L'Opinione

Noi, i “nuovi poveri” del superfluo

Quando si parla di povertà immediatamente si pensa a uno di quei tanti individui che, con i vestiti stropicciati e lo sguardo basso, accalcano le fila davanti alla Caritas per un pasto caldo.

Invece oggi si è “poveri” senza esserlo veramente.

Noi siamo i “nuovi poveri” del superfluo.

Ossessionati morbosamente dalla luccicante offerta di vita imposta dai moderni social media, siamo stati convinti di essere poveri se non siamo in grado di soddisfare i desideri imposti dalla società.

La nostra “finta povertà” non è più uno stato di grave afflizione materiale che priva dei beni di prima necessità, ma una condizione di costante sofferenza interiore perché non siamo in grado di poter acquisire oggetti o condizioni di benessere venduti dai mass media come necessari e insostituibili. La convinzione che senza di essi non possiamo più considerare le nostre esistenze degne di essere vissute, genera in ognuno di noi uno stato di ansia che sfocia in frustrazione e infine in una radicata certezza di essere “poveri”.

Ci sentiamo defraudati, privati della possibilità di poter essere felici.

In sostanza noi ci sentiamo veramente e sinceramente “poveri”, mancanti di tutto quello che ci è stato fatto credere che sia assolutamente necessario possedere per sentirci appagati.

Il concetto di povero ha travalicato i suoi confini materiali per piazzarsi in una sfera emotiva che forse ci rende molto più insicuri e fragili di coloro i quali, purtroppo, non possiedono nulla.

Siamo “poveri”, siamo i “nuovi poveri” del superfluo e ci vergogniamo di noi stessi, come se ci fossimo macchiati della peggiore infamia.

Non possedere il cellulare di ultima generazione o la borsa di tendenza, provoca un senso di vuoto che ci corrode all’interno e ci fa sentire non degni dell’attenzione altrui.

Questo profondo senso di vergogna, ci spinge a fare di tutto per celare la nostra “ignominiosa povertà” che nascondiamo dietro a luccicanti scatti in cui mostriamo facce ostinatamente sorridenti e ridicolmente felici.

Una foto di noi in vacanza diviene la glorificazione di un momento di presunta ricchezza da condividere su ogni pagina, da osannare con una storia da far circolare sui social, poco importa se l’immagine è solo una copertina tutta colorata che non ha alcuna corrispondenza con la realtà che viviamo.

E noi a forza di guardarla finiamo per convincerci che sia vera e otteniamo quella gratificazione che tanto abbiamo inseguito per non sentirci più “poveri”.

In una società capitalistica e consumistica come la nostra non è più permesso essere poveri del superfluo.

L’ideologia del benessere a ogni costo, del lusso come status sociale, scorre subdola in ogni suo aspetto, come un fiume sotterraneo che nel suo sinuoso percorso trascina con sé ogni valore o principio.

Il denaro è il manto rosso porpora di cui ci ammantiamo illusi di possedere il potere di essere noi stessi.

In questo girone infernale roteiamo tutti, scaraventati dentro dall’ossessione che solamente da ricchi potremo soddisfare le nostre necessità

La massa dei “finti poveri” si ingrossa ogni anno sempre più, una massa sopraffatta da un senso di mortificazione esistenziale in quanto costantemente sottoposta a una pressante condizione di raffronto sociale che inevitabilmente trascina a una situazione di “finta povertà”.

Stritolati dalle fitte maglie della materialità, galleggiamo sulla superficie delle nostre esistenze che esistono solo se in un costante ed estenuante rapporto-confronto con gli altri, dimenticandoci che anche l’altro vive una condizione molto simile alla nostra e quello che appare di lui è falsato tanto quanto la nostra vita.

Se solo si smettesse di guardare l’altro, forse ci accorgeremmo che, in fondo, non abbiamo bisogno di tutto quello che ci viene propinato ad arte. Se solo riuscissimo a scrollarci di dosso ogni pressione mediatica e sociale, ci renderemmo conto che siamo ostinatamente costretti a vivere all’interno di false costruzioni mentali che annebbiano la nostra realtà e che, invece, dovremmo ritornare a guardarci dentro per ritrovare un contatto sincero con noi stessi e con la quotidianità che ci circonda per accorgerci che non abbiamo bisogno di essere perenni attori nell’artificioso palcoscenico che ci è stato costruito addosso.

Invece, giorno dopo giorno, diventiamo sempre più poveri dentro, più siamo stritolati dalla smania di apparire e più ci svuotiamo dentro.

Siamo i “nuovi poveri” del superfluo, perennemente tormentati e angosciati dalla continua e ossessiva ricerca di tutto quello che non possiamo permetterci e alla fine sguazziamo in questa odierna mediocrità che nella sua banalità ci rende pieni di nulla.

Noi, i “finti poveri”, aspiriamo al lusso più evidente, ostentiamo fama e ricchezze e non ci accorgiamo più che siamo poveri moralmente, svuotati di ogni valore e di ogni principio.

Apparire sempre e comunque: questo è il dettame imperioso a cui nessuno riesce più a sfuggire, intrappolati nella nostra inevitabile povertà interiore che ci rende ricchi di evanescenti e spumeggianti brandelli di vita.

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