L'Opinione

Pillole di latino, gocce di poesia e punture di storia nazionale: la ricetta del Ministro Valditara

Possibilità di studiare il latino a partire dalla seconda media – senza alcun obbligo, ma su scelta facoltativa – abolizione della geostoria nelle superiori e più spazio alla storia italiana, con particolare attenzione ai popoli italici, alle origini e vicende dell’antica Grecia e di Roma e ai primi secoli del Cristianesimo.

Sono le “Nuove indicazioni nazionali” per la scuola – i nuovi programmi elaborati da una Commissione designata dal ministro Valditara per “riscrivere la scuola” e introdurre una nuova riforma – che, tra le altre cose, assegnerà più spazio a qualche ora di latino, alla letteratura, alla poesie da mandare a memoria, all’educazione musicale  e alla Storia nazionale.

Lo studio del passato, proposto dal ministro Valditara – teoricamente valorizzato dalla separazione dalla geografia nei programmi per le superiori – compie in realtà un salto indietro di quasi un secolo e mezzo: si torna, infatti, all’analisi privilegiata di specifici momenti ritenuti particolarmente significativi, il cui rilievo è dato dal loro apporto alla creazione “dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente”.

La scuola italiana, pertanto, dovrà particolarmente valorizzare le presunte radici italiche, greche e romane (più che i secoli di sanguinosi conflitti tra le stesse e all’interno di ciascuna di queste società) per poi arrivare al Risorgimento (con Cavour, Garibaldi e Mazzini ritratti in un unico quadro) e quindi alla storia europea del secondo dopoguerra.

Senza alcuna sorpresa, quindi, il processo di unificazione nazionale non sarà, come la storiografia più accreditata raccomanda ormai da decenni, inserito nel più vasto quadro dell’epoca delle “rivoluzioni euroatlantiche” ma rinchiuso nei confini “naturali” della patria. Una carrellata di “grandi uomini” che hanno fatto grande la storia nazionale. La vittima più che evidente di questo processo di riduzione è in primo luogo la storia economica e sociale. Eppure già da tempo gli storici più avveduti hanno sottolineato la necessità di  porre quale inizio della storia contemporanea, che per ovvie ragioni è storia mondiale, non il Congresso di Vienna ma la duplice rivoluzione, quella industriale inglese e quella francese del 1789.

E invece gli studenti italiani devono studiare una sola storia  in cui non trovano posto le altre storie, quelle che hanno visto protagonisti altri popoli in altri continenti.

Dobbiamo allontanarci dalla Storia come disciplina complessa, eterogenea e globale per tornare alla storia  national. Nata coi nazionalismi del XIX secolo, questa particolare narrazione del passato (a volte chiamata dai suoi fautori roman national) mira allo stabilimento o al rafforzamento dell’identità nazionale anche a scapito di una visione complessiva, quella per cui si è battuta la scuola francese delle Annales, che valorizzava invece i tempi lunghi, la storia sociale e le continuità diacroniche.

La riproposizione italiana del paradigma national vuole invece  esaltare i grands hommes e i momenti di maggior sviluppo di una cultura nazionale e costruire una “memoria condivisa” e una riconciliazione nazionale.

Da una parte Valditara, dall’altra gli storici che da tempo dibattono su quale sia la scala da applicare alle loro analisi. “Questo perché (almeno nella storiografia occidentale e con gradazioni diverse da paese a paese) un’unità di misura come quella dello Stato nazione è sembrata essere entrata in una crisi irreversibile. Non si tratta di un fenomeno da poco, considerando che stiamo parlando del parametro attorno al quale si sono costruite buona parte delle narrazioni storiografiche sin dalla seconda metà del XIX secolo”. La centralità delle indagini storiche sulla “nazione”, a metà Ottocento, era il riflesso di un’epoca in cui la storia stava diventando una  disciplina accademica in molti paesi europei: l’affermazione e il consolidamento di nuovi stati nazione, in particolare Italia e Germania,  aveva infatti coinciso con la necessità di scrivere una storia nazionale, una storia dello Stato nazione.

Proprio per provare a scardinare questo nazionalismo metodologico negli ultimi anni si è progressivamente affermata la cosiddetta storia globale, un approccio che ha aiutato a ripensare il nostro passato, tanto rispetto al modo in cui lo si ricostruisce e (in parte) quanto a quello in cui lo si insegna.

Come scrive: lo storico tedesco Sebastian Conrad: “la storia globale non è il solo o il migliore approccio alle scienze storiche, ma innanzitutto uno tra i tanti, che si adatta più di altri a determinati temi e domande. Al centro vi sono processi transnazionali, rapporti di scambio, ma anche confronti nell’ambito di relazioni globali. La connessione del mondo è, in tal senso, sempre più punto di partenza e la circolazione e lo scambio di cose, persone, idee e istituzioni sono tra gli oggetti più importanti di questo approccio”.

Questo non significa che la storia globale sia la storia della globalizzazione, significa invece scardinare le storiografie nazionali occidentali e le narrazioni trionfaliste delle civiltà europee e dei loro successi su scala mondiale. Significa scardinare “il consolidamento, in altre parole, di storiografie eurocentriche che vedevano nella supposta superiorità culturale, sociale ed economica del mondo occidentale euro-atlantico una chiave di lettura soddisfacente per comprendere la storia degli ultimi secoli. Una pratica questa che, nel corso dei decenni, ha prima rafforzato e poi reso quasi inevitabile la tendenza a leggere i fenomeni storici prediligendo (esclusivamente) un angolo visuale nazionale o continentale”.

Questa progressiva messa in discussione delle narrazioni dominanti ha comportato il (parziale) superamento di quelli che potevano sembrare dei veri e propri dogmi storiografici fondati sulle storie nazionali.

La storia globale può  contribuire a inserire la storia italiana in una cornice più ampia, una cornice che ci faciliti nel comprendere (e nell’insegnare) le nostre vicende nazionali  prescindendo da semplificazioni, mistificazioni o riduzioni. Tutti sappiamo come l’insegnamento della storia contemporanea, ed in particolare di quella novecentesca, significhi confrontarsi spesso con questioni ancora in grado di accendere polemiche memoriali e politiche che poco o nulla hanno a che fare con la storiografia (basti pensare a cosa succede ogni anno attorno alla ricorrenza del Giorno del Ricordo). Anche in questa direzione ci pare estremamente utile un approccio di storia globale che potrebbe “aiutare a confrontarci con quel mare magnum memoriale che sembra a volte travolgere l’insegnamento della storia nelle nostre aule scolastiche e universitarie; non per svuotare i processi memoriali, ma per capirli meglio collocandoli in un contesto più ampio e per cogliere quanto sia determinante la cornice nazionale nella loro formazione”.

Provare a leggere la storia  partendo da angolazioni alternative è un esercizio essenziale per ogni studente o studentessa, a meno che non si voglia seguire i deleteri esempi di Vladimir Putin, di François Fillon e di Donald Trump.

Nel settembre del 2014 il presidente russo Vladimir Putin annunciò una profonda revisione dei libri di testo per poter esaltare i valori del patriottismo russo, due anni dopo l’ex primo ministro conservatore francese François Fillon dichiarava che c’era urgenza di rivedere il modo in cui si insegnava la storia nelle scuole francesi: sarebbe infatti stato dato troppo spazio alla storia del mondo a discapito di quella francese. Nel 2017  Donald Trump scriveva che nelle scuole statunitensi ci si sarebbe dovuti limitare a insegnare agli alunni la storia americana.

Sono esempi contro cui sono insorti gli storici francesi, inglesi e italiani.

E, allora, come ha affermato Massimo Cacciari, il ministro Valditara anziché introdurre qualche ora di latino, proporre poesie da mandare a memoria o lo studio della storia nazionale, dovrebbe pensare allo sfascio della scuola italiana, all’abbandono scolastico, ai professori sottopagati, demotivati e in balia di genitori che si sono trasformati in sindacalisti dei propri figli.  

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