Palermo

Non si dice kimoni: una mostra dell’abito tradizionale giapponese

Un progetto di Matteo Scalvini, modello internazionale che da sei anni viaggia lungo il Giappone in bici alla ricerca di capi antichi nei bauli delle nonne e nelle soffitte.

Il kimono, abito tradizionale giapponese, esce da cartoni animati e dai film e si appropria delle strade anche delle città occidentali. La tendenza moda, in atto già da un po’, sarà celebrata a Palermo, da Casa e Putia, in via Via Torrearsa, 17, giovedì 23 e venerdì 24 novembre, con una mostra di abiti appartenenti all’archivio di Matteo Scalvini. Modello internazionale che da sei anni viaggia lungo il Giappone, in bici, alla ricerca di capi antichi nei bauli delle nonne e nelle soffitte. Nel 2021, ha fondato m1mo, un progetto di collezionismo con il più grande archivio in Europa, per sdoganare il kimono, tra musei, gallerie d’arte, boutique e hotel. L’inaugurazione sarà giovedì alle 10.00, ingresso libero. Visitabile fino alle 14.00 e dalle 16.00 alle 20.00. Info 0916112024 – 3371849575.

Il progetto di collezionismo e archivio di “m1mo” 

A Palermo, da Casa e Putia, boutique specializzata in ricerca ed esplorazione delle culture del mondo, dello stilista Massimo Ardizzone e del socio Carlo Curcio, sarà presentata una selezione di kimono, haori e michiyuki di circa 100 pezzi, dell’archivio che ne conta almeno 7000, databili tra dal 1929 al 1960, e che è stato presentato in anteprima alla Milano Fashion Week. Si tratta dei tipici abiti giapponesi antichi, recuperati da Matteo Scalvini, co-fondatore di m1mo, insieme a Beatrice Menozzi, responsabile del marketing. Sono pezzi unici, fatti a mano, che celebrano la tradizione dello stile giapponese, non solo come capo da indossare ma anche come opera d’arte da collezionare. 

Lo stile dietro all’abito tradizionale giapponese

Unicità, eleganza, artigianalità e sostenibilità i valori del progetto “m1mo” che si muove tra il Giappone e l’Italia e si ascrive alla corrente dello slow fashion. Matteo Scalvini, classe ‘82, nato a Brescia, è in Giappone dal 2016, tra moda, fotografia e arte, alla ricerca dei significati nascosti e dei simboli dietro alle molte tecniche di tintura e tessitura antiche giapponesi. Sono unici ed ecosostenibili perché non sono stati acquistati nei comuni negozi o nei mercati giapponesi, ma ritrovati in case private, dove venivano gelosamente conservati per le occasioni più importanti e, in alcuni casi, indossati una sola volta per poi tramandarli alla generazione successiva. Altre fonti dell’archivio sono i collezionisti e le aste. E, soprattutto, sono realizzati rigorosamente a mano con sete antiche e non allevate, colorati con porpore naturali. 

“La semplicità del nome del brand m1mo, con la m minuscola e un numero uno al posto della i – spiega la direttrice del marketing, Beatrice Menozzi -, incarna l’essenzialità quale peculiarità dell’eleganza che mai può trovare espressione nella superflua ridondanza degli elementi compositivi. Parimenti, nella cultura giapponese e non solo, il mimo esprime l’essenzialità del linguaggio capace, attraverso la mera gestualità e l’utilizzo scenico degli abiti tradizionali, di rappresentare la variegata gamma di tutte le emozioni dell’essere umano. Infine – sottolinea – la ricchezza compositiva di questi abiti tradizionali non si declina mai al plurale, si dice solo kimono”.

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