L'Opinione

L’Europa subalterna e la nuova cortina di ferro

Oggi l’Europa sembra una sorta di “terra di mezzo” nello scontro geopolitico tra USA e Russia, senza una posizione autonoma sul piano della politica internazionale e delle necessarie iniziative per un serio negoziato fondato sulla sospensione immediata del conflitto per pervenire alla pace. L’Unione Europea, purtroppo, non dispone di alcuna autonomia negoziale con pesanti conseguenze negative per l’economia del vecchio continente. Mentre sul piano energetico gli Stati Uniti hanno la piena autonomia, l’Europa dipende dalle importazioni di gas e petrolio dalla Russia. Anche la proposta di Biden di fornire gas liquido all’Unione Europea non risolverebbe il problema ma sarebbe, semplicemente, il prodromo di una costituzione di una nuova dipendenza oltre l’Atlantico. Stesso discorso valga sul piano dell’agricoltura come anche dell’industria bellica. L’Unione Europea vede così allontanarsi la prospettiva di svolgere a livello internazionale un ruolo autonomo e di equilibrio paritario con gli Stati Uniti e la Cina. Si profila, pertanto, un futuro che la vedrà nei panni di “sentinella dell’atlantismo” nei confronti di paesi che non fanno parte dell’Unione come anche nei confronti della Turchia, paese fuori dall’Europa ma strategico per la NATO, quasi che altro non possa ambire che essere se non il baluardo della nuova cortina di ferro tra “neoatlantismo” e volontà imperiale russa. Il nemico, infatti, è tornato e la guerra non è più “fredda”. Paradossalmente in Russia dove è avvenuta la transizione dal collettivismo burocratico all’economia di mercato si assiste al fatto che una parte della nomenklatura sovietica si è convertita ad un capitalismo quasi “predatorio” nelle mani di oligarchi che hanno privatizzato le ex imprese statali, rapinando le risorse comuni e lucrando immensi profitti che garantiscono arricchimenti impressionanti per pochi ed una perdurante arretratezza per i più. Le istituzioni russe alla fine hanno dato vita ad una facciata democratica ma su fondamenta autoritarie. D’altronde il programma di Putin fu subito chiaro fin dal suo esordio, cercando di mantenere il potere e compensando la povertà economica con i successi militari. Basti pensare a quando per riprendere il controllo della Cecenia Islamica causò 500 mila morti nel solo assedio di Groznyj o quando smembrò l’Ossezia per assediare la Georgia, rea di sognare la NATO. Più recentemente ricordiamo l’appoggio di Mosca alla parte russofona della Crimea e del Donbass e la Siria dove Putin ha usato armi di distruzione di massa contro i ribelli per mantenere al potere Assad che lo ha ripagato, donandogli uno sbocco al Mediterraneo. Su questa paura oggi scommette Putin, ventilando un’apocalisse atomica che non lascerebbe né vincitori né vinti. Oggi l’ONU stenta a garantire la sicurezza internazionale e se l’Ucraina deve sopravvivere e prosperare non deve essere l’avamposto di una delle due parti contro l’altra ma anzi dovrebbe funzionare come un ponte tra di loro. D’altronde la storia Russa è iniziata in quella che si chiamava Kievan-Rus con la religione Russa che si è diffusa da li. L’Ucraina fa parte della Russia da secoli e le loro storie erano intrecciate già prima di allora. Certo la subordinazione dell’elemento strategico alla politica interna nel negoziare il rapporto dell’Ucraina con l’Europa ha contribuito a trasformare un negoziato in una crisi secondo l’assunto per cui la politica estera è l’arte di stabilire le priorità. Trattare l’Ucraina come parte di un confronto est-ovest farebbe fallire per decenni qualsiasi prospettiva di portare la Russia e l’ovest in un sistema internazionale cooperativo. La politica dell’Ucraina post indipendenza dimostra chiaramente che la radice del problema risiede nei tentativi dei politici ucraini di imporre la loro volontà a parti recalcitranti del Paese. Si dovrebbe, invece, cercare la riconciliazione e non il dominio di una fazione. Per l’occidente la demonizzazione di Putin è un alibi per l’assenza di una coesa politica. D’altronde la natura antisocialista dell’attuale comunismo russo è il tabù dell’occidente ove si assiste ad una continuità senza soluzione con un passaggio dall’URSS alla Federazione Russa degli oligarchi ex KGB che è il tratto tipico del “bolscevismo capitalista” ereditato da Putin. Innegabile è l’attuale continuità sostanziale tra il vecchio regime sovietico e l’attuale regime russo che annulla l’idea per la quale il mondo libero pensò che con l’esportazione del capitalismo si sarebbe risolto il problema dell’acquisizione alla democrazia dell’ex mondo comunista. Bisognava, invece, affrontare la questione della natura non socialista della rivoluzione d’Ottobre. Ed infatti il sistema di potere dell’ex URSS è stato consegnato ad un nuovo ceto imprenditoriale costituito dal vecchio apparato, che, come visto, con la rapina dei beni di stato è diventato prosecutore di un regime autocratico sposato al capitalismo. Il problema è che il capitalismo regge sia in democrazia sia nelle dittature mentre il socialismo non può reggere senza democrazia. C’è un’accettazione dell’egemonia del comunismo sovietico che era stato una sorta di “rivoluzione antisocialista”. Il sistema post comunista poteva accettare l’introduzione del capitalismo ma non quella della democrazia socialista, posta la natura antisocialista del comunista russo bolscevico. Oggi bisogna governare i rischi negativi per avere i vantaggi della pace. Il primo imperativo è quello di ricordare che le nazioni importanti dovranno avere la responsabilità di saper cogliere la globalità dei problemi e dei rapporti, oltre che dei nessi, nelle questioni internazionali con coerenza e fermezza. La attuale guerra è una guerra civile nella civiltà cristiana, culla del cristianesimo mondiale ed il socialismo affonda la sua radice in questa fede universale nell’uomo per il benessere del suo corpo e della sua anima contro la guerra che li uccide entrambe. Non può, tuttavia, essere sottaciuta la circostanza che oggi la guerra in Ucraina è uno scontro per il controllo dello spazio economico per le risorse strategiche di quel pezzo di terra a cavallo fra est ed ovest. Dalle sanzioni, accolte da Mosca, si è passati senza alcun contrasto interno, alle forniture di armi. Ciò è un’evoluzione che segna la consapevolezza dei 27 di Bruxelles di come un ruolo solo economico non basti più, perché l’ombrello NATO, sempre meno aperto sull’Europa, a breve dovrà essere affiancato da una deterrenza militare poggiata sul pilastro franco-tedesco. Oggi l’Ucraina ha una produzione sufficiente a sfamare 600 milioni di persone e lo scontro inevitabilmente si sta espandendo in zone della recente tradizione democratica per le necessità d’imprese sempre più schiacciate dalla competizione cinese, a caccia di mercati del lavoro dai costi bassi e dall’elevata flessibilità. Impossibile, quindi, risulta non pensare che dentro la caricatura di una guerra nata per caso vi siano decenni di tensioni che hanno messo in marcia interessi geopolitici ed economici confliggenti. Il conflitto ucraino resterà una guerra nel cuore dell’Europa dove il ruolo americano è meno importante di quanto appaia, un conflitto che avvicina posizioni differenti fino ad oggi verso la Russia in un’Europa con più anime dove gli USA non interverranno. Biden ha scelto una strategia particolare che è stata quella di rivelare l’intelligence su quello che facevano i Russi. Dal canto europeo la divisione ideale e politica è a rischio oggi che è avvenuto l’ingresso di paesi come quelli del blocco di Visengrad. Volendo peraltro fare un passo indietro non possiamo non rivolgere la mente alle vicende del Kosovo del 1999 quando la NATO riconobbe di fatto la provincia del Kosovo occupandola e bombardando la Serbia per cui dire che Putin non ha rispettato le regole del diritto internazionale significa avere una narrazione ipocrita verso l’occidente che al pari non ha rispettato le regole ed ha commesso dei crimini internazionali. L’America oggi deve molto alla Russia e le è debitrice soprattutto per la sua incrollabile amicizia nei momenti di maggior bisogno, primo fra tutti la sua guerra civile. Volendo in conclusione fare una riflessione sul nostro paese non si può non sottolineare che l’appello del presidente ucraino ai combattenti stranieri rappresenti un pericolo enorme. Come si ricorderà, nel 2014, l’ultradestra italiana si divise tra gruppi vicini ai nazionalisti ucraini e gruppi vicini ai separatisti. Ricreare una tale situazione altro non farebbe che dare manforte alla narrazione del Cremlino. Oggi se è vero che gli alleati considerano l’Ucraina un partner della NATO, la sua possibilità di diventarne membro è limitata, considerati i criteri politici, economici e militari necessari. L’ingresso di Kiev nella NATO è, quindi, un progetto secondario nell’agenda degli Alleati. La verità è che la motivazione dell’invasione, ad oggi, risiede solo nelle ambizioni imperialiste del presidente russo. Historia Magistra Vitae.

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