“Sforbiciata” dei parlamentari, NO di Enrico Michetti vs SÌ di Felice Giuffré
Si avvicina il momento tanto discusso in queste settimane dalla politica e dai media di tutta Italia: il voto al Referendum costituzionale del 20 e 21 settembre prossimo, in cui il popolo italiano è chiamato ad assentire o meno alle modifiche degli articoli della Costituzione 56, 57 e 59 in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
Noi della redazione di Freepressonline abbiamo avuto il piacere di confrontarci con due giganti del diritto: Dalla parte del SÌ, il professore Felice Giuffré, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Catania, autore di numerose pubblicazioni e socio dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti; anche, avvocato cassazionista tra i più stimati. Per il NO, Enrico Michetti, professore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale e Direttore della Collana Editoriale Giuridica edita “Gazzetta Amministrativa della Repubblica Italiana” e de “Il Quotidiano della P.A”.
A turno, esporranno le loro ragioni.
1.È corretto affermare che l’Italia ha il maggior numero di parlamentari in Europa?
F.G. Certamente il Parlamento italiano, con i suoi 945 deputati e senatori che svolgono le medesime funzioni nell’ambito di un bicameralismo paritario, è un parlamento ben più consistente da un punto di vista numerico dei principali paesi occidentali. Basti pensare che la Camera dei comuni in Inghilterra conta 650 deputati; il Bundestag tedesco conta 709 deputati, l’Assemblea nazionale francese 577 deputati; addirittura, la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti conta 435 deputati. Il Parlamento italiano è sicuramente uno dei più consistenti d’Europa da un punto di vista numerico, quindi mi sembra opportuna una cura dimagrante per una maggiore efficienza.
E.M. Malta ha quasi 70 deputati a fronte di 400.000 abitanti, anche se comparare numeri è difficile giacché in Europa vi sono stati federali, su cui si accentra il potere a svantaggio del nucleo centrale. In ogni caso non mi sembra un’affermazione precisa visto che noi abbiamo, in ragione dell’attuale legge elettorale, approvata nel 2017, soltanto 232 deputati e 116 senatori eletti direttamente dal popolo, dove chi vota può scegliere una preferenza. Gli altri sono senz’altro eletti, ma non dal popolo perché sono nominati in liste bloccate, proporzionali, direi bulgare, dove il cittadino non può esprimere la sua preferenza sul candidato e questo è un principio che riguarda i due terzi dei parlamentari.
2.Avrebbe qualche forma di impatto, nei rapporti con le istituzioni europee, una sforbiciata dei rappresentanti di Camera e Senato?
F.G. Per quanto riguarda l’impatto dell’eventuale riduzione dei parlamentari sui rapporti fra l’ordinamento italiano e le istituzioni comunitarie, dobbiamo sottolineare che questi rapporti risentono moltissimo dell’autorevolezza degli organi rappresentativi degli Stati membri dell’Unione europea, nel senso che risultano maggiormente in grado di incidere sulla definizione delle politiche pubbliche dell’Unione quei paesi che hanno istituzioni forti e legittimate.
E.M. Ogni paese è libero di muoversi secondo i propri orientamenti, salvo il fatto che a cedere sarebbe più la nostra democrazia che non quella che è in Europa, basata su una rappresentanza dettata da buone relazioni fra i vari capi di governo. L’Europa non può essere vista in sede comparativa, dal mio punto di vista, perché è troppo diversa da noi.
3.Pensa sia possibile che la costruzione delle liste, approvando le modifiche agli articoli in questione, diventi ancora più “blindata” rispetto allo stato attuale?
F.G. La questione della legge elettorale è distinta dalla composizione del parlamento. Del resto, anche nell’attuale assetto, la Costituzione nulla ci dice in merito alla legge elettorale. Abbiamo avuto, nei primi decenni di vita repubblicana, leggi elettorali di tipo proporzionale parzialmente diverse alla Camera e al Senato; abbiamo avuto, a seguito del referendum del 1993, leggi miste parzialmente maggioritarie e proporzionali; abbiamo avuto, negli ultimi anni, leggi proporzionali con fortissimi premi di maggioranza e liste bloccate a cui sostanzialmente conseguivano effetti maggioritari. Quindi, ritengo che sia necessario porre mano alla legge elettorale ma non dobbiamo confondere i due piani. Non ha nulla a che fare la composizione numerica del parlamento con le modalità di scelta dei nostri rappresentanti.
E.M. Con collegi da 600.000 anime è difficile che il candidato possa essere conosciuto dai territori ed eleggere uno sconosciuto, un nativo di Arezzo che dovrà candidarsi in Trentino, tanto per citare un canone, è una mera operazione estetica. Di fatto, le nomine all’interno delle liste sarebbero maggiormente soggette all’appannaggio dei partiti finanziati dai gruppi di potere e dalle lobby. Ma la sovranità è in capo al popolo, secondo l’art.1 della nostra Costituzione. Invece, questo modello rappresenta una democrazia figurativa. Dico: se i collegi sono più vasti e il candidato sconosciuto, egli cosa deve fare per farsi conoscere altrove, dove ci sono elettori che non lo conoscono? Semplice: deve fare campagne elettorali sempre più dispendiose. Ciò significa che non è più il popolo che elegge l’aspirante deputato, ma colui che dà a questo la possibilità di fare la sua campagna elettorale dispendiosa.
È vero, infatti, che gli americani hanno pochissimi deputati ma le campagne elettorali lì costano milioni di dollari. Però, se vogliamo diventare un’oligarchia, questo è un altro discorso.
4.Un taglio dei componenti in parlamento era uno dei punti inseriti all’interno del Piano di rinascita democratica di Gelli. Pensa che questo possa connettersi, in qualche modo, con la tesi di chi sostiene che il Sì faciliterebbe un maggiore controllo delle lobby e delle oligarchie partitocratiche?
F.G. Secondo me questo è un argomento irrilevante. La proposta che oggi punta alla riduzione del numero dei parlamentari è uno dei primi tasselli di una riforma, che certamente avrà bisogno di altre tappe ma si tratta di un passo necessario per allineare la nostra Carta fondamentale, nella sua seconda parte, alle problematiche del contesto geopolitico in cui viviamo nel 2020.
E.M. Quando il rappresentante di un popolo è scollato da esso, è chiaro che diventa più soggetto a mercimonio ed è più facile per una lobby, togliere le radici alla pianta della democrazia ed esercitare un’attività di controllo e persuasione molto più penetrante, come ho detto.
Questo al di là della questione massoneria, che ha una molteplicità di sfaccettature troppo ampia per discuterne qui, in questo contesto già denso di per sé.
5.Cosa pensa del monocameralismo?
F.G. Credo non vi sia la necessità del superamento del bicameralismo per giungere ad un’opzione di tipo monocamerale. In realtà, ciò che è necessario e potrebbe essere il secondo passo delle nostre riforme istituzionali, è la trasformazione dell’attuale Senato in una camera di rappresentanza dei territori. Manca, infatti, un efficiente sistema di raccordo fra centro e periferia e questa funzione nei maggiori paesi occidentali in cui vi è un forte decentramento è svolta dalla seconda camera, ovvero dal Senato. Quindi, auspico che il nostro bicameralismo non venga superato ma trasformato in un bicameralismo tipico dei paesi che riconoscono un forte rilievo al principio di autonomia.
E.M. Un aspetto reale di semplificazione è questo, giacché non ci sono più le ragioni che portarono Alcide De Gasperi a rallentare quel processo decisionale in termini di approvazione delle norme per timore di colpi di mano, soprattutto provenienti dal blocco russo. Già Togliatti pensava a una legge che avesse un percorso semplificato, sicuramente di una sola camera, ma la parte democratico-cristiana, che allora aveva la maggioranza, preferì un processo più “meditato”.
Ora non ci sono quei presupposti e con un palinsesto di 160.000 norme, abbiamo un’esigenza reale di ridurre la burocrazia. Il processo di semplificazione di emanazione della legge ordinaria potrebbe essere ridotto della metà attraverso una sola camera, anche di mille deputati. L’importante che quei mille, possano essere eletti in collegi piccoli.
L’Italia è bella perché piena di sfumature che, se ridotte a bianco e nero, invertirebbero il percorso della civiltà.
di Mari Cortese da Free Press Online