Molière inaugura la Stagione del Teatro Vitaliano Brancati di Catania
Apertura della Stagione alla grande al teatro ‘Vitaliano Brancati’ con la commedia di Molière per la regia di Giovanni Anfuso e interpretata da un cast significativo: “Le Intellettuali” (“Les Femmes savantes”). Adattamento e regia: Giovanni Anfuso. Con: Giuseppe Pambieri, Giorgio Lupano, Micol Pambieri. E con: Davide Sbrogiò, Barbara Gallo, Santo Santonocito, Eugenio Papalia, Roberta Catanese, Isabella Giacobbe, Margherita Frisone, Gabriele Casablanca.
Scene di Andrea Taddei, costumi di Riccardo Cappello, movimenti coreografici di Giorgia Torrisi Lo Giudice, musiche di Luciano Francisci e Stefano Conti, lucidi Antonio Rinaldi, aiuto regia: Lucia Rotondo.
Produzione E.A.R. Teatro di Messina, T.D.C. Teatro della Città
La commedia in cinque atti, rappresentata per la prima volta l’11 marzo 1672 al Palais Royal e pubblicata l’anno dopo, è la penultima opera di Molière (1622-1673) che assieme a Corneille e Racine rappresenta uno degli autori più importanti del teatro classico francese del XVII secolo.
Da questo lavoro Boccherini avrebbe tratto il libretto de “Le donne letterate” prima opera di Antonio Salieri (1700), l’antagonista di Mozart a Vienna.
Jean-Baptiste Poquelin, figlio del tappezziere di corte e destinato a diventarlo egli stesso, venne educato dai gesuiti acquisendo quella raffinata cultura e capacità critica che lo porterà sulla strada del teatro. A ventidue anni circa, nel 1644, scelse lo pseudonimo di “Molière” in onore dello scrittore François Hugues de Molière, sieur d’Essertines (1600-1624) poligrafo, traduttore, romanziere e poeta, considerato dai suoi contemporanei un fine prosatore.
Negli anni Quaranta Molière cominciava a scrivere farse e commedie che rappresentava in luoghi avventizi finché, nel 1658, l’incontro con Luigi XIV – che gli mise a disposizione un teatro per destinargli poi una sala del Palai Royal – non cambiò la sua vita lanciandolo verso un inarrestabile successo le cui tappe sono note al grande pubblico.
Il nostro autore era l’uomo giusto al momento giusto. La sua analisi della borghesia coincideva infatti con la formazione dell’assolutismo che il longevo re di Francia otteneva anche attraverso l’appoggio concesso a questa nuova rampante categoria sociale, economicamente vivace, a danno della nobiltà -che prima deteneva il potere- relegata ormai nella futile corte di Versailles, lontana da Parigi e dai posti di comando. Il successo gli arrise sempre, fino al 1673, quando, a 51 anni, moriva di tubercolosi quasi sul palcoscenico. Il suo re gli sarebbe sopravvissuto ancora per 42 anni.
Appena l’anno prima aveva debuttato “Les femmes savantes”, “Le intellettuali”, la commedia di questa sera, meno conosciuta e meno rappresentata rispetto ad altri grandi classici dell’autore accanito avversario degli snobismi culturali e delle mode del momento: commedia salace, svincolata dalle tematiche legate alla corte, sui vizi e le virtù della ricca borghesia in cerca di ‘nuovi’ blasoni da conquistare attraverso il denaro e la cultura.
Satira, dramma, sarcasmo e arguzia si intrecciano in questo ritratto puntuale e impietoso, ma al tempo stesso esilarante, della società del tempo. L’attenzione ancora una volta è puntata sul ‘sesso debole’, sulle ambizioni e contraddizioni di dame vanesie e vacui letterati che pensano di usare, tra giochi e apparenze, una posticcia cultura come strumento di potere.
“È potere la cultura – leggiamo nelle note di regia – ed è potere l’ignoranza; è potere l’intellettuale, ed è potere la serva di casa; è potere la tradizione ed è potere la novità; è potere il maschio ed è potere la femmina: perché il potere non ha sede né volto, cambia faccia e posizione a seconda di chi lo detiene”.
Il testo è adattato da Giovanni Anfuso, sceneggiatore, attore e regista di teatro di prosa e lirica, cui è affidata la regia. Formatosi in Accademia a Roma e sui palcoscenici del Teatro Stabile e del Teatro ‘Bellini’ di Catania, Anfuso diventava poi assistente di Giorgio Strehler, di Lamberto Puggelli e di Glauco Mauri, fino ad arrivare ai successi che hanno costellato la sua carriera giungendo a livelli apicali in Italia e all’estero: direttore artistico del Teatro Antico di Segesta, direttore artistico del Teatro Stabile di Catania nel 2016, attualmente, direttore (sezione prosa), insieme a Matteo Pappalardo (musica e danza), per il 2024/2026 del Teatro Stabile ‘Vittorio Emanuele’ di Messina.
Nell’intervista che ha cortesemente rilasciato al nostro giornale il regista Anfuso ha confessato la grande emozione che prova nel mettere in scena nella sua città un pezzo teatrale non molto frequentato. Ha voluto sottolineare, continua, il rapporto tra cultura ‘esibita’ e modo salottiero di gestire il potere; un problema di grande attualità: “Molière è il tragico travestito da comico, la risata per la riflessione”.
Nella casa del ricco borghese Chrysale, le figlie – Armande, la filosofa, e la sorella Henriette, che aspira invece solo al matrimonio con l’amato Crisandre e a crearsi una famiglia – si confrontano (“Tu cerca di elevarti! -dice Armande- datti uno scopo, studia; Abituati a piaceri, non so, come la musica, e non dare importanza ai problemi del sesso: fa’ come me, dimenticali. È il cervello che conta…… E invece d’esser serva di un uomo che ti espropria, sposati, sì, ma sposati con la filosofia, che è come avere in pugno tutta l’umanità”… “A te piace pensare, a me no – risponde la sorella – Siamo le due facce di nostra madre”). La madre Philaminte, superba e avida di tutto quanto possa passare per cultura si oppone invece ai progetti di Henriette (“Non voglio che tu abbia per marito un brav’uomo, ma un uomo raffinato, raro, un artista, un genio. Eccolo qui, quest’uomo, ecco chi ti propongo come sposo, compagno, uomo del tuo destino”). È Trissottin il candidato, un vanesio ‘intellettuale’ (“Io ho creduto finora che fosse l’ignoranza a guastare la gente, a creare idee stupide”) che lei sogna come genero contro il parere del marito che appoggia la figlia (“Fra un imbecille colto e uno analfabeta, è più imbecille il colto…non vedete il nesso tra lo scemo e il pedante? …Lo scemo intellettuale è uno scemo due volte.).
Nel salotto si inserisce anche un battibecco fra Trissottin, che recita sonetti insulsi, e il suo denigratore Vadius in cui i contemporanei videro un riferimento a una polemica realmente scoppiata poco tempo prima tra l’abate Cotin, noto uomo di mondo, di cultura nonché di fede, e il poeta Menage.
La lite circa la superiorità della madre o del padre va avanti anche di fronte al notaio convocato per il controverso atto matrimoniale quando irrompe sulla scena lo zio Ariste (“Mi dispiace turbare la gioia dei colombi con un fatto che stona in quest’ora di festa. Ecco qui due messaggi. Due funeste notizie, di cui sono, purtroppo, avvilito latore”) che annuncia una catastrofica bancarotta di Chrysale e moglie. Trissotin a questo punto rivela la sua meschinità e il suo falso amore (in realtà è interessato solo alla dote) affermando di non poter sposare Henriette contro la volontà della giovane. Philaminte a questo punto capisce i suoi veri intenti e acconsente al matrimonio tra Henriette e Clitandre, mentre Ariste rivela di aver mentito per assicurare il lieto fine. Non c’è stata alcuna bancarotta: “Corri da lui, allora, vola fra le sue braccia. Le nuove che ho portato erano tutte false: Erano una trovata, un prodigio dall’alto, che ho escogitato io, per servire i tuoi amori, per togliere d’incanto mia cognata, e per farle conoscere chi fosse in realtà il suo poeta.”.
L’escamotage della farsa serve all’autore per chiedersi chi sia veramente un intellettuale: chi possiede la cultura e la conoscenza, alla fine detiene anche il potere?
A questa significativa riflessione si aggiunge la questione dell’emancipazione femminile: “Benché si tratti di due metà, non esiste uguaglianza fra gli sposi: uno comanda, l’altro ubbidisce; e ciò che il soldato mostra al suo superiore, il servo al padrone, il figlio al padre, è ancora poco di fronte alla docilità, all’obbedienza, all’umiltà, al profondo rispetto che la moglie deve al marito, suo capo, suo signore, suo padrone” aveva ironicamente scritto Molière ne “La scuola delle mogli”.
Una problematica, questa, che giunge drammaticamente fino alle settecentesche rivendicazioni di Marie Gouzes (1748-1793), morta sulla ghigliottina per l’impegno contro ogni genere di tirannide, al fianco dei Girondini, e forse anche perché autrice di una fondamentale “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina) (1791), pubblicata sotto lo pseudonimo letterario di Olympe de Gouges (“La donna ha il diritto di salire al patibolo: deve dunque avere anche quello di salire alla Tribuna”)…ed è ancora ‘in progress’.
Tematiche ancora attualissime quelle legate alla donna e al rapporto tra potere e cultura esposte attraverso la sottile ironia di un maestro del teatro.
A che punto siamo con l’emancipazione femminile?
Qual è il valore e la funzione della cultura e degli intellettuali all’interno della società?
Quale il rapporto tra cultura, rappresentanza politica e stato?
Ma in fin dei conti il potere è detenuto da chi davvero possiede cultura?
E oggi? …Chissà?!
Foto e video di Lorenzo Davide Sgroi