Luca De Fusco riporta Tolstoj al Teatro Stabile di Catania
Dopo Anna Karenina, Luca De Fusco, con i teatri stabili di Palermo e Catania, e il Teatro di Roma, affronta sulla scena della Sala “Verga” il capolavoro “Guerra e Pace” di Lev Tolstoj; adattamento: Gianni Carrera; regia: Luca De Fusco; aiuto regia: Lucia Rocco; scene e costumi: Marta Crisolini Malatesta; luci: Gigi Saccomandi; musiche; Ran Bagno; creazioni video: Alessandro Papa; coreografia: Minica Codena.
Cast (in ordine di apparizione): Pamela Villoresi, Federico Vanni, Paolo Serra, Giacinto Palmarini, Alessandra Pacifico Griffini, Raffaele Esposito, Francesco Biscione, Eleonora De Luca, Mersila Sokoli, Lucia Cammalleri.
Produzione Teatro Biondo Palermo, Teatro Stabile di Catania, Teatro di Roma, Teatro Nazionale.
Quando Tolstoj (1828-1910) cominciava a pubblicare nel Russkij Vestnik (“Messaggero russo”) tra il 1865-69 “Guerra e pace”, il romanzo che aveva iniziato a scrivere nel ’63, già la letteratura europea conosceva il realismo e si muoveva verso il naturalismo.
Si faceva spazio anche il realismo russo con l’analisi della società nei suoi molteplici aspetti: Dostoevskij e Tolstoj tendevano a sviscerare il cristallizzato ambiente russo. Nel delicato passaggio dall’ancora resistente – quasi fossilizzata – aristocrazia zarista alla rampante borghesia ‘burocratica’ gli autori russi, allontanandosi dal positivismo davano spazio alla soggettività all’interno di una costante ricerca spirituale. Scavando ancor più in profondità, i loro protagonisti e i diversi mondi in cui vivono animano un affresco che denuncia la difficoltà, di fronte alla complessità del reale, di dare un senso all’esistenza.
Con “Guerra e pace”, celebrando un felice connubio tra storia e drammaturgia, Tolstoj indaga i grandi temi dell’umanità in un contesto ricco di riferimenti filosofici, sociali e intimistici.
In quale parte della sua vita, che Tolstoj medesimo divide in quattro periodi, si trova l’autore al momento della composizione?
“…quel primo tempo poetico – così scrive – meraviglioso, innocente, radioso dell’infanzia fino ai quattordici anni. Poi quei venti anni orribili di grossolana depravazione al servizio dell’orgoglio, della vanità e soprattutto del vizio. Il terzo periodo, di diciotto anni, va dal matrimonio fino alla mia rinascita spirituale: il mondo potrebbe anche qualificarlo come morale, perché in quei diciotto anni ho condotto una vita familiare onesta e regolata senza cedere a nessuno dei vizi che l’opinione pubblica condanna. Tutti i miei interessi però erano limitati alle preoccupazioni egoistiche per la mia famiglia, il benessere, il successo letterario e tutte le soddisfazioni personali. Infine il quarto periodo…”
Gli anni di “Guerra e pace” appartengono dunque al terzo periodo.
Lev aveva già conosciuto gli orrori della guerra nel Caucaso e in Crimea occupandosi al suo ritorno a Jasnaja Poljana dei suoi contadini e proponendo l’abolizione della servitù della gleba che sarebbe giunta nel 1861, L’anno dopo, a 34 anni, avrebbe sposato la diciottenne Sof’ja Andréevna cominciando a mettere al mondo ben 13 figli.
Il suo capolavoro appartiene dunque al terzo periodo, agli anni Sessanta.
In “Guerra e pace” egli vuole raccontare l’epopea dell’aristocrazia russa, ancora forte anche se avviata al declino, in un fitto intreccio di antichi valori (i Rostov e i Bolkonskij) e di amorale dissolutezza (i Kuragin). Il momento storico in cui si inquadra l’opera (1805-1812) è quello delle guerre in cui Napoleone, l’imperatore ‘borghese’ autoincoronato, si scontra con la Russia dello zar Alessandro I, passando dalla vittoria di Austerlitz sulle forze della III coalizione, alla disfatta della Beresina; mescolando storia e fantasia, inserendo tutte le implicazioni filosofiche, scientifiche, politiche, culturali ed esistenziali di quel momento, fuori e dentro di lui, osservando tutto come da un angolo visuale ‘metafisico’.
E veniamo allo spettacolo.
In una scenografia minimalista prende corpo la non facile riduzione teatrale della complessa narrazione che si svolge, dall’inizio alla fine, lungo la scalinata di un palazzo in rovina attraverso un puzzle di scene, avvenimenti e passaggi continui tra recitazioni dal vivo, musica di accompagnamento e suggestive proiezioni.
Luglio 1805.
Anna Pavlovna Scherer, Annette, la padrona del salotto di Pietroburgo ove si svolgono la maggior parte delle azioni e dove i protagonisti, simboli dell’armonia del mondo, danno voce ai sentimenti più intimi e contrastanti, rappresenta il sottile fil rouge che, con il suo svolazzante andirivieni lungo le scale, fa di tante particelle un’unità.
La grande Pamela Villoresi che la interpreta nella lunga intervista rilasciata a Sikelian ha raccontato la genesi di questo difficile spettacolo, dell’adattamento geniale di ben 700 pagine, con scene che rotolano una sull’altra cucite proprio da Annette. Il confronto è tra una visione femminile di pace contro quella degli uomini che vivono la guerra come unica avventura della vita. La Villoresi si è soffermata inoltre sui pericoli di internet che crea una falsa cultura di ritorno confusa e priva di senso critico. È un messaggio che lancia a ragion veduta, dopo oltre mezzo secolo di lavoro, ai giovani insieme all’esortazione ad allenarsi con pazienza per raggiungere gli obiettivi: il qui, ora e subito non portano a nulla di buono
Si intrecciano così, attraverso Annette, con un ritmo convulso le storie di alcune famiglie aristocratiche russe, e le loro interazioni sullo sfondo delle guerre napoleoniche.
La famiglia moscovita dei Rostov, con i suoi quattro figli (Nikolaj, Vera, Nataša e Petja), tra cui spiccano il primogenito Nikolaj, ispirato dalla figura del padre dell’autore, e soprattutto Nataša la vivace figlia più giovane. È lei il perno attorno al quale ruota l’intera azione. Con i Rostov vive una nipote orfana e povera, la Contessa Sonja Rostova, il cui personaggio è ispirato da una lontana parente dei Tolstoj, Tatjàna Aleksàndrovna Jergòlskaja.
Alla famiglia del Principe Nikolaj Bolkonskij appartengono i figli Marja (ispirata dalla madre di Tolstoj) -donna pia, bruttina e sottomessa al padre- e, insieme alla moglie Lise, Andrej, aiutante di campo del generale Kutuzov, comandante in capo delle truppe russe. Il principe Andrej, la cui moglie è nel frattempo morta di parto, rimarrà gravemente ferito durante la sua prima battaglia e tornato a casa si innamorerà, ricambiato, di Nataša, nonostante l’opposizione del padre che lo obbliga ad allontanarsi per riflettere.
A fronte dei valori positivi di queste famiglie troviamo quelli negativi dei Kuragin dove l’amorale Anatole, benché sposato, cerca di sedurre e disonorare la giovane Rostova. Viene incitato in questo dall’altrettanto debosciata sorella Hélène, moglie infedele di uno dei personaggi centrali del romanzo: Pierre Bezuchov, da considerare quasi l’alter ego dell’autore, tormentato dal dilemma tipico della poetica di Tolstoj: come vivere in armonia con la morale?
Come Lev dopo un iniziale sbandamento esistenziale si concentra, istruito da Osip Bazdeev, sui principi massonici della ricerca di se stesso coltivando le proprie innate virtù: bontà, comprensione umana, opposizione alla violenza e odio nei confronti degli orrori della guerra.
Sono gli stessi principi etici di Tolstoj: la non violenza (“nessuno in Occidente, prima o dopo di lui -dirà Gandhi- ha parlato e scritto della non violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito”) fino all’opposizione alla pena di morte (“ho visto a Parigi decapitare un uomo con la ghigliottina -dichiarò il nostro autore -… e compresi, non con la mente, non con il cuore, ma con tutto il mio essere…che l’assassinio è il peccato più grave del mondo, e davanti ai miei occhi veniva compiuto proprio questo peccato”).
L’incontro di Pierre con Nataša capovolgerà gli eventi: il tranello dei Kuragin è sventato, Andrej, vittima del suo desiderio di gloria muore dopo la battaglia di Borodino: la sua morte è un doloroso processo di illuminazione ed elevazione spirituale.
La strategia di Kutuzov, della terra bruciata per attirare a Mosca l’armata francese, e il rigido inverno russo risultano vincenti su Napoleone, di cui tuttavia l’autore subisce il fascino magnetico:
“Napoleone provava un sentimento penoso, simile a quello di un giocatore fortunato che getta pazzamente il suo denaro e vince sempre, e che improvvisamente, quando ha calcolato tutte le probabilità del gioco, sente che, quanto più sarà meditato il suo modo di giocare, tanto più sicuramente egli perderà.”
Pierre conosce finalmente l’amore e sposa Nataša
Ed è proprio Pierre che incarna il vero, profondo tema universale del romanzo, quello dell’eterna ricerca, del continuo conflitto tra la realtà storica e l’uomo che tende alla purificazione interiore.
Grande epopea, in conclusione, quella rappresentata in maniera originale ma al tempo stesso filologicamente corretta da Luca De Fusco, evitando forzature e sovrapposizioni cronologiche o stilistiche:
“Detesto la parola “attuale” collegata al teatro – dichiara infatti nelle note di regia -… Il grande teatro e la grande letteratura non sono attuali, sono eterni…l’unica scelta di politica culturale è quella di soffermarsi sulla cultura russa per non creare assurdi ostracismi alla straordinaria storia di un popolo che nulla ha a che fare con la politica, a mio avviso esecrabile, di un governo. Non c’è bisogno di attualizzare il classico di Tolstoj. La convivenza tra guerra e pace, amore e morte, tiranni e popolo, parla alla nostra coscienza contemporanea”.
Così come eterne restano le parole di Lev Tolstoj: “Vi è un solo modo per essere felici: vivere per gli altri… l’unione di questa vita con le vite di altri esseri si attua mediante l’amore… Lasciamo che i morti seppelliscano i morti, ma fin quando si è vivi, bisogna vivere ed essere felici!”.
Foto e video di Lorenzo Davide Sgroi