L’Europa contemporanea è ancora quella pensata da Adenauer, De Gasperi e Schuman?
Il concetto stesso di “Europa” potrebbe essere benissimo definito come “il sogno” di tre pensatori della cultura cattolica non clericale, il cui punto di partenza era la volontà di avvicinare ed unificare le culture dei popoli. Ciò sarebbe stato propedeutico al creare un “soggetto politico europeo” che risultasse egemone nel tessuto mondiale e che avesse un ruolo, anche morale, basato sulla “cultura della solidarietà” fra i popoli. Tale cultura sarebbe stata intesa come una cultura interna ed esterna “della pietas cristiana” con al centro la persona umana intesa in una visione sovranazionale prosecutrice della dottrina sociale della chiesa cattolica, in base anche all’assunto che proprio il fenomeno cristiano poteva definirsi come il “tetto” della comune cultura europea di tanti popoli apparentemente distanti. Certo l’opinione pubblica è sempre stato un elemento che pensatori e politici di tutti i tempi hanno dovuto prendere in considerazione nelle analisi e nei dibattiti relativi ai loro progetti, e quello di integrazione europea non ha fatto in tal senso eccezione. Prima di provare, però, a capire come l’atteggiamento dell’opinione pubblica verso l’Europa abbia subito delle mutazioni nel tempo è necessario conoscere il percorso che ha portato alla nascita dell’Unione Europea. Per comprendere la diffusione dell’”euroscetticismo”, infatti, si dovrebbe andare ad anni successivi a quelli dei padri fondatori dell’Europa e nello specifico al 1992 quando il trattato di Maastricht fissava i pilastri dell’Europea con l’aumento delle competenze attribuite all’Unione e l’obiettivo della creazione di una unione economica monetaria vedeva la statuizione dei tanto discussi “parametri di convergenza”, parametri che hanno portato proprio parte dell’opinione pubblica a compiere un passo indietro nel sostegno all’ integrazione comunitaria. Tale passo indietro dagli anni ‘90 in poi ha portato all’aumento dell’opposizione pubblica nei confronti del fenomeno europeo ed allo sviluppo e consolidamento del cosiddetto fenomeno di “euroscetticismo” che ha riguardato sia l’opinione pubblica “dei cittadini” che quella “dei partiti politici” nei confronti dell’attuale regime politico dell’UE e verso lo stesso continuo processo di integrazione europea. Grazie all’analisi dei dati forniti da “eurobarometro” del giugno 2019 è stato possibile rilevare le percezioni dei cittadini europei relativamente all’UE ed alle sue istituzioni, unitamente alle loro prospettive per il futuro politico ed economico all’interno dell’unione. I dati emersi sono risultati essere assai poco confortanti e, certamente, la pandemia, con il mancato coordinamento delle politiche sanitarie tra i vari paesi membri, non ha reso migliori tali approcci. Le sempre più ampie frange della popolazione con sentimenti nazionalistici, xenofobi e di anti-immigrazione rappresentano, ormai, le maggiori tendenze ad opporsi all’Unione Europea, unione sempre più lontana dalla idea pensata dai suoi padri fondatori. La principale innovazione del trattato di Maastricht, con il processo di creazione di un rapporto sempre più stretto tra le popolazioni europee mediante l’ampliamento di competenze dell’unione, ha visto anche una tappa fondamentale nell’introduzione del principio di sussidiarietà. Paradossalmente l’espansione dell’euroscetticismo ha visto la stessa articolarsi in tre correnti, quali confederalista, federalista e funzionalista, paritetiche alle loro omologhe inerenti alla organizzazione dell’Europa, con alla base una latente, ma continua, crisi generalizzata del modello democratico intesa come crisi di fiducia nelle istituzioni politiche europee. Tale scenario risulta essere stato la panacea in cui si sono sviluppati i dibattiti inerenti alla definizione ed alla critica stessa dei limiti del potere politico unionista. L’Europa oggi risulta, paradossalmente, impossibile ma necessaria dinanzi al suo destino sviluppatosi per cicli epocali. Oggi che viviamo nei tempi in cui alcuni paventano la morte dell’Europa molti altri, invece, parlano della necessità dell’unione dei popoli europei. Il destino dell’Europa si esprime, pertanto, nel dilemma se la originaria “religione della speranza” di unione ormai abbia lasciato il posto alla “religione dell’utopia” europea fatta di nazionalismi populisti. Essendo l’Europa un sistema di relazioni, l’Unione Europea dovrebbe essere un sistema di alleanze di lunga durata e solide. Purtroppo negli ultimi anni l’equilibrio tra i suoi membri, che avrebbe dovuto essere indipendente dalle loro dimensioni, ha, invece, visto politiche frammentate e separate peraltro anche in aspetti cardine della sua ragion d’essere quali, ad esempio, la difesa comune con un conseguente mancato rafforzamento coesivo delle politiche europee di difesa comune esterne piuttosto che interne. Il respingimento dei migranti alle frontiere, sempre più piene di reticolati e di muri, parrebbe rappresentare la fine dell’Europa basata sulla “pietas cristiana” pensata e posta in essere dai suoi padri fondatori. Oggi che la cortina di ferro è caduta, paradossalmente, continuiamo a vivere in un’Europa fatta di muri e di uomini col fucile a guardia degli stessi. Indubbiamente il progresso economico e sociale, come anche il costante miglioramento delle condizioni di vita, sono stati obiettivi raggiunti ma la grande varietà della cultura europea imporrebbe di non dimenticare la fonte comune da cui essa scaturisce. La necessità di concepire una forma di unità europea, d’altro canto, nasceva dalla esigenza di organizzare su base più ampia territori e singole potenze in una maniera più efficiente, in primis, da un punto di vista prima economico. Certo i paesi europei occidentali si organizzarono nel 1949 anche sul piano strategico militare, e quindi politico, attraverso l’istituzione della Nato ma fu solo nel 1992 che Maastricht diede loro la possibilità di rilanciare l’idea di un mercato unico e di una politica economica unica volta ad un obiettivo di competitività regionale ed occupazionale, siglando il maggiore interesse avutosi per l’aspetto economico unitario piuttosto che politico. De Gasperi più volte ha sottolineato la questione della giustizia sociale ma assai spesso le sue parole sono state riferite solo al problema della produzione e distribuzione. L’idea originaria di Europa basata su una solidarietà istituzionalizzata oggi vede l’obiettivo del raggiungimento di una unità politica come assai lontano. E’ pur vero che l’idea di Europa nella storia prevedeva che le istituzioni sopranazionali sarebbero state insufficienti senza la formazione di una mentalità europea, e che questa sarebbe dovuta essere fatta anche, e soprattutto, di interessi “politici” collettivi superiori. Il mondo contemporaneo, invece, ha messo in primis gli interessi economici accantonando la questione identitaria che con il fallimento della “costituzione europea” ha creato solo e soltanto una visione “post illuminista” dell’Europa, come priva di una unità politica centrale. Rimane, pertanto, ad oggi, ancora il dubbio su quale sia la vera entità, prima che politica, antropologica del popolo europeo dando per asseverata la concezione per cui i padri fondatori forse volevano realmente solo una unità economica, unità economica che oggi vediamo nel modello economico sociale di mercato tedesco. Dalla Ceca ad oggi, infatti, l’economia sociale di mercato rimane, unitamente alla costituzione europea, un progetto realizzato solo a metà con un’economia che lo stato di diritto supporta, e sorregge, quasi che l’umanesimo europeo possa essere declinato solamente come economico. Purtroppo l’ordine di mercato fondato non è di per sé un ordine etico ma anzi, parafrasando le parole di Foucault, l’”ordoliberalismo” renderebbe la società funzionale al mercato anziché quest’ultimo degno dell’uomo. Certo risulta vero che parlare di economia significa parlare anche di cultura ma il problema è che la cultura europea non avrebbe dovuto limitarsi all’aspetto singolo ma avrebbe dovuto creare una unione politica a partire proprio da valori antropologici di coesione umana, quali ad esempio la difesa comune, che sono tramontati nel tempo. D’altronde se la ragion d’essere di ogni confederazione è la difesa comune certamente la stessa necessita anche di istituzioni comuni. Gonzague De Reynold, a tal proposito, parlando appunto di confederazione faceva presente che il “tetto” della casa europea necessita di “fondamenta scavate” e di “mura erette” e la difesa comune, mediante un esercito comune al servizio di un’unica bandiera, avrebbe potuto essere uno di questi elementi. Purtroppo i fatti della Ex Jugoslavia (vedasi gli eventi di Srebrenica) come anche quelli di Libia (vedasi l’intervento militare autonomo francese) con la prevalenza non dell’unità politica europea ma di quella della Nato, a forte condizionamento americano, ne sono stati la prova. Oggi, come ieri, l’Europa continua ad avere due guerre negli spiriti quali quella del passato nazionalista e quella del futuro populista anti-europeo. Deformarsi e scomparire, oggi più che mai, risultano essere i rischi possibili per il “gigante economico” ma “nano politico” e proprio da questo punto di vista l’Europa di oggi non è più la stessa pensata dai suoi padri fondatori ma paradossalmente continua ad essere solo e soltanto un semplice ideale. Un ideale identico a quello dagli stessi pensato.