualità trasfigurate dall’umorismo servono a esorcizzare.
L’arte è catarsi!
Foto di Antonio Parrinello