Teatro – Agosto a Osage County: la crisi della famiglia
Dal 2 al 10 gennaio 2024 è andata in scena alla Sala Verga del Teatro Stabile di Catania la prima versione italiana della commedia di Tracy Letts: Agosto a Osage County.
Produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale. Regia di Filippo Dini che è anche uno degli interpreti insieme a: Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia, Filippo Dini, Fabrizio Contri, Orietta Notari, Andrea Di Casa, Fulvio Pepe, Stefania Medri, Valeria Angelozzi, Edoardo Sorgente, Caterina Tieghi, Valentina Spaletta Tavella.
Traduzione di Monica Capuani. Drammaturgia e aiuto regia: Carlo Orlando; scene: Gregorio Zurla; costumi: Alessio Rosati; luci: Pasquale Mari; musiche: Aleph Viola;
suono: Claudio Tortorici. Assistente alla regia: Eleonora Bentivoglio; assistente costumi: Rosa Mariotti
Tracy S. Letts, classe 1965, figlio d’arte come i suoi fratelli, ben conosce il quadro di riferimento in cui inserisce questo lavoro teatrale con il quale ha vinto nel 2008 il premio Pulitzer e il Tony Arward: l’Oklahoma, la terra strappata ai nativi americani dai coloni europei, dove è nato e vissuto nei suoi primi vent’anni.
Anche se il dramma ha dato luogo nel 2014 al film ‘I segreti di Osage County’ (candidato a due Oscar con Meryl Streep e Julia Roberts) di cui ha voluto curare personalmente la sceneggiatura, il prodotto teatrale rimane sempre il più idoneo a rendere nella sua ironica drammaticità l’epilogo di questa violenta saga familiare.
Tre generazioni di Weston a confronto si ritrovano nella casa di famiglia in occasione di un tragico evento.
La matriarca Violet, ammalata di cancro e perennemente ‘impasticcata’ chiama a sé le tre figlie a causa della scomparsa del marito/padre, l’intellettuale Beverly.
La coppia aveva vissuto nella povertà la ‘Grande depressione’ e ne era uscita attraverso il successo di un libro di Beverly che avrebbe consentito una certa agiatezza alle figlie e la proprietà della casa familiare.
Il suicidio e il funerale del patriarca avrebbero scatenato tutte le ire, i rancori repressi, la violenza che giunge alla crudeltà, le menzogne, i segreti, i tabù e le passioni più squallide e basse dei componenti di questa difficile famiglia.
Barbara, la primogenita, erede destinata del potere matriarcale è in fase di separazione dal marito, professore innamorato di un’allieva dell’età della figlia adolescente.
Questa tra droghe e social subisce le molestie sessuali del marito della volutamente ignara zia Karen, la secondogenita.
Sono presenti su una scena sempre mutevole per via delle pareti mobili che aprono l’accesso a varie stanze della grigia casa (“un luogo della mente” dice il regista), la sorella di Violet, Mattie Fae, con il marito e il loro timido ‘piccolo Charlie’, figlio succube della madre ma innamorato (lo dichiara apertamente con una esplosiva e liberatoria performance musicale) della ribelle terzogenita Ivy che lo ricambia.
Quando si scopre che il piccolo Charlie è in realtà frutto dell’amore tra la madre e lo zio suicida, e dunque è il fratello dell’amata Ivy, quando viene a galla il più grave e inaccettabile dei tabù, il climax giunge al vertice, il dramma è compiuto: non resta che la diaspora e la solitudine di Violet.
In questa rovente atmosfera l’unico personaggio serenamente, dolcemente consapevole e accudente è Johnna, la domestica cayenne, la figlia dei depredati vinti, ricca di umanità, erede della cultura dei suoi avi.
Quell’umanità, quella pietas -dice Dini- di Letts il quale “apre il testo con una poesia di Howard Starks che funge da dedica…un invito a leggere questa storia con uno sguardo benevolo…racconta di una famiglia riunita intorno all’agonia di una vecchia signora…per restituirle la dolcezza della sua vita”.
“Questo testo -continua Dini- è l’ultimo anello di un filone meraviglioso, quello di Ibsen, di Čechov, di Pirandello e poi di Eduardo: il dramma borghese che si concentra sulla dinamica familiare…e così possiamo addirittura perdonare ai personaggi tutta la violenza e la frustrazione che hanno proiettato su di noi”.
Ed è proprio la sensazione che ha lasciato nel pubblico questo dramma, anche se non privo di punte di comicità, che vuole essere analisi crudele della crisi della famiglia americana, ma che in realtà affonda le radici nella tragedia greca e rimane “un ragionamento molto sincero sulla famiglia contemporanea”.
“La speranza di ogni drammaturgo – scrive Letts- è quella di poter attingere, attraverso la narrazione, a temi universali”.