L'Intervista

Quattro chiacchiere con l’attrice Gabriella Saitta

Gabriella Saitta è figlia d’arte, suo papà Ugo era un noto regista. Gabriella si è formata al Teatro Stabile di Catania dove ha studiato recitazione con Beppe Di Martino e dove avverrà il suo esordio. Poi frequenta a Roma il Laboratorio di Esercitazioni sceniche di Gigi Proietti. Recita nel cinema, nella pubblicità televisiva, in teatro e, nel periodo più recente, in diverse fiction televisive. In questi ultimi anni si è dedicata all’insegnamento.

Ciao Gabriella e benvenuta su Sikelian, partiamo con il ringraziarti per il tempo e l’opportunità che ci concedi per questa intervista, una bella occasione per scambiare quattro chiacchiere.

Partiamo con una domanda per rompere il ghiaccio: il teatro, come ricorda Artaud, è una sorta di peste ovvero una malattia in grado di curare l’essere umano. Nel tuo caso quando è avvenuto il contagio? Quando ti sei contagiata la prima volta?

Penso di essere nata contagiata venendo da una famiglia contagiata già da generazioni. Mia nonna paterna cantante lirica, mio papà regista, mia mamma prima operatrice alla macchina da presa in Europa. Credo di non aver avuto scelta, il DNA è quello e ne sono felice. Prova ne è che già in tenera età organizzavo a casa spettacoli con le mie compagnette di scuola, facendo anche pagare il biglietto al pubblico che riuscivamo a coinvolgere. Ogni attrice, ogni interprete, nel corso della carriera, accumula nel suo baule professionale ricordi, memorie e testimonianze. Il tuo cosa potrebbe contenere, per adesso? Immagina di aprirlo in questo momento, cosa potrebbe esserci dentro in questo baule dell’attrice? Avendo iniziato la carriera professionale veramente presto, avevo 15 anni, e avendo avuto la fortuna di conoscere e lavorare con i grandi dell’epoca, i ricordi sono veramente tanti. Partendo dal mio primo insegnante (mio padre a parte), il regista Giuseppe Di Martino con cui ho fatto i primi passi nello spettacolo “Così è se vi pare” di Pirandello. Continuando con il grande Gigi Proietti mio maestro al suo famosissimo laboratorio di esercitazioni sceniche, che ho avuto la fortuna di frequentare per più di tre anni. Annabella Cerliani e ancora Ugo Gregoretti, il grandissimo Antonello Falqui, l’altrettanto ‘monumentale ‘ Pietro Garinei avendo partecipato agli spettacoli “Attore amore mio” con Gino Bramieri e Gianfranco Iannuzzo e “Cercasi tenore” con Enrico Montesano, entrambe con la sua regia al Teatro Sistina. E poi Domenico Modugno, che ho avuto anche lì la fortuna di affiancare come protagonista femminile nello sceneggiato (allora si chiamavano così) “Western di cose nostre”, con la regia di Pino Passalacqua che per primo credette in me affidandomi un ruolo tanto ambito. Per l’occasione ebbi anche il piacere di fare un interessante viaggio in treno con il fantastico Andrea Camilleri, sceneggiatore dello sceneggiato. E poi Gianni Cavina che da poco ci ha lasciato e ricordo con affetto, Franco Enriquez, Enrico Maria Salerno, Carol Alt, Pino Caruso, Fioretta Mari e tanti, tanti altri. Ma fra i ricordi indimenticabili rimane la partecipazione alle riprese del film “C’era una volta in America“ dove fui scritturata per fare la controfigura alle luci di Elizabeth McGovern. Incredibile ma vero, fu così che potei assistere a molte delle riprese, oltre ad avere la possibilità di stare spesso vis à vis con De Niro che gentilmente, per far conversazione mi chiedeva se facevo l’attrice e io, diventando rosso bordò e vergognandomi come una ladra, ebbi l’ardire di dire di sì. Su quel set ebbi anche la possibilità di conoscere e poi frequentare, bontà sua, il grande Direttore della fotografia premio Oscar Tonino Delli Colli. A ripensarci oggi sembra tutto un sogno a cui, all’epoca, non riuscivo neanche a dare il giusto valore.

Bergman affermava che il teatro era sua moglie ed il cinema l’amante. Nel tuo caso quali definizioni sceglieresti per queste due forme di spettacolo, e cosa ti ha regalato ognuna?

Copiando da Serena Bortone li definirei affetti stabili. Nel cinema ci sono nata il teatro l’ho scelto. Mi hanno regalato la gioia di fare il lavoro più bello del mondo.

Cosa porti in dote nella vita di tutti i giorni della tua professione di attrice?

La pazienza.

Uno psicologo, una volta, alla fine di una rappresentazione, disse che ammirava le attrici e gli attori per la ginnastica mentale che praticavano nell’esercizio del loro mestiere. Seguendo questa definizione, quali esercizi sono particolarmente impegnativi secondo te?

L’esercizio dell’attore è un impegno a 360 gradi che partendo dal corpo, la voce, la concentrazione, la pazienza, la forza di volontà, dovrebbe arrivare all’anima.

Nella scuola di recitazione Atman cosa insegni ai tuoi allievi oltre alle metodologie didattiche e recitative? Ci accenni quali sono i tuoi approcci olistici alla recitazione e all’espressività di ognuno?

Partendo dal chiarire che recitare per me non è sinonimo di fingere, ma al contrario, di riuscire a dare luce a quelle parti di noi spesso più nascoste. Il lavoro che amo fare è proprio quello di aiutare l’allievo a liberarsi da tutti quei blocchi che non gli permettono di manifestarsi interamente e serenamente sia nella vita che sul palcoscenico. Ogni allievo/a porta il suo mondo unico e straordinario, che spesso neanche conosce e che va con delicatezza e rispetto scoperto per dargli luce e valore.

Cosa bolle in pentola? Quali nuovi progetti sono sul piede di partenza in questo periodo?

Il progetto più importante ed emozionante per me è sempre quello rivolto all’inizio dei nuovi corsi che stanno partendo proprio in questi giorni, compreso quello rivolto ai bambini, entusiasmante novità per la nostra scuola. E poi c’è Natale che ci attende sicuramente con lo spettacolo “Di…“versi” a Natale” da me interpretato insieme ai miei allievi. E per l’anno prossimo? Tante sorprese!

Qual è il messaggio che vuoi dare ai giovani che oggi si affacciano nel mondo dello spettacolo?

Non fatevi spaventare da chi non ha più sogni e… studiate, studiate, studiate!

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