Totò Cascio: dal paradiso perduto alla prova della maturità
Arduo è il compito di chi si appresta a scrivere una recensione. Si è chiamati a esprimere un giudizio personale su un oggetto culturale. Un’ azione meticolosa che analizza, in termini valutativi e interpretativi, linguaggio e struttura. Nel caso in cui l’oggetto appartiene a quel magico mondo di carta e parole, il giudizio espresso penetra nei sentimenti dell’autore, nel suo vissuto. Diviene così una discussione critica del contenuto, la quale non può prescindere da una valutazione profonda di quegli aspetti umani, di cui si evidenzia la rilevanza nell’ intero costrutto espositivo.
Gli stessi aspetti umani che, nel corso della lettura di La Gloria e la Prova di Totò Cascio (scritto a quattro mani con Giorgio De Martino, edito da Baldini+Castoldi), è possibile riscontrare nella pienezza di una presa di coscienza dell’ineluttabile, intesa come risveglio e necessaria introspezione riflessiva.
Famoso è il detto “non si giudica il libro dalla copertina”, eppure essa rappresenta il primo filtro interpretativo del contenuto. La copertina del testo che mi accingo a presentarvi, ritrae un volto noto. Un volto che riemerge dai ricordi d’infanzia, un volto incontrato nello schermo di un cinema. La meraviglia, il sogno, la magia si colgono chiaramente dal suo sguardo. È il ritratto fotografico di un bambino con gli occhi rivolti al cielo. Nella sovraccoperta, che generalmente viene usata per scopi promozionali, il viso di un uomo. La direzione del suo sguardo è focalizzata all’ interlocutore immaginario, perché di questo si tratta, di un dialogo tra autore e il mondo circostante. Di notevole interesse critico è la scelta emblematica delle due figure di copertina, in grado di raccontare l’universo pubblico e privato dell’autore, ma soprattutto, funzionale a comprendere la ratio del romanzo in termini di concetti narrativi.
“Il racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità”, così il critico letterario francese Philippe Lejeune ha definito il genere letterario autobiografico. Contrariamente a quanto si crede, prendere in esame il proprio percorso esistenziale, non è affatto facile. Nel testo in esame, le preziose testimonianze delle vicissitudini personali, descrizioni meticolose di una storia privata, offrono prospettive e approfondimenti unici, in uno scambievole rapporto di crescita spirituale tra autore e lettore. Una narrazione intima in cui la dimensione della fede e dell’anima fungono da sprono a un cambiamento epocale nella visione di quei confini sociali di identificazione ed esclusione dell’altro. Stereotipi, pregiudizi e discriminazioni determinano un vuoto esistenziale che rappresenta un isolamento preparatorio.
Una determinante che innesca decisioni consapevoli e misure preferenziali caratterizzati da una profonda dinamicità. Il racconto di un risveglio nella vita quotidiana dopo la dolorosa esperienza di contatto con la realtà, assurge a guida in un testo spirituale che propone una riflessione profonda e meditativa. Un percorso complesso nel quale gli ostacoli sono l’elemento chiave che consente l’autodeterminazione dell’io “in un’avventura umana, dolorosa eppure colma di gioia”. Una prospettiva diversa capace di regalarci quell’ entusiasmo necessario per osservare la vita con “gli strumenti che Egli (Dio) ci dona”. Un percorso che dal paradiso perduto dell’infanzia, colmo di gloria, ci accompagna verso la prova della maturità, e come scrive il Totò adulto, verso “il mio Nuovo Cinema Paradiso”.