“Salveremo il mondo prima dell’alba”: la “Carrozzeria Orfeo” allo Stabile
È andata in scena in questi giorni alla Sala “Verga” del Teatro Stabile della nostra città: “Salveremo il mondo prima dell’alba” della nota Compagnia “Carrozzeria Orfeo” nella versione drammaturgica di Gabriele Di Luca.
con (in ordine alfabetico): Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Roberto Serpi, Massimiliano Setti, Ivan Zerbinati.
Regia: Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi; consulenza filosofica Andrea Colamedici – TLON; musiche originali Massimiliano Setti; scenografia e luci Lucio Diana; costumi Stefania Cempini.
Illustrazione locandina Federico Bassi e Giacomo Trivellini.
Una coproduzione di: Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, in collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto -Teatro Dimora-La Corte Ospitale”.
La Compagnia “Carrozzeria Orfeo”, fondata nel 2007 da Massimiliano Setti, Gabriele Di Luca e Luisa Supino, diplomati tutti all’Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine, ha la sua sede a Mantova.
Con un oltre dieci spettacoli all’attivo e il film “Thanks!” è vocata fin dall’inizio al teatro pop.
Autori, registi ed interpreti dei propri spettacoli, dei quali curano anche la composizione delle musiche originali, affondano – fra dramma e ilarità – la lama nella critica sociale. Nel 2019 Di Luca e la Schiros sono anche stati premiati con il Premio E.T.I. ‘Gli Olimpici del Teatro’ (oggi ‘Le Maschere del Teatro Italiano’).
Carrozzeria Orfeo si confronta in questo lavoro con una tematica psico/sociale diversa dalle precedenti.
Abbandonate le misere periferie urbane e la cruda denuncia che rappresentano si rivolgono all’altra faccia della medaglia affrontando l’aduso dilemma: anche i ricchi piangono?
La risposta è ovviamente: Sì!
L’indice è puntato stavolta contro la mentalità capitalistica mettendo a nudo le debolezze di quanti ‘appaiono’ vincenti ma in realtà restano intrappolati da tragiche dipendenze (sessuali, affettive, da lavoro, da psicofarmaci), da insostenibili sensi di colpa che questo ricco mondo ‘da copertina’ genera con il suo falso e transitorio successo.
La ricerca di dare un senso alle proprie esistenze conduce il gruppo di infelici ricconi in una clinica di lusso creata, per sfuggire alla loro opprimente realtà, su un satellite orbitante nello spazio siderale.
Finalmente tanto lontani da quell’ansiogena Terra da poterla guardare attraverso un oblò con un improbabile cannocchiale.
Uno spregiudicato imprenditore di farine animali e il suo tenero compagno hippie, un cinico creatore di fake news col servitore bangladese e una pop star che cerca di superare con gli psicofarmaci il panico del fallimento e il tradimento della madre affidano, così, le loro inquietanti dipendenze al dialogo guidato da un coach motivazionale, una figura in bilico tra psicanalista e animatore turistico.
Ma le dipendenze e il tentativo di riabilitazione sono soltanto un segno, un paradosso, una metafora della realtà contemporanea osservata con crudele disillusione, con ironica lucidità: la risata che suscitano nasconde un dolore profondo.
Il primo tempo riesce di difficile comprensione anche per il ritmo compulsivo (è diventato una moda…) e quasi schizofrenico della recitazione, spesso urlata, segnata da un serrato incalzare di parole, dialoghi e riferimenti (eduardiani, russi e anglosassoni e statunitensi hanno detto), conditi di un ridondante turpiloquio.
Nel secondo tempo il ritmo finalmente rallenta. I singoli protagonisti cominciano un lavoro di scandaglio interiore, si confrontano con se stessi e tra di loro, in un clima di fine incombente, alla ricerca di una qualche salvezza, mentre il mondo si avvia ciecamente, inconsapevolmente alla propria distruzione atomica.
Gabriele De Luca ci presenta però, in oltre due ore (troppe!), una carrellata di tematiche -tutte significative- così fitta da non consentire allo spettatore il giusto e meritevole approfondimento tale da sollecitare, senza appiattirla, una riflessione sul presente. Sembrerebbe venir meno, a volte, il collante, il senso dell’insieme.
Questo microcosmo umano, nel finale, cerca comunque (ognuno a modo suo) una via di fuga.
No, non salveranno il mondo prima dell’alba!
E la speranza? “Non si tratta di generare speranze – scrive Sergio Lo Gatto – Nessuno, qui, vuol essere consolato, nessuno in fondo crede che davvero salveremo questo mondo”
Eppure nella conclusione, anche se piuttosto retorica, solo l’attrice e l’extracomunitario resteranno, attorno ad un bonsai che rifiorisce, come unici prototipi destinati a continuare una futura umanità in una realtà nuova dopo il disastro, dopo l’Apocalisse…ma senza più neanche Dio.
A fine spettacolo molti applausi e qualche perplessità.