Ulisse all’Inferno: il mito va in scena nel Monastero dei Benedettini
Per tre sere le cantine settecentesche del monumentale Monastero dei Benedettini, si sono accese di un nuovo chiarore e hanno vibrato all’unisono con la voce densa e intensa del noto attore e autore catanese Angelo D’Agosta che, reduce dallo strepitoso successo dello spettacolo L’Inferno di Dante alle Gole dell’Alcantara, ha dato vita a un leggendario eroe omerico in un emozionante quanto coinvolgente monologo, da lui stesso scritto e interpretato.
Ulisse, l’eroe dal multiforme ingegno, ha ripreso a palpitare di passioni e di emozioni, grazie al multiforme talento artistico di Angelo D’Agosta che, con la sua magistrale versatilità di interpretazione, ha dato voce ad alcuni dei personaggi che Ulisse incontra nella sua discesa alle porte dell’Ade, quali le anime di Elpenore, il compagno morto sull’isola di Circe in un banale incidente, il mago Tiresia che gli profetizza il suo destino e il suo ritorno alla tanto amata Itaca e la madre Anticlea, morta per la nostalgia del figlio lontano.
Lo spettacolo, realizzato in collaborazione con Officine Culturali, trae ispirazione dal decimo e undicesimo libro dell’Odissea quando Ulisse, dopo essere partito con i suoi compagni dall’isola della maga Circe, approda nel paese dei Cimmeri e dopo aver compiuti i riti sacrificali si ritrova nel regno dei morti.
Si articola tra i sotterranei delle suggestive cantine e la particolare Sala Rossa, progettata dal geometra Antonino Leonardi. In questo modo, la naturale scurità ombrosa della pietra lavica dei sotterranei e la luce vivida delle architetture contemporanee divengono lo scenario arcano in cui si inserisce magnificamente questo fascinoso monologo, all’interno del quale l’attore catanese alterna momenti di solennità poetica, recitando i versi omerici, a istanti di modernità caratterizzati da un linguaggio di ironica colloquialità.
Il suo spessore drammaturgico riesce a donare profondità emotiva a un eroe antico facendolo rivivere nel presente come un uomo contemporaneo con le proprie paure e debolezze. Illumina la figura di Ulisse e gli infonde un alito vitale, quel guizzo interiore che lo rende non un muto eroe del passato ma un uomo fatto di carne e ossa, che palpita e che soffre, ridefinito da una nuova aura di umana sacralità.
La maestria artistica di Angelo D’Agosta, non solo di attore ma soprattutto di autore, si condensa magistralmente in questo suo appassionante monologo.
Creando un mirabile incontro tra mito e animo umano, ha attualizzato, senza però perdere in brillantezza, un personaggio epico cristallizzato da secoli, calandosi nelle profondità del suo animo per tentare di comprenderne i sentimenti più nascosti e, attraverso la sua sensibilità di artista, ha mescolato e fuso l’attore con il personaggio fino a divenire un unicum di pensiero e di emozioni.
Un flusso di energia espressiva che rende la sua narrazione teatrale profonda e al tempo stesso veloce attraverso una fluidità poetica limpida che, come un’ondata, sommerge il pubblico e affascina le menti e gli animi. E la sua gestualità, decisa e comunicativa al tempo stesso, crea intorno un’atmosfera onirica che genera una tensione emotiva, densa e potente per tutta la durata del monologo, che permette di instaurare una connessione intima ed empatica con gli spettatori, i quali, come i compagni di Ulisse dalla maga Circe, vengono affascinati e trainati dalla sua non comune profondità interpretativa che li guida attraverso i percorsi sotterranei nel suo particolare spettacolo itinerante e li porta a perdere ogni contatto con la realtà del presente e a discendere, simbolicamente, nelle viscere della terra.
Angelo D’Agosta, come un novello Ulisse, li conduce insieme a lui in un viaggio verso la discesa agli Inferi che si trasforma nel percorso di discesa all’interno di noi stessi, in quel piccolo angolo nascosto di inferno che ognuno di noi vive con le proprie incertezze.
Perché come lui stesso ci ha ricordato durante la sua interpretazione, questo percorso a ritroso in questo antico mondo mitico è necessario ed essenziale per tutti noi, individui abbagliati dalle luci della modernità, poiché pur sembrandoci spesso lontano, in realtà, ci appartiene e ci definisce ancora oggi, se vogliamo comprendere la nostra stessa natura umana e dare un senso e un significato a questa nostra società così “distratta”, così come da lui definita alla fine del suo e del nostro immaginario viaggio di una sera.
Un viaggio che ha lasciato un segno indelebile nell’animo di chi ha avuto il previlegio di esserne parte poiché ci costringe a soffermarci per tentare di dare una possibile risposta umana all’atavica domanda sulla possibile esistenza di una vita dopo la morte in modo da tentare di esorcizzare la nostra più grande paura di dissolverci per sempre con la nostra morte terrena.
Foto di Santo Consoli