Siamo solo maschere?
Le mascherine, piccoli rettangoli di stoffa, in tinta unita, colorate oppure decorate con variopinti disegni, come per esorcizzare la nostra paura contro un nemico invisibile, da qualche anno coprono le nostre facce. Nascondono le nostre emozioni, il nostro sentire e ci rendono atoni, come se non fossimo più capaci di esprimere i nostri stessi pensieri. Ma noi queste “piccole maschere” sembriamo portarle con disinvoltura come se esse, in un impietoso gioco di corrispondenze, non siano altro che una sorta di manifestazione, concreta ed evidente, del continuo camuffamento del nostro essere più intimo.
Esse sembrano divenire metafora delle nostre maschere interiori.
Perché in fondo, così come affermava Pirandello noi, più che Volti, non siamo altro che delle Maschere.
Noi le indossiamo tutti i giorni per adattarci alle circostanze e per essere apprezzati dagli altri, mettiamo in atto un ingranaggio psicologico che ci permette di trarre il meglio per noi stessi.
Senza le nostre maschere noi non riusciremmo a sopravvivere.
La maschera, così come affermato da Karl Jung , è un filtro che ogni uomo pone tra se e gli altri in quanto ci aiuta a relazionare.
E noi tutti interpretiamo un ruolo come Vitangelo Moscarda, il protagonista del romanzo “Uno Nessuno e Centomila” di Pirandello, il quale da una innocua considerazione della moglie sul suo naso, si rende conto con sgomento che è Uno perché è solo una la personalità che pensa di possedere, Centomila perché sono tante quelle che è costretto ad assumere in relazione agli altri che lo giudicano e Nessuno perché alla fine capisce che non possiede nessuna personalità. Moscarda si perde nel triste gioco delle maschere, assume identità diverse in situazioni diverse, vive vite parallele, ma alla fine giungerà amaramente a una sola considerazione: l’impossibilità di comprendere fino in fondo se stesso e chi lo circonda.
Così come Vitangelo, ognuno di noi, quando indossa la sua maschera si frantuma in frammenti di sé e si perde in un gioco di riflessi, un meccanismo perverso che, riprendendo Jung, rischia di condurci a un adombramento della nostra vera identità.
Ci affanniamo a recitare un ruolo, spesso per difenderci dal giudizio altrui ma molto più spesso per trarre vantaggi personali, e, alla fine, non riusciamo più a distinguere tra l’essere e l’apparire. Li confondiamo l’uno nell’altro, li mescoliamo in modo insensato attribuendo ad essi la stessa valenza di profondità e finiamo per divenire solo maschere vuote e fatue.
E, nella nostra società, colorata e luccicante come una grande maschera di Carnevale, l’uomo trova più facile e meno rischioso nascondersi dietro una maschera, è molto meglio non mostrarsi ed essere un personaggio con il ruolo voluto dalla collettività. Essere noi stessi è rischioso, implica delle responsabilità, affrontare il peso del confronto, dibattere e lottare per le proprie idee. Invece si indossa la maschera del perbenismo ipocrita e ci si lascia trasportare dalle ideologie della massa, ci adattiamo pigramente a una vita fatta di mediocrità all’interno della quale ci sentiamo al sicuro, senza alcuna guizzo di energia, in un perenne letargo della nostra identità.
Protetti dalle nostre maschere, scivoliamo in modo impercettibile sempre più in fondo nel grande mare delle costrizioni sociali e delle illusorie libertà politiche, ma invece di reagire e di nuotare verso la superficie, ci lasciamo trascinare dalle correnti, con perversa soddisfazione.
Ci siamo trasformati, usando le parole del sociologo Gustav Goffman, in una società di dormienti da svegliare e dei quali “combattere la falsa coscienza perché il sonno è molto profondo”.
Noi personaggi perenni di un ruolo eterno, non ci accorgiamo che, con le nostre belle maschere appiccicate addosso, ci riduciamo a delle semplici marionette senza idee, sedotte dalle maschere, ingannevoli e insussistenti, di coloro che ci illudono di operare nell’interesse della collettività, dietro le quali si nascondono interessi economici, politiche internazionali, accordi illeciti che se mostrassero il loro vero volto, rivelerebbero con crudezza il più alto grado di menzogna.
Non siamo altro che maschere vacue che limitano le nostre libertà e siamo obbligati a recitare il ruolo che ci è stato assegnato perché ci è stato fatto credere che la nostra unica possibilità per poter essere accettati e integrati nella nostra società, sia recitare mascherati da marionette.
Noi maschere di noi stessi, maschere della società, viviamo in una assurda forma di schizofrenia tra l’essere e l’apparire, dilaniati nella nostra identità e da molto tempo abbiamo smesso di porci una domanda fondamentale:
La società in cui stiamo vivendo è reale o è solo una gran mascherata?