Spettacoli

Parada Argentina. Storia di un Tano. Il nuovo spettacolo di e con Angelo D’Agosta

Gioia, dolore, solitudine, speranza, ci sono tutti dentro la coinvolgente interpretazione dell’attore Angelo D’Agosta che ieri sera ha messo in scena, presso Zo Centro Culture Contemporanee di Catania, il testo teatrale “Parada Argentina. Storia di un Tano” con la regia di Pamela Toscano.
Un testo scritto dallo stesso Angelo D’Agosta, a conclusione di un suo viaggio di formazione in Argentina. Un viaggio trasformato in un percorso a ritroso nelle vite dei tanti migranti, uomini e donne, che lasciarono la propria casa e i propri affetti con la speranza di costruire un futuro migliore in Argentina.
Con la sua toccante ars drammaturgica, Angelo D’Agosta riesce a trasmettere emozioni vere e dense che, in un continuum recitativo, nella particolare lingua “cocoliche” il modo di parlare ibrido fra italiano, spagnolo e siciliano, dei migranti italiani in Argentina, alterna momenti di leggera ironia a momenti di profonda intensità emotiva che si imprimono sullo spettatore. E lo catapulta indietro nel tempo, in un passato che sembra lontano, sbiadito nei ricordi, ma che invece riemerge prepotente e ci ricorda che molti dei nostri nonni sono stati migranti, uomini soli in terra straniera.
Angelo D’ Agosta, nel suo estro istrionico, si trasforma in un nonno che racconta alla sua nipotina, una suggestiva bambola in cartapesta realizzata dal laboratorio argentino Fantasìas Mecànicas, la sua vita di migrante, iniziata subito dopo che il “barco” raggiunse il porto argentino, le difficoltà di imparare una lingua completamente diversa dal dialetto che ha sempre parlato, gli anni di duro lavoro per riuscire a crearsi una famiglia tutta sua e, soprattutto, il disagio per integrarsi in un paese straniero, dove non ha più nemmeno il suo nome.
Lui è Tano che non è il suo nome, ma è il nome che è stato dato a tutti gli italiani emigrati, un nome generico per tutti, che li spersonalizza, che li priva della loro stessa dignità di uomini. Sono tutti Tano, indifferentemente, una massa informe senza identità come se in terra straniera ogni migrante avesse perso, non solo i propri affetti, ma anche la percezione di se stesso come individuo.
E l’unico sentimento che riesce a provare è la solitudine, la sua solitudine di uomo straniero in terra straniera.
Una solitudine che acquista concretezza nella potenza interpretativa dell’attore che, in uno scarno impianto scenico, emerge prepotente e riempie tutto lo spazio per essere percepita, presente a attuale, ancora oggi.
Perché la solitudine di questo nonno è la solitudine di ogni italiano che è espatriato, è la solitudine di ogni uomo che, ieri come oggi, è stato costretto ad abbandonare la propria terra.
Angelo D’Agosta, solo, al centro della scena, è solo come tutti coloro i quali, ogni giorno, sbarcano sulle nostre coste e la sua sofferenza è la loro sofferenza, vivida attraverso la forza espressiva delle sue parole, impressa sulla carne attraverso la sua gestualità carica di energia.
Angelo D’Agosta scrivendo e interpretando questo testo, è divenuto simbolo di un’unica, eterna, migrazione. In una vibrante tensione emotiva, mentre racconta con la sua consueta abilità espressiva, la storia personale di un nonno qualunque, pian piano, perde i suoi contorni per fondersi con la storia universale delle migrazioni di ogni tempo. Con la sua innegabile arte scenica, rende potente il suo personaggio che, anche se si relaziona con pupazzi colorati, non perde mai di intensità artistica, invece acquista sempre più veridicità e si impone sulla scena nuda con tutta la drammaticità della sua vita.
Una interpretazione caratterizzata da una delicata, ma forte espressione artistica con cui l’attore e autore di Parada Argentina, ha trattato un tema così difficile e doloroso. Un tono leggero, ma profondo al tempo stesso, con un andamento ironico ma mai ilare, che emoziona sin dalle prime battute e che, tra un sorriso e l’altro, suscita domande e impone una presa di coscienza collettiva.
Non ci dovrebbero mai essere né porte né muri, dice il nonno alla nipote. Le porte e i muri sono stati costruiti dall’uomo e solo l’uomo può e li deve aprire.
E in quell’ultimo, caldo e avvolgente abbraccio, con cui si conclude lo spettacolo, l’amore di un nonno si tramuta nell’amore universale di un’intera umanità che spera ancora in un futuro in cui non ci saranno mai più Tano soli, in cui non esisteranno più né porte né muri.

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