Quando una “misura funzionale” è migliore di una “misura equa”
Va prendendo corpo il testo dell’attesissimo provvedimento emergenziale che sfrutterà i 32 miliardi di euro previsti dall’ultimo scostamento di bilancio nazionale e, al riguardo, sul tema della riscossione, sembra proprio che il testo del “Decreto Sostegno” voglia mettere mano al portafoglio dell’Agenzia delle Entrate che, attualmente, contiene oltre 130 milioni di cartelle esattoriali. Il decreto in cantiere dovrebbe, quindi, prevedere lo stralcio di quelle cartelle che hanno un importo massimo di 5000 euro, comprensivo di sanzione ed interessi, per debiti a ruolo dall’anno 2000 al 2015, per un totale di quasi 60 milioni, cioè quasi la metà del totale. Nel nuovo provvedimento ci sarebbero anche altre due novità inerenti il settore quali la sospensione dell’invio di nuove cartelle esattoriali fino al 30 aprile 2021 e la proroga per il pagamento delle rate della “rottamazione ter” e del “saldo e stralcio”, sempre al 30 aprile 2021. In tal modo, secondo gli esperti, si garantirebbe un sostegno ai contribuenti, attualmente in difficoltà, dotato di una maggiore “capacità operativa” e di una maggiore “funzionalità”. Certo parlare, anche se in maniera elusiva, di “condono” risulta essere sempre stato un problema complesso e spinoso nel quale il dubbio che sempre si è palesato è stato, in primis, se la funzionalità pratica della misura coincida anche con l’equità della stessa e, in secundis, se l’equità di lungo termine del provvedimento sia sacrificabile in nome di una funzionalità dei risultati di breve termine. E’ indubbio che la tempesta finanziaria che stiamo attraversando sia connessa anche alle fragilità intrinseche di un’Italia che è ancora carente sotto il profilo politico e degli assetti istituzionali ed ove la politica di bilancio resta il cuore dei problemi italiani. Certo le turbolenze dimostrano che i mercati non hanno fiducia nell’impegno dell’Italia a conseguire il pareggio di bilancio poiché la solidità dei conti pubblici andrebbe accompagnata e rafforzata da misure specifiche per la crescita dell’economia e da meccanismi volti a sbloccare gli investimenti pubblici e privati, modernizzando la pubblica amministrazione per lasciare più spazio all’iniziativa imprenditoriale ed al mercato. Ciò certamente ridurrebbe i confini dello stato con misure vere di liberalizzazione per eliminare posizioni di rendita e restituire efficienza ai servizi. Guardando, però, alla struttura della spesa pubblica nazionale è evidente che non si può prescindere da interventi per aumentare l’incasso del gettito fiscale. Se da sempre la variabile dell’evasione fiscale è un tema su cui non si può sottacere è parimente vero che se da un lato vanno evitate misure di vera e propria oppressione fiscale nei confronti dei contribuenti dall’altro andrebbero evitate, all’opposto, misure che facciano eguagliare l’evasione fiscale al tollerato mancato ottempero degli oneri tributari in carico dei contribuenti. Se, infatti, necessita attuare un piano straordinario di lotta all’evasione fiscale e contributiva, utilizzando i proventi per ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro, è pur vero, che l’efficacia pratica della lotta statale al fenomeno non migliora con condoni indiscriminati che anzi aumentano il malcontento popolare e frustrano le future condotte fiscali volte alla correttezza e puntualità. Purtroppo, nonostante i numerosi sforzi finanziari e materiali effettuati, ancora la strada per sconfiggere il nemico risulta lunga nonostante da più parti si proclami la logica dell’evasione fiscale come variabile dall’effetto alterante delle logiche di mercato capitalistiche, con conseguente necessità di aumento della pressione fiscale nei confronti di tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale. La realtà è che l’evasione fiscale, per la maggior parte a livello di sua esegesi, rimane un problema semplicemente di “forma mentis” che certamente vede nel condono, quandanche svolto per fini pratici necessari, una sorta di giustificazione della condotta di chi per anni non ha fatto il proprio dovere di contribuente, ingenerando una perdita di fiducia nelle istituzioni. Anni orsono l’arrivo nel panorama finanziario italiano del nuovo termine quale “scudo fiscale” tra gli innumerevoli dibattiti che ha sollevato ne ha aperto uno addirittura all’interno della società in merito al grado di “compartecipazione” di quei cittadini dei singoli stati agli inevitabili sacrifici che li attenderebbero negli anni futuri, funzionale anche al calcolo della possibilità che un emittente sovrano non finisca in default. Purtroppo siamo già a citazioni del passato riguardanti “lacrime, sudore e sangue” ed inevitabile risulta il ritorno alla mente di termini quali “patriottismo finanziario” e “finanza comportamentale” necessitando, quindi, ottemperare ad una analisi di questi due concetti economici al fine di poterli comprendere nella loro più propria accezione metafisica. Certo è che gli studi comportamentali non sono perfettamente in grado di trovare delle opportune giustificazioni per tutte le regolarità ma tuttavia innegabile è che siano una vera pietra miliare nell’esplicazione dei meccanismi per cui la deterrenza della minaccia di essere identificato e punito da parte del potere pre-costituito ha fatto si che si approfittasse dello scudo fiscale a fronte anche dell’impatto psicologico di un’altra variabile quale la possibilità in futuro di pagare commissioni più basse di quelle in uso nelle piazze offshore. Atteso che l’attesa di migliori risultati dalla repressione dell’evasione fiscale e la concezione che le imposte di domani graveranno sul capitale sono sicuramente variabili che influenzano il comportamento finanziario umano la finanza comportamentale, quindi, avvalora le teorie smithiane per le quali se ognuno compie le scelte per sé migliori le stesse spesso tali non sono per la collettività e la variabile della “irrazionalità” altera e disturba l’efficienza del sistema. Il politologo statunitense John Rawls nella sua opera del 1971 “Una teoria della giustizia” muoveva una forte critica nei confronti della predominante dottrina utilitaristica propugnando, invece, una concezione di giustizia che si basasse sull’idea che tutti i beni sociali principali debbano essere distribuiti in modo eguale, ma una distribuzione veramente eguale poteva esserci soltanto se si avvantaggiano i più svantaggiati. Per Rawls, infatti, l’uso che gli utilitaristi fanno delle probabilità soggettive non è lecito ma alla fine un decisore razionale non può non agire come se le usasse, cioè come se cercasse di massimizzare la sua utilità prevista. Per conseguenza in una società che si fonda sull’uguaglianza delle opportunità, le disuguaglianze di reddito sarebbero giuste perché legate alla bravura di ogni singolo individuo e nascere ricchi o poveri non sarebbe un merito ma si tratta solo di essere più fortunati o meno. Rawls riteneva che una giustizia distributiva equa debba tener conto delle disuguaglianze sociali immediate e creare un sistema dove i meno avvantaggiati possano ottenere il massimo possibile con un’equità distributiva che miri, anzi, a rendere eguale il diseguale valore delle eguali libertà e con il principio di efficienza che sia da rimpiazzare con il principio di differenza specificando che per “eguaglianza democratica” si doveva intendere la priorità data al punto di vista di chi è più svantaggiato nella distribuzione delle dotazioni iniziali, naturali e sociali. Era necessario, quindi, mettere a tacere i propri interessi e preferenze personali e legittimamente auto interessarsi per pervenire al mutuo accordo su quanto fosse collettivamente giusto e questo doveva dipendere solamente dalla mera razionalità delle parti coinvolte nella procedura di convergenza. La conseguenza è che una nazione giusta tenderebbe a mantenere e conservare le proprie giuste istituzioni e le condizioni che le rendano possibili. Ovviamente una società come quella descritta da Rawls non esiste, e non esisterà mai, perché è indice del fatto che i livelli molto alti di motivazione verso il bene pubblico sono intrinsecamente instabili e pericolosi. Per analogia potremmo ben dire, quindi, che oggi chi ha ottemperato ai propri oneri fiscali ha permesso a chi non lo ha fatto di usufruire degli stessi servizi e certamente quando ci si chiederà se tutto questo sia giusto si dovrà amaramente ma realisticamente rispondere che la società giusta non esiste. Oggi, e forse anche domani, esisterà solo la politica delle misure funzionali post covid, quelle del governo “dei migliori” non del governo “dei giusti”…