L’umanità c’è dove c’è fratellanza
Le luci colorate illuminano come piccole lucciole fittizie l’artificiosità dell’impalcatura natalizia, e noi, abbagliati da tanto vacuo luccicore, rincorriamo il tempo alla ricerca del regalo più bello. Le città sembrano delle perfette cartoline di Natale, ma tutta questa plasticità di immagini e di suoni stride con la realtà di dolore delle migliaia e migliaia di uomini, donne e soprattutto bambini che vivono soffocati dalla polvere grigia delle macerie scomposte che restano dopo i bombardamenti.
Bambini innocenti, avvolti in teli bianchi come per proteggere il loro ultimo sonno, uccisi dall’odio fomentato da poteri politici, sacrificati da interessi economici.
Bambini indifesi, vittime di tutte le guerre che in questo momento si stanno combattendo in ogni parte del mondo, non solo quelle che fanno eco sui telegiornali, enfatizzate ad arte per convincere l’opinione pubblica della loro legalità.
Se solo chiudessimo gli occhi e provassimo a cancellare dentro di noi tutti questi luccichii ci renderemmo conto che sono solo dei fatui riflessi che non ci permettono di sentire la crudezza delle grida di disperazione che tutte insieme di fondono nell’unico e solo grido della nostra umanità persa nel buio delle coscienze.
Le guerre sono diventate la nostra tragica normalità, ci siamo così assuefatti a questo scempio umano che abbiamo dimenticato che se non c’è fratellanza non c’è umanità.
L’umanità c’è dove c’è fratellanza.
Forse è solo un’utopia ma l’unica possibilità di riscatto che ci rimane.
Se non c’è un progetto di convivenza civile che rispetti la dignità di ogni individuo indipendentemente dal colore e dalla razza, c’è solo una pietosa bestialità che ci rende feroci gli uni contro gli altri.
Eppure non era questo il cammino che ci siamo prefissati non appena usciti dagli orrori della guerra scatenata dalle dittature nazifasciste.
Italo Calvino nel suo libro “Il sentiero di nidi di ragno” lo scriveva e incitava a “costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi…” in modo da poter formare una vera “consorteria umana”, continuando a usare le sue parole.
Ci abbiamo creduto così tanto che nel 1948 i paesi aderenti alle novelle Nazioni Unite hanno firmato senza alcuna esitazione la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Le barbarie vissute e perpetrate nei confronti di milioni di esseri umani sarebbero dovuti rimanere un monito non solo per gli stati membri, ma per tutti i paesi del mondo, affinché l’intera umanità non dovesse più essere lacerata a morte e nessun individuo dovesse soffrire a causa di un altro essere umano.
Dignità e valore della persona umana, uguaglianza e libertà questi sono i principi che hanno ispirato i trenta articoli della Dichiarazione del 48. Articoli, così profondi pur nella semplicità della loro enunciazione, che però, nel corso di questi decenni, sono rimasti privi di una reale applicazione.
Solo caratteri neri che non sono riusciti a tutelare la vita.
Già la vita umana, questo divino alito è stato svilito a un danno collaterale, giustificabile se è di ostacolo alle mire politiche ed economiche di chi si arroga la pretesa di comandare non per il bene collettivo ma solo per un numero ristretto di privilegiati.
Questa vita umana che ha un valore differente se si è dalla parte sbagliata del conflitto.
Un vergognoso principio che ha prevaricato prepotente e che sta permettendo ad Israele, pur nel suo diritto di difesa, di violare sistematicamente i diritti umani del popolo palestinese. Un principio che ha legittimato gli Stati Uniti, uno dei cinque stati membri permanenti, a porre il suo veto alla risoluzione degli Emirati Arabi Uniti, appoggiata da tanti altri paesi, che chiedeva un cessate il fuoco immediato e al tempo stesso il rilascio di tutti gli ostaggi, in modo da poter fermare l’offensiva israeliana e porre fine a tutti i crimini umanitari che stanno causando la morte di decine e decine di bambini, la cui unica colpa è quella di trovarsi in mezzo alla efferatezza di uomini senza scrupoli.
Crimini contro vittime innocenti a cui tutti assistiamo impotenti, crimini che sbattono in faccia al mondo intero la violenza di una disumanità che degrada tutti senza alcuna possibilità di redenzione.
Ecco perché questo Natale, tutti, indipendentemente dal nostro credo religioso, non prendiamo a prestito la nascita di un bambino solo per fare parte della mirabolante orgia consumistica delle abbuffate natalizie. Invece guardiamolo questo bimbo nato nudo chiedendoci il perché è venuto a questo mondo in una mangiatoia e ricordando, attraverso lui, ogni bambino che soffre la fame e il freddo perché non ha più una casa e dei genitori, ogni bambino che muore sacrificato sull’altare della disumanità.
Un altare a cui sempre più individui si inginocchiano avendo trasformato a valore fondamentale non la fratellanza umana, ma la materialità che, come una patina di piombo, invade i nostri animi e indurisce i nostri sentimenti.