Politica

Sahra Wagenknecht: “Contro la Sinistra Neoliberale”

“Sinistra” era un tempo sinonimo di ricerca della giustizia della sicurezza sociale, di resistenza, di rivolta contro la classe medio-alta e di impegno a favore di coloro che non erano nati in una famiglia agiata e dovevano mantenersi con lavori duri e spesso poco stimolanti. Essere di sinistra voleva dire perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà, dischiudere loro possibilità di formazione e di ascesa sociale, rendere la loro vita più facile, più organizzata e pianificabile. Chi era di sinistra credeva nella capacità della politica di plasmare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. Naturalmente gli elettori di sinistra sono stati sempre coinvolti nelle battaglie contro le discriminazioni legali, per esempio nel movimento per i diritti civili negli Stati Uniti degli anni Cinquanta e Sessanta. (…) Naturalmente ci sono sempre state grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra. (…) Ma nel complesso una cosa era chiara: i partiti di sinistra, che fossero socialdemocratici, socialisti o, in molti paesi dell’Europa Occidentale, comunisti, non rappresentavano le élite, ma più svantaggiati.” (pag. 22-23). Con queste parole, Sahra Wagenknecht, esponente di punta di Die Linke, partito di estrema sinistra della Germania, descrive la sinistra tradizionale. Nel suo libro intitolato Contro la sinistra neoliberale, analizza e descrive i caratteri di una parte della sinistra attuale che definisce appunto come sinistra neoliberale. Questa sinistra alla moda è molto attenta al linguaggio: si è battuta per cambiare il nome al Salsa zigana Knorr in nome dell’antirazzismo, ma sorvola sul fatto che la Unilever che produceva tale salsa avesse imposto ai lavoratori condizioni di lavoro molto più dure. Questi politici di sinistra pongono molta attenzione alle esigenze delle minoranze (etniche, religiose, politiche e sessuali), ma dimenticano i problemi delle maggioranze come gli operai e non parlano più di lotta di classe. In materia di diritti, la sinistra alla moda spinge sull’espansione dei nuovi diritti individuali in materia sessuale e di bioetica e mette in secondo piano i diritti sociali e i diritti collettivi. Chi lavora non vende il proprio lavoro come una merce (Marx), ma investe il proprio capitale umano. Con la prima formula si spingevano i lavoratori verso la solidarietà reciproca, con la seconda si esaltano l’autoimprenditorialità e i lavori parasubordinati.

Il linguaggio della nuova sinistra è profondamente diverso da quello della sinistra tradizionale. Spesso è elaborato in ambienti universitari colti e molto lontani dai sobborghi malfamati di alcune città. È una sinistra che rifiuta l’ideologia, ingombrante eredità del XX secolo e della modernità e parla di “racconto” o di “narrazione” che sono termini tipici della filosofia del post-modernismo e quindi più adatta all’epoca post-ideologica e post-nazionale (pag. 58-67). Lotta di classe, patria, popolo sono termini tabù, mentre rifugiato, migrante, straniero, gender, cambiamento climatico sono i nuovi termini della lingua della sinistra alla moda. Per la sinistra alla moda è più importante cambiare le desinenze per questioni di genere o il linguaggio degli enti pubblici per ragioni legate all’immigrazione che aumentare il salario minimo o introdurre una patrimoniale (pag. 44)

Questa trasformazione della sinistra è avvenuta dopo il crollo del Muro di Berlino, quando Blair, Clinton e Schroeder hanno vinto le elezioni nei loro paesi (pag. 48-49) e implementato politiche economiche molto lontane dal classico keynesismo della sinistra e hanno gran parte delle ricette economiche del neoliberismo. Il reddito di base (il cd. reddito di cittadinanza italiano e l’Hartz IV della Germania) è, secondo questa politica tedesca, l’espressione di uno Stato sociale minimalista in linea con i dettami dell’ideologia neoliberista e non con i caratteri della sinistra tradizionale (pag. 49 e 162). Già Alcuni critici dell’epoca avevano il blairismo (la terza via di A. Giddens) come un “thatcherismo di sinistra”. In tempi recenti, l’economista Alberto Alesina ha pubblicato saggi in cui sostiene che il liberismo economico è di sinistra.

La Wagenknecht focalizza la sua attenzione proprio su questi passaggi epocali che hanno portato alla sinistra neoliberale attuale composta di laureati provenienti da ceti medio-alti, borghesi: “Il tipico rappresentante della sinistra alla moda vive in una grande città o almeno in un’elegante cittadina  universitaria e ben di rato in periferie di Bitterfeld o Gelsenkirkchen. Si è laureato o ancora studia, caldeggia un’economia della decrescita e segue un’alimentazione biologica. I consumatori di carne da discount, coloro che guidano auto diesel o vanno a Maiorca con voli low cost sono il male assoluto” (pag. 28). Quasi sempre gli esponenti di questi gruppi sono cosmopoliti, favorevoli all’Unione europea e danno per scontato che lo stato nazionale non valga più niente e che, anzi, smantellare il Welfare State sia una fonte di progresso, mentre mantenerlo sia espressione di conservatorismo, di nazionalismo o di addirittura di nazionalsocialismo. Inoltre, il sostegno alle battaglie ambientaliste ha sostituito ogni critica più o meno esplicita al sistema capitalistico in quanto tale. Ed è capitato che i manifestanti ambientalisti della sinistra alla moda abbiano disprezzato i minatori che intonavano i vecchi canti di lotta.

Ciò che rende i rappresentanti di questa sinistra alla moda così antipatici agli occhi di molti e soprattutto i meno fortunati è la loro innata tendenza a giudicare i propri privilegi come virtù personali e a presentare la propria visione del mondo e il proprio stile di vita come la quintessenza della responsabilità e del progressismo. È il compiacimento di sé di chi si reputa moralmente superiore, cosa che accade di frequente nella sinistra alla moda, è la convinzione, palesata in modo troppo insistente, di essere dalla parte del bene, del giusto e della ragione. È la supponenza di chi guarda dall’alto in basso lo stile di vita, i bisogni e persino il linguaggio di coloro che non hanno potuto frequentare l’università, vivono in piccoli centri e comprano da ALDI i prodotti per la grigliata perché il denaro deve bastare a fine mese. È innegabile la mancanza di empatia nei confronti di tutti coloro che devono combattere più duramente per un po’ di benessere e che forse anche per questo risultano a volte più coriacei e astiosi e spesso di cattivo umore” (pag. 28-29).

Contro questa sinistra, le destre hanno costruito una notevole ed efficace propaganda. Trump si è presentato come l’amico della gente comune e l’avversario delle élite progressiste e ricche dei grandi centri urbani, che spesso disprezzano i membri dei ceti medio-bassi. L’autrice porta come esempio di questo atteggiamento la dichiarazione di Hillary Clinton che durante la campagna elettorale del 2016 definì l’elettorato di Trump un basket of deporables, un cesto di miserabili, in altri termini cafoni o analfabeti funzionali. La Wagenknecht considera questa dichiarazione un grande errore strategico, ma ammette che è stata una dichiarazione onesta, l’espressione chiara e lampante della forma mentis di una ricca avvocata progressista e liberal.

Secondo la politica tedesca, la sinistra è ormai in mano alla sinistra neoliberale, ai presuntuosi, i Selbstgerechten, che hanno fatto perdere elettori ai grandi partiti di massa e li hanno regalati alle destre e che hanno perso il contatto con la realtà di disagio e di povertà delle periferie più povere delle città e delle campagne. A loro addossa la responsabilità delle sconfitte del centrosinistra e della sinistra in Europa e la vittoria delle destre.

È un libro che sta facendo molto discutere e che descrive quella parte della sinistra che in Italia talvolta viene definita come sinistra fuksia (es. Rizzo), radical chic, sinistra petalosa (A.Contarino).

Questa trasformazione descritta nel saggio della Wagenknecht è avvenuta in forme diverse in Italia. Negli Settanta, molti giovani erano comunisti e partecipavano alle manifestazioni con il pugno alzato. Già negli anni Ottanta, questi elettori hanno virato verso il PSI, che ancora proponeva politiche fortemente socialiste e keynesiane, ma era già un partito molto borghese. Con la fine del comunismo, una parte dell’elettorato di sinistra è confluito nel centrosinistra assumendo molti dei caratteri della sinistra neoliberale descritti dalla Wagenkencht (immigrazionismo, nuovi diritti, gender, eutanasia). La gran parte ha accettato il berlusconismo e in tempi recenti addirittura il salvinismo. La deriva neoliberale del centrosinistra italiano è stata ben descritta da Angelino Alfano. Il delfino di Berlusconi che sostenne il governo Renzi dichiarò che in fondo in fondo, il programma economico del centrosinistra renziano era abbastanza simile a quello del centrodestra. Le uniche differenze erano solo sul piano dei diritti. Alfano da cattolico rifiutava le coppie gay, l’eutanasia e l’aborto, che sono accettate nel centrosinistra. Il renzismo era una sorta di neocentrismo parlamentare unito ad una forma di iperliberismo economico.

Il libro di Sahra Wagenknecht è di importanza epocale. È molto chiaro e ben scritto. Descrive perfettamente la crisi della sinistra a livello globale e la lenta morte della sinistra europea ad opera dei neoliberali progressisti. Ribadisce la validità delle lotte e dei programmi della sinistra più tradizionale.

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