Riarmo europeo: la storia insegna, ma l’Europa non impara

L’Europa ha deciso di abbandonare la memoria per abbracciare l’amnesia. Sorvolando sulle macerie di due conflitti mondiali, sul filo spinato della Guerra Fredda e sul sangue versato in decenni di conflitti periferici, i leader europei si lanciano a capofitto in una nuova corsa al riarmo. Il progetto “ReArm Europe” propone di destinare il 3% del PIL all’industria bellica, a favore di un’oligarchia politico-industriale che conterà i miliardi degli ordinativi militari, mentre i cittadini contano gli spiccioli. Un secolo fa, nel 1914, le potenze europee si sfidavano a suon di corazzate e cannoni, prima che un colpo di pistola a Sarajevo trasformasse il continente in un mattatoio. Trent’anni dopo, il copione si ripeteva con Mussolini che immaginava imperi irrealizzabili, Hitler preparava la sua Blitzkrieg e le altre potenze europee accumulavano arsenali in nome della sicurezza. Il risultato? Una spirale di distruzione che ha lasciato l’Europa in ginocchio.
La storia, ostinata maestra, ha tentato invano di insegnarci quanto la corsa agli armamenti non abbia mai prodotto altro che bare e rovine. Eppure, eccoci qui, nella civilissima Europa del 2025, pronti a ripercorrere sentieri già battuti con la stessa baldanza di chi crede di aver scoperto l’acqua calda. I nostri raffinati strateghi si affannano a spiegare che questa volta è diverso, che la “minaccia dell’Est” richiede misure straordinarie, che la sicurezza non ha prezzo. Peccato che la sicurezza abbia invece un prezzo molto preciso: quello pagato dai contribuenti europei mentre gli affari dell’industria bellica schizzeranno verso l’alto.
Oggi, il disco rotto della storia riprende a suonare. Da una parte Leonardo S.P.A., Rheinmetall e BAE Systems applaudono entusiaste, dall’altra i cittadini europei assistono attoniti alla metamorfosi di un continente che preferisce investire in ordigni piuttosto che in ospedali. Gli Stati Uniti, fedeli al loro complesso militare-industriale, orchestrano il tutto sotto l’egida della NATO, mentre l’Europa, che dovrebbe essere baluardo di pace e cooperazione, si trasforma in docile mercato per l’industria bellica transatlantica. La minaccia russa, indubbiamente reale, diventa così il cavallo di Troia per interessi ben più concreti dei presunti timori geopolitici. La retorica patriottica dei nostri governanti nasconde una verità scomoda: ogni euro destinato ai missili è un euro sottratto alla sanità, all’istruzione, alla transizione ecologica.
L’ironia della situazione raggiunge vette vertiginose quando si osserva come gli stessi paesi che tagliano fondi all’assistenza sanitaria in nome dell’austerità, trovino miracolosamente risorse per finanziare portaerei e sistemi missilistici. La Germania, patria del rigore finanziario europeo, scopre improvvisamente la virtù del deficit quando si tratta di riarmare le proprie forze di terra. La Francia, con le sue banlieue in fiamme e un sistema di welfare sempre più fragile, trova miliardi per aggiornare il proprio arsenale nucleare. L’Italia, con il suo debito pubblico astronomico e le sue infrastrutture fatiscenti, annuisce e si allinea muta al progetto di acquisizione militare.
E il paradosso supremo è che tutto ciò avviene contro la volontà dei cittadini europei, che nei sondaggi chiedono a gran voce investimenti nei servizi essenziali, non nelle bombe. Ma si sa, la democrazia è un concetto flessibile quando si scontra con gli interessi dell’élite. La storia parla chiaro: riarmarsi non previene le guerre, le prepara e mentre la politica si riempie la bocca di “deterrenza”, le lobby fanno affari d’oro. Forse dovremmo ricordare che la pace si costruisce con il dialogo, non con i carri armati. Ma si sa, la storia non insegna nulla a chi non vuole ascoltare.