Scienze

Panpsichismo: la coscienza è ovunque? Una rivoluzione nella comprensione della realtà

Per secoli, la scienza e la filosofia hanno cercato di rispondere a una domanda fondamentale: “Che cos’è la coscienza e da dove proviene?”. La visione dominante, il materialismo riduzionista, sostiene che la coscienza sia solo un sottoprodotto dell’attività cerebrale, emergente da milioni di connessioni neurali. Tuttavia, questa spiegazione lascia irrisolto un problema profondo: perché l’attività neurale genera esperienza soggettiva?È qui che entra in gioco il panpsichismo, una teoria audace e affascinante che suggerisce che la coscienza non emerga dalla complessità, ma sia invece una proprietà fondamentale dell’universo, proprio come lo sono spazio, tempo e massa. Questo significa che ogni cosa, dalle particelle subatomiche alle stelle, potrebbe avere una qualche forma, per quanto rudimentale, di esperienza soggettiva. Questa idea, un tempo relegata alla filosofia, sta oggi vivendo una rinascita grazie alle neuroscienze, alla fisica teorica e al lavoro di pensatori come David Chalmers, che ha ridefinito il dibattito sulla coscienza con la sua teoria dell’informazione e del panpsichismo strutturale. Il panpsichismo non è una teoria nuova. Già i filosofi presocratici come Talete di Mileto (VI sec. a.C.) affermavano che “tutto è pieno di dèi”, suggerendo che la coscienza fosse una caratteristica diffusa della realtà. Platone, nel Timeo, descriveva l’universo come un essere vivente dotato di anima, mentre Aristotele parlava dell’“anima vegetativa” presente in tutte le forme di vita. Nel XVII secolo, Gottfried Wilhelm Leibniz sviluppò la teoria delle monadi, unità fondamentali della realtà dotate di una qualche forma di percezione. Secondo Leibniz, persino gli oggetti apparentemente inanimati possiedono una forma di consapevolezza, sebbene estremamente semplice. Nel XIX secolo, il panpsichismo venne ripreso da filosofi come Arthur Schopenhauer, che vedeva la volontà come una forza universale presente in tutto ciò che esiste. Più tardi, pensatori come William James e Alfred North Whitehead tentarono di dare al panpsichismo una base più scientifica, anticipando alcune idee che oggi stanno tornando alla ribalta. A rilanciare il panpsichismo nella discussione contemporanea è stato il filosofo australiano David Chalmers, che nel 1995 formulò il cosiddetto “hard problem of consciousness” (il problema difficile della coscienza). Chalmers distingue tra due tipi di problemi della coscienza: i problemi facili, come spiegare i processi neurali responsabili delle percezioni, della memoria o del linguaggio, su cui la neuroscienza ha fatto progressi significativi, e il problema difficile, che riguarda la soggettività stessa: perché sentiamo qualcosa? Perché l’attività elettrica nei neuroni dovrebbe generare l’esperienza di vedere un colore, provare dolore o ascoltare una sinfonia? Le teorie materialiste tradizionali non forniscono una risposta soddisfacente. Per questo Chalmers ha proposto una nuova ipotesi: la teoria dell’informazione e il panpsichismo strutturale. Secondo Chalmers, la coscienza non è un fenomeno emergente, ma una proprietà intrinseca della realtà. Se consideriamo l’informazione come un concetto fondamentale della fisica (come sostengono alcuni scienziati), allora potrebbe esistere in due forme: informazione “fisica”, che descrive il comportamento delle particelle e delle forze, e informazione “esperienziale”, che corrisponde alla coscienza soggettiva. Chalmers suggerisce che ogni sistema che elabora informazione, anche a livelli minimi, possiede un grado di esperienza. Ciò significherebbe che la coscienza non è qualcosa di esclusivo degli esseri umani, ma una caratteristica diffusa, presente in tutti i sistemi fisici, fino agli atomi e ai fotoni. Questa idea si collega strettamente alla Teoria dell’Informazione Integrata (IIT) di Giulio Tononi, secondo cui la coscienza emerge dal grado di interconnessione e integrazione dell’informazione in un sistema.

Un’altra teoria affascinante che si collega al panpsichismo è quella dell’universo olografico. Questa ipotesi, proposta da fisici come David Bohm e Juan Maldacena, suggerisce che la realtà che percepiamo in tre dimensioni sia in realtà una proiezione di un livello più profondo, una sorta di “membrana” di pura informazione. Secondo questa visione, tutta la realtà fisica potrebbe emergere da un campo di informazioni quantistiche fondamentali, e la coscienza stessa potrebbe essere una manifestazione di questo campo. Se la coscienza è informazione, e l’universo è un sistema informativo olografico, allora la coscienza potrebbe essere un aspetto fondamentale della struttura stessa dell’universo. Ciò riecheggia le intuizioni di antiche tradizioni filosofiche e spirituali, che vedevano la coscienza come il principio primo della realtà. In altre parole, non è la materia a generare la mente, ma è la mente a generare la materia. Se il panpsichismo e l’ipotesi dell’universo olografico fossero confermati, le implicazioni sarebbero enormi. La coscienza non sarebbe un’eccezione nell’universo, ma una sua caratteristica fondamentale. Il confine tra “vivo” e “non vivo” diventerebbe sfumato: ogni cosa, dalle cellule alle galassie, potrebbe avere una qualche forma di esperienza. Potremmo dover ripensare il nostro rapporto con la natura e la tecnologia, perché anche sistemi artificiali potrebbero sviluppare una forma di coscienza. Queste idee, per quanto speculative, stanno trovando sempre più spazio nel dibattito scientifico e filosofico. Potremmo essere di fronte a una rivoluzione nella nostra comprensione della realtà, in cui la coscienza non è più un fenomeno marginale, ma la chiave stessa per comprendere l’universo. Forse, in futuro, scopriremo che la consapevolezza non è solo una proprietà dell’uomo, ma il tessuto stesso del cosmo che ci circonda.

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