L'Opinione

Non è un paese per vecchi: vecchiaia, ageismo e dismorfismo corporeo

Virgilio ci racconta che, dopo aver visto in sogno il cadavere straziato di Ettore, Enea decise di fuggire da Troia portando sulle spalle colui che gli era più caro: il padre Anchise. Proprio ad Anchise Enea affida il compito più importante; quello di portare con sé gli oggetti sacri, per rispettare i Lari e i Penati.
Il secondo libro dell’Eneide, nel quale l’episodio è raccontato, è assai emblematico: in passato la vecchiaia veniva considerata un periodo della vita carico di saggezza e conoscenze preziose. Gli anziani erano persone da ascoltare e venerare e non di rado avevano ruoli di responsabilità politica e sociale. Già nell’antico testamento Mosè prendeva le decisioni, assistito da un consiglio di 70 anziani, sui quali Dio faceva scendere il suo spirito; Cicerone nel “Cato Maior de senectude” scrive «Ciascuna parte della vita ha un suo proprio carattere, sì che la debolezza dei fanciulli, la baldanza dei giovani, la serietà dell’età virile e la maturità della vecchiezza portano un loro frutto naturale che va colto a suo tempo». Andando avanti nei secoli non possiamo non ricordare le feste in onore della vecchiaia organizzate durante la rivoluzione francese, raffigurate tra l’altro in un famoso dipinto di Pierre Alexandre Wille, o il Consiglio degli Anziani (supremo organo legislativo insieme al Consiglio del Cinquecento) poco prima dell’età napoleonica.
Nelle culture africane, o nelle tribù degli indiani d’America, l’anziano è spesso portatore di saggezza e verità.
Il percorso che porta gli anziani a perdere sempre più peso nella società occidentale è lento e graduale. Come sostiene la sociologa Carla Costanzi nel suo interessante saggio dal titolo “Storia della vecchiaia nella cultura occidentale. Dalla venerazione all’ageism”, non solo questa venerazione dell’idea di vecchiaia che si attribuisce al mondo antico va rivista e moderata, dato che già durante la I rivoluzione industriale “…la sopravvivenza degli anziani … dipendeva sì dalla disponibilità di erogazioni provenienti dal settore pubblico, da quello privato e dalla famiglia, ma soprattutto in perfetta analogia con quanto accadeva nei secoli precedenti, dalla condizione di salute e quindi dalla possibilità di lavorare”, ma a partire dal XX secolo, mentre la popolazione occidentale gradualmente invecchia e nasce la legislazione sul sistema pensionistico, la vecchiaia comincia ad essere percepita sempre più come un peso sociale.
Nell’attuale economia capitalistica, che valuta il prestigio quasi esclusivamente in base alla capacità di produrre, le persone avanti con gli anni, soprattutto se non godono di buona salute, sono considerate un peso; il carico di saggezza ed esperienza accumulato nel corso della vita non è più percepito come un valore; troppo spesso gli anziani avvertono un senso di inutilità e di frustrazione e non di rado vengono abbandonati dalle famiglie, che li lasciano a vivere da soli o in strutture apposite, magari tristi e fatiscenti.
Da quando la terza età è diventata un peso sociale, gli anziani si devono nascondere, anche perché la loro presenza ricorda a tutti che la vecchiaia ci riguarda e che un giorno, se tutto andrà bene, saremo vecchi anche noi. Un po’ come avviene con l’idea della morte, la società occidentale rimuove il concetto di vecchiaia, proponendo un’immagine fittizia in cui si può e si deve essere sempre belli, giovani e in forze come gli dei dell’Olimpo.
Siamo una società malata di ageismo, espressione coniata dal gerontologo e psichiatra statunitense Rober Neil Butler, proprio per sottolineare le discriminazioni attuate nei confronti delle persone anziane in ambito lavorativo e sociale.
Questo isolamento e questa marginalizzazione degli anziani hanno come conseguenza diretta anche un fenomeno relativamente nuovo: quello del dismorfismo corporeo; poiché invecchiare fa paura, per cancellare gli inevitabili segni del tempo si ricorre in modo sempre più compulsivo alla chirurgia estetica. Se l’invecchiamento è fonte di ansia, la chirurgia plastica, più o meno invasiva, costituisce lo strumento per eccellenza per allontanare lo spettro di questo temibile nemico. Poiché aumenta ogni giorno il confine tra immagine ideale e reale di noi stessi e i difetti fisici sembrano i principali ostacoli al raggiungimento di una serenità possibile, la chirurgia diventa la soluzione più rapida per risolvere problemi di altra natura connessi all’invecchiamento, all’ansia sociale e a vissuti di inadeguatezza.
Per le donne e gli uomini che lavorano nel mondo dello spettacolo il ricorso a questo tipo di chirurgia è aumentato a dismisura negli ultimi anni e con sempre maggiore frequenza si vedono donne appena trentenni, e perfino adolescenti, i cui lineamenti sono stati completamente stravolti dai bisturi. Dilagano, sui social e non, le “labbra a canotto”, gli zigomi rifatti e le rughe spianate.
Le espressioni abbacinate di alcune attrici o attori, incapaci perfino di distendere il volto in un sorriso, sono il triste effetto di questo dismorfismo corporeo e di questa società che ci vuole giovani per sempre.
Su TikTok impazzano i filtri, effetti visivi a volte giocosi altre volte esclusivamente estetici, che si possono applicare su foto o video per cambiare o migliorare la propria immagine; nel 2020 una creativa, di nome Paige Piskin, inventa il filtro Lil Icey Eyes, capace di trasformare il volto di chi lo usa applicando gli occhi azzurri e intervenendo su naso e labbra. Da allora, malgrado le piattaforme abbiano cercato di regolamentare l’uso di questi filtri, la moda di ritoccare le proprie foto sui social non ha più avuto confini.
Ha recentemente fatto scalpore Monica Bellucci che ha “osato” presentarsi all’ultimo Festival di Venezia con le rughe e qualche chilo di troppo, rispetto agli standard generalmente imposti alle star.
E’ triste pensare di doversi difendere dall’età che avanza come da un nemico implacabile da combattere e che non si possa invece godere di questa fase della vita che ha sicuramente tanti doni da dare: saggezza, esperienza, fascino e, per molti, una serenità che deriva dall’aver imparato finalmente quali siano le regole del gioco della vita. La vecchiaia è quel periodo in cui, se la salute non fa scherzi e si è “investito bene” in affetti e interessi, ci si può infine permettere di scendere dalla ruota, di non rincorrere più il tempo che non è mai abbastanza e di godersi momenti per sé facendo ciò che più piace.
Sarebbe bello tornare a dare alla vecchiaia il ruolo positivo che le spetta nella società, poter riprendere a beneficiare di quel tesoro di maturità e accortezza che le persone avanti con gli anni hanno accumulato; comprendere che ogni età della vita ha le sue dolcezze e i suoi incanti e che l’utopia dell’eterna giovinezza è meglio lasciarla ai racconti fantastici dei miti greci.
Continuando a rincorrere una giovinezza che scivola tra le dita come sabbia sottile, corriamo solo il rischio di trovarci un giorno all’improvviso a scontrarci con il nostro ritratto decrepito e invecchiato, come novelli Dorian Gray.

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