L'Opinione

Satman è morto

Satman è morto.
Il suo nome lo conosciamo tutti, è stato brutalmente strappato dall’anonimato di una vita di sfruttamento per pochi euro al giorno, per rimbalzare da un telegiornale all’altro nel solito macabro rituale di sdegno e di indignazione collettiva.
Il moderno mea culpa di una società che crede di lavarsi la coscienza mostrando pubblica prostrazione, stracciandosi le vesti in modo plateale.
Una società che si professa “civile” a ogni barlume di difesa dei diritti, ma che in realtà quando si tratta di difendere nella quotidianità, questi stessi diritti così tanto sbandierati, ipocritamente si gira dall’altra parte.
Satman è morto.
E come lui e prima di lui tanti altri, vittime di un sistema produttivo basato sullo sfruttamento per sostenere la filiera del comparto agricolo alimentare con la compiacenza di istituzioni e governo che, pur avendone consapevolezza, non intervengono per non ledere gli interessi economici e i profitti della grande distribuzione.
I prezzi devono rimanere bassi ma al tempo stesso bisogna guadagnare il più possibile, poco importa se viene sacrificata la vita dei lavoratori!
Un sistema che si batte il petto per mascherare le proprie colpe, che invade tv e programmi recitando il solito slogan rassicurante per tutti e rinnovando il falso impegno per far si che morti simili non accadano più.
Satman è morto.
E gli esponenti politici, a destra come a sinistra, attoniti e stupiti come se fosse la prima volta che sentono parlare di caporalato, questo brutto mostro che mangia le vite degli uomini e che le consuma giorno dopo giorno nel più vergognoso silenzio delle istituzioni.
Da esperti attori, recitano la parte che riesce meglio loro: mostrarsi sdegnati e subito pronti a proporre soluzioni che non varcheranno mai la soglia del Parlamento.
Solerti nel promettere misure immediate, tacciono volutamente che, per poterle attuare, bisogna prima perseguire per davvero la criminale disonestà dei datori di lavoro che sfruttano in modo disumano e che succhiano come sanguisughe la vita dei lavoratori in nero.
Intanto però si organizzano manifestazioni, in questo sono tutti bravi, partiti e sindacati, Verdi, Sinistra Movimento 5stelle, Cgil e persino Legambiente e la stessa segretaria del Pd Elly Schlein .
Tutti pronti a sfilare per protesta lungo le vie delle città in nome di Satman, in nome di un uomo che avrebbe dovuto essere tutelato da vivo e non da morto. Perché Satman così come tantissimi altri disperati come lui, è arrivato qui in Italia per una speranza di vita migliore e non certo per essere ridotto a una condizione di moderna schiavitù nei campi di Latina.
Satman è morto.
Ma Satman era venuto in Italia con la sua famiglia per lavorare dignitosamente e non per morire di una morte disumana e soprattutto evitabile se solo ci fosse stata una reale politica di prevenzione e di tutela.
Invece, e di questo non se ne parla ovviamente, sono anni che il governo non convoca il tavolo di contrasto al caporalato.
Le morti sul lavoro sono morti di second’ordine, non contano quanto i progetti di legge che assicurano interessi e profitti sia economici che politici per coloro comodamente seduti nelle loro poltrone in Parlamento.
Ipocritamente abbiamo un Ministero per la sovranità alimentare che esalta il lavoro del contadino come atto identitario della nostra Nazione, ma che paradossalmente si scontra con la dura realtà del lavoro in nero di migliaia di immigrati che, con la loro dignità strappata, rendono “bello” il nostro made in Italy nel mondo.
Il nostro orgoglio in campo alimentare è macchiato dal sangue di tutti coloro i quali sono morti senza un perché.
Satman è morto.
E con la sua morte ha vinto la logica cinica e disumana della nostra società che ha fatto del capitalismo l’unico dio a cui rendere conto, l’unico dio a cui sacrificare ogni valore e sentimento umano.
Satman è stato ucciso due volte, la prima da una macchina che lo ha fagocitato tagliandogli un braccio e la seconda dalla brutalità di un sistema di profitto totalizzante che ha annientato l’essere umano.
Nella nostra società civile ed evoluta non c’è più posto per la morale o la pietà, sbandieriamo diritti civili, politici, sindacali e umani, ma ne abbiamo smarrito il senso più profondo in una generale e cruda insensibilità verso l’altro.
Satman è stato gettato davanti a casa sua perché oramai era solo un oggetto inutilizzabile, uno scarto di nessun conto. Il suo braccio mozzato dentro la cassetta della frutta è l’emblema di questa degenerazione umana verso il profitto a ogni costo che pone come solo obiettivo produttività e ricchezza.
Un processo autodistruttivo che ci ha reso tutti parti sostituibili di un unico ingranaggio che non può più essere fermato.

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