Riflessioni post-pandemiche di giustizia contributiva e statistica economica
La proposta avanzata tempo fa da Enrico Letta, inerente alla introduzione di una imposta di natura patrimoniale, ha ricalcato perfettamente la logica alla cui base vi fu l’imposizione dell’ISI sui conti corrente e dell’ICI sulle case, adoperata del governo Amato, al pari di quella dell’introduzione dell’Imu applicata, anni dopo, dal governo Monti. In entrambe i casi si parlò di un fisco cosiddetto “punitivo” con una imposta progressiva sui piccoli patrimoni immobiliari e mobiliari. Da sempre nel nostro paese il valore dell’imposizione fiscale è stato, nella riflessione generale sul tema, il principale indice di giustizia sociale sbandierato anche se, raramente, le proposte fatte hanno riguardato, realmente e concretamente, il perseguimento dell’equità sociale e della redistribuzione della ricchezza verso il basso. La colossale area di evasione tributaria nel nostro paese, d’altronde, ha sempre fatto palesare la necessità dell’imposizione di riforme strutturali ma che mai hanno avuto seguito se non nel lontano 1973 quando il ministro delle finanze, Luigi Preti, propose l’applicazione del principio di progressività dell’imposta, principio peraltro già previsto dalla nostra Costituzione. La riforma Preti, se pienamente applicata, attraverso la progressività dell’imposta, avrebbe consentito forse l’introduzione di una patrimoniale che avrebbe potuto modificare realmente l’estrema iniquità dei dati registrati nel momento storico attuale. Certo imporre il pagamento delle tasse nei paesi europei ove si produce sarebbe già un primo passo avanti di giustizia contributiva in un sistema paese, quale quello italico, dove il 20% degli italiani detiene oltre il 60% della ricchezza nazionale ed il 5% dei ricchi possiede addirittura il 41% della ricchezza del paese. Ciò diversamente detto significa che attualmente nel nostro sistema paese la ricchezza di un 5% di privilegiati italiani eccede la ricchezza dell’80% rimanente di tutti gli altri italiani. In tutta questa riflessione su ceto medio ed equità tributaria va, però, ricordato sempre che, ad oggi, epoca post Covid, i dati presentati dalla “relazione annuale su reddito, consumi e pressione fiscale sulle famiglie italiane” vedono le stesse come più povere in un quadro in cui la pressione fiscale sta riprendendo a crescere in una maniera allarmante, con uno shock fiscale che attesta la pressione fiscale generale e quella delle famiglie, nel 2020 rispetto al 2011, in un trend in salita. E tutto questo, paradossalmente, in un momento in cui la lunga crisi ha depresso i redditi familiari, a livello di reddito mediano, con un conseguente crollo delle spese per i consumi. Le famiglie italiane hanno visto nel 2020 uno shock fiscale residuo di 1,76 punti rispetto al 2011, shock fiscale con al centro ancora i valori impositivi Irpef ed Imu. Come se ciò non bastasse l’emergenza Covid 19 ha inciso, profondamente ed ulteriormente, sui redditi e sui consumi delle famiglie con effetti inattesi anche sulla pressione fiscale. Certo a livello aggregato le famiglie hanno contenuto il calo del reddito grazie agli ingenti aiuti pubblici ma questo non è stato sufficiente ad impedire da un lato l’aumento del valore delle famiglie povere e dall’altro che molte altre abbiano sperimentato un incremento di ricchezza proprio a causa del crollo dei consumi. Se, quindi, a prima vista la statistica economica presenta le condizioni economico finanziarie delle famiglie italiane come buone, grazie alla tendenza al risparmio, l’allarme reale riguarda, invece, il ritorno di molte famiglie in uno stato di povertà, dopo la netta ripresa che nel 2019 si era registrata. Il problema è che la crescita nominale non ha battuto l’inflazione ed ancora ampio risulta il divario di ricchezza tra nord e sud e addirittura tra regione e regione. La grande recessione ha colpito duramente i redditi da lavoro autonomo e se il divario di genere, in linea generale, pare essersi ridotto la verità è che in Italia il post Covid ha lasciato in eredità un allarmante e reale problema di povertà, problema che trapela dal valore numerico assoluto della proporzione dei poveri e da quanto questi siano poveri in termini di spesa media mensile. Sul territorio nazionale a partire dal 2005 la percentuale di famiglie in povertà assoluta è andata aumentando e, anche se è calata l’intensità dell’indice tra il 2019 ed il 2020, rimane assodato che già prima della pandemia la povertà relativa era migliorata al nord ma peggiorata al sud. Il tema, quindi, della riforma del fisco, oggi, non può più prescindere da una considerazione anche di giustizia tributaria ed equità tributaria nazionale, considerazione che deve necessariamente tenere in conto il divario tra nord e sud e soprattutto il divario tra redditi da lavoro dipendente e redditi da lavoro autonomo. Uno dei più grandi paradossi che la pandemia ha generato, infatti, come visto, è stato il fatto che le famiglie più abbienti si sono trovate, in termini relativi, in una situazione nettamente migliorata mentre quelle già in difficoltà hanno subito un ulteriore aggravamento della loro situazione. Ciò è avvenuto, purtroppo, perché gli interventi pubblici a protezione del reddito e del lavoro non sono riusciti ad impedire una grande crisi economica e sociale ed il governo non si è posto il problema di intervenire sulla pressione fiscale. La soluzione alla povertà non è certo stata l’introduzione del reddito di cittadinanza, che risulta essere un palliativo temporaneo, ma avrebbe dovuto essere, una volta e per tutte, adoperare e concretizzare una vera riforma strutturale del fisco. Il fisco punitivo per il ceto medio e l’equità sociale, infatti, sono solo un risvolto polemico ed inutile di una medaglia la cui facciata principale è quella per cui il problema primario nazionale è che paradossalmente la statistica economica, applicata da sempre, vede, in base ai valori numerici registrati, che le condizioni economiche finanziarie risultano mediamente buone anche se, oggi, la tendenza nazionale registra, nell’anno concluso, un +333 mila famiglie che versano in una situazione di povertà assoluta. Come dire che un uomo con la testa in un forno ed i piedi in un congelatore mediamente sta bene anche se di fatto è in agonia…