“No Other Land” per dire no alla guerra e alla distruzione

Il 3 marzo 2025 “No Other Land” ha vinto l’Oscar come miglior film-documentario; è stato prodotto nel 2024 da un gruppo di 4 registi israelo-palestinesi, Basel Adra, Yuval Abraham, Rachel Szor ed Hamdan Ballal, e racconta degli sforzi compiuti da Basel Adra ed altri attivisti palestinesi per opporsi alla distruzione del loro villaggio natale di Masafer Yatta, situato nel governatorato di Hebron in Cisgiordania, da parte delle forze di difesa israeliane.
Il 26 febbraio 2024, durante il suo discorso di accettazione del premio per il miglior documentario vinto al 74º Festival di Berlino, il co-regista Yuval Abraham aveva dichiarato: “Io e Basel (Adra, soggetto e co-regista del documentario) abbiamo la stessa età. Io sono israeliano, Basel è palestinese. E tra due giorni torneremo in una terra dove non siamo uguali. Io sono sottoposto al diritto civile, Basel al diritto militare. Viviamo a 30 minuti di distanza, ma io posso votare e Basel no. Io sono libero di andare dove voglio, Basel come milioni di palestinesi è rinchiuso nella Cisgiordania occupata. Questa situazione di apartheid tra di noi, questa disuguaglianza, deve finire”. Basel Adra, a sua volta aveva affermato: “La mia comunità, la mia famiglia hanno filmato la cancellazione della nostra società per mano di questa occupazione brutale. Sono qui che celebro questo premio, ma mi è molto difficile mentre decine di migliaia di persone vengono trucidate e massacrate da Israele a Gaza”.
La vittoria del documentario agli Oscar è stata seguita da un gran numero di recensioni positive; tra l’altro dopo più di due anni di guerra, il 18 gennaio, era stata finalmente firmata una tregua tra Israele e Hamas, e stava cominciando il rilascio degli ostaggi e lo scambio dei prigionieri
Durissima invece era stata la reazione del Ministro della Cultura e dello Sport di Israele, Miki Zohar, che in seguito alla vittoria di “No Other Land” aveva commentato in un tweet :“È un momento triste per il mondo del cinema. Invece di prestare attenzione alla complessità della realtà israeliana, i registi hanno scelto di amplificare narrative che distorcono l’immagine di Israele di fronte al pubblico internazionale”.
Certamente in un docu-film è difficile rappresentare la complessità del conflitto o sceverare le ragioni profonde, storiche-economiche-territoriali, dell’odio tra i due popoli, ma tentare di far tacere chi vuole narrare cinematograficamente ciò che avviene sotto i suoi occhi è davvero inammissibile. E, intanto, la tregua che aveva suscitato tanta speranza è durata poco: il 18 marzo Israele ha dato il via all’operazione chiamata “Forza e Spada”, che ha ottenuto il benestare della Casa Bianca e ha prodotto più di 400 morti sin dal primo giorno (moltissimi i bambini). Il premier israeliano ha dichiarato diaver ordinato la ripresa degli attacchi a causa della mancanza di progressi nei colloqui in corso per estendere il cessate il fuoco. Ha accusato Hamas di “rifiutarsi ripetutamente di rilasciare i nostri ostaggi” e di respingere le proposte dell’inviato Usa in Medio Oriente, Steve Witkoff.
Dopo la rottura della tregua un episodio grave e increscioso ha coinvolto anche uno dei co-registi del documentario, Hamdan Ballal, che lunedì 24 marzo è stato linciato da alcuni coloni israeliani nei pressi della sua abitazione a Susiya, nella zona di Masafer Yatta, proprio il territorio di cui parla il film; Ballal, che non conosce la lingua ebraica, durante il linciaggio è riuscito però a distinguere chiaramente la parola “Oscar”, comprendendo così che l’attacco alla sua persona era in qualche modo collegato con la vittoria di “No Other Land”.
Ballal, ferito alla testa, è stato caricato su un’ambulanza, ma poco dopo è stato trasferito con la forza su una vettura militare israeliana e portato in una caserma di polizia.
Significative le testimonianze della moglie del regista, Lamia Ballal, che durante l’aggressione si era rifugiata in casa con i figli, e che da lì aveva sentito il marito urlare “Sto morendo!”; e quella di Abraham che su X ha scritto che Ballal è rimasto ammanettato e bendato per tutta la notte, mentre due soldati lo picchiavano sul pavimento in una stazione di polizia a Kiryat Arba, una colonia israeliana adiacente a Hebron.
Ballad è stato poi liberato, ma molti giornalisti hanno affermato che aveva lividi sul volto e macchie di sangue sui vestiti. E, certamente, essere linciato per aver vinto un Oscar (come gridavano i suoi carnefici), che una severissima giuria aveva conferito al suo docufilm, è una spia indicativa del tentativo di spegnere ogni opposizione e di nascondere macerie, distruzioni e violazione dei diritti umani.
L’arresto ha suscitato proteste e condanne a livello internazionale, con attivisti e organizzazioni per i diritti umani che si sono battuti per il suo immediato rilascio. Si sospetta che l’intera operazione abbia avuto l’obiettivo di mettere a tacere una voce critica sulle violazioni subite dai palestinesi.
“Per duemila anni – ha detto David Calef, che ha lavorato con ONG e agenzie ONU nell’Africa subsahariana, in Medioriente e in Ucraina – gli ebrei non hanno avuto uno stato nazione… è necessario chiedersi se la sfida principale del mondo ebraico nel XXI secolo non sia proprio quella di rivedere gli stereotipi identitari di vittima suprema che alimentano l’estremismo nazionalista. A mettere a repentaglio Israele … non è più la debolezza, quanto proprio il contrario: la forza e la potenza militare utilizzate come strumento di dominio su un altro popolo”
Colpire chi racconta significa voler cancellare la verità e nessun regista o giornalista dovrebbe mettere a repentaglio la propria vita per documentare la realtà e garantire la libertà di informazione.