L'Intervista

“Sicilia, Stupor Mundi”: intervista a Carmelo Rosario Cannavò

Come nasce Sicilia, Stupor Mundi?

Sicilia, Stupor Mundi nasce da molto lontano: dal ragazzo Carmelo, il quale pensava che essere siciliano non rappresentasse un vantaggio ma altresì uno svantaggio. Un pensiero che nasceva dalla convinzione secondo la quale la nostra storia è fatta non da protagonisti ma da chi la storia l’ha subita. Crescendo, con l’avvento di Internet e quindi di un’informazione diversa da quella accademica, ho scoperto cose diverse da quelle che avevo imparato. Così iniziai a documentarmi, ad approfondire: leggendo ti accorgi che nella storia ufficiale, quella dei testi scolastici, alcune cose non vengono abbastanza evidenziate forse neanche degli insegnanti perché si deve guardare più a una storia generale e non ci si sofferma alla storia della Sicilia. Io conoscevo il Regno delle due Sicilie ma sconoscevo il fatto che avessimo avuto un regno di Sicilia che è durato molto (dal 1130 al 1816). Prima la contea, poi l’emirato arabo, quindi mille anni di indipendenza per arrivare al regno delle due Sicilie fino al 1860. Da attore e comunicatore, nasce in me l’esigenza di raccontare e trasferire le scoperte che avevo fatto al pubblico.

Un modo alternativo per raccontare le nostre radici. Quale messaggio vuoi trasmettere.

Abbandonare definitivamente quel complesso di inferiorità che accompagna la maggior parte dei siciliani. Un atteggiamento propenso all’autocommiserazione che si traduce in pensiero di svalutazione della nostra sicilianità, atteggiamento che nelle altre regioni non è presente. Quindi il messaggio è usciamo da questo pessimismo e riconosciamo i meriti di coerenza a chi ha voglia di fare gli interessi della nostra terra. Sicuramente abbiamo gli strumenti, dunque impegniamoci per una Sicilia più importante.

Narrare la storia della nostra terra, con quale finalità?

Il nostro obiettivo è fare conoscere per rendere i giovani orgogliosi del proprio passato e sviluppare un orgoglio identitario e un senso civico che porti ad amare la propria terra anche nei comportamenti quotidiani, quindi a rispettarla, a desiderare una Sicilia più pulita, più bella, più onesta, senza pretese esterne perché questo dipende da noi.

A quale pubblico è destinato questo tipo di spettacolo?

Lo spettacolo è destinato soprattutto ai giovani infatti nasce per le scuole come strumento di approfondimento not convetional per raccontare una storia millenaria, che parte dalla preistoria per giungere al Risorgimento e proporla come spunto per una storia legata anche ai fatti europei.

Il nostro patrimonio culturale è vario, vasto e millenario. Fondamentale è la nostra lingua madre, il siciliano.

Nei corsi di recitazione di cui mi occupo, capita che mi chiedano (le madri!) con disdegno se i corsisti (i figli) faranno spettacoli in lingua siciliana. Ignorano, come me fino a poco tempo fa, che l’italiano nasce proprio in Sicilia, che proprio nella nostra terra, grazie alla scuola poetica siciliana, si sono gettati le basi per lo sviluppo della lingua nazionale, quella italiana. E in tutta Europa si poetava e si scriveva in volgare siciliano che rappresentava la lingua ufficiale, regale e giuridica tanto che i sovrani intrattenevano amicizie epistolari rigorosamente in siciliano così come pure gli atti notarili erano redatti in dialetto. Sicuramente non si trattava della lingua siciliana di oggi, che è il volgare italiano, ma il siciliano letterario da distinguere dai vernacoli. Le varie parole si sono formati da un miscuglio di lingue, addirittura con radici che affondano nel sanscrito. E nel teatro usare i termini in dialetto ti aiuta ad esprimerne il significato e lo stato d’animo. Nel settore cinematografico capita spesso infatti che gli attori   recitano usando cadenza e termini del proprio dialetto per aiutarsi ad esprimere al meglio lo spessore del personaggio interpretato.

I tuoi figli David e Diego ti affiancano in Sicilia, Stupor Mundi. Come padre consigli e permetti ai tuoi figli di parlare in dialetto.

Certamente. Ciò non comporta una scelta, parlare il proprio dialetto non significa parlare meno o peggio l’italiano. conoscere e parlare più lingue, e tra queste il siciliano, ci arricchisce. Anche se oggi non è lingua ufficiale e ciò non dipende dai vari vernacoli, come in molti sostengono, (Pur parlando dialetti diversi riusciamo a capirci), dipende semplicemente dal fatto che non siamo nazione.

In lingua siciliana (A lingua do cori) è cantato il brano che chiude lo spettacolo: Sugnu siciliano e mi nni vantu. Un testo poco conosciuto che   forse è passato in sordina, vuoi raccontarci qualcosa.

Il brano, pensato per le scuole, voleva essere accattivante e simpatico. Perciò la scelta del rap, come genere musicale in voga tra i giovani, soprattutto nel 2019, anno di nascita dello spettacolo. Vorrei ringraziare   Michele Romeo autore delle musiche, sul testo che io ho scritto e che è un sunto della storia raccontata durante lo spettacolo. Il brano è poi diventato un video clip (su YouTube), girato a 500 metri sull’Etna, un luogo simbolico, ma anche reale che domina tutta la Sicilia. L’ intento? Continuare a promuovere la nostra identità.

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