Politica

Legge di Bilancio 2025: una speranza spezzata per il futuro dell’Italia

Mentre il 2025 muove i primi passi, l’Italia si trova a riflettere su una legge di bilancio che, nel migliore dei casi, solleva speranze ma, nel peggiore, evidenzia mancanze profonde. In un periodo in cui il nostro Paese ha un bisogno disperato di rinascita economica, culturale e sociale, ci chiediamo se le misure proposte siano sufficienti a sostenere le aspirazioni di milioni di italiani. In queste righe, esploreremo le pieghe di una legge che dovrebbe essere il faro della nostra crescita, ma che rischia di lasciare molti nell’ombra.
Prima di entrare nel merito della questione, è necessario precisare che si tratta di una decisione presa esclusivamente dalla maggioranza, senza tenere conto della volontà complessiva del Parlamento, in quanto il governo ha deciso di porre la questione di fiducia su questa legge di bilancio, impedendo così che fossero apportate modifiche dal Parlamento. Una pratica non portata avanti solo dal governo Meloni, ma contro cui la stessa Giorgia Meloni si è battuta animatamente in passato, proclamando queste parole: “Di grazia, posso chiedervi dov’è la democrazia parlamentare? Nel momento in cui il Parlamento non può discutere la legge di bilancio, che vi segnalo essere la prima prerogativa dei Parlamenti dalla fine delle monarchie assolute, quindi più o meno dal XVII secolo?”
Chiarito ciò, vediamo ora in cosa consiste la legge di bilancio 2025. Cerchiamo di fare chiarezza su come sono stati ripartiti i circa 30 miliardi di euro destinati alla manovra di quest’anno. La maggior parte dei fondi è stata destinata alle imposte sul lavoro e alle detrazioni fiscali. Cosa significa? Chi beneficerà concretamente di questi fondi? Questi fondi confermano una misura già inserita nella legge di bilancio dell’anno scorso, ovvero il famigerato cuneo fiscale di cui si sente tanto parlare, che in termini semplici rappresenta la differenza tra il netto e il lordo nella busta paga di chi è lavoratore, lavoratrice o dipendente. In sostanza, se guadagni fino a 20 mila euro all’anno, non cambia praticamente nulla.
Se guadagni tra i 25.000 e i 35.000 euro, riceverai meno soldi in busta paga; se guadagni tra i 35.000 e i 40.000 euro, riceverai un po’ di più in busta paga; e se guadagni oltre i 40.000 euro all’anno, non ci saranno cambiamenti. Cosa significa tutto questo? È evidente che non tutti sono avvantaggiati allo stesso modo da questa manovra; addirittura, si è svantaggiati se si guadagna tra i 25.000 e i 35.000 euro all’anno, e non sono questi gli stipendi che dovrebbero farsi carico di svantaggi. Inoltre, l’aumento in busta paga, per chi lo vedrà, non compensa minimamente il peso dell’inflazione e l’aumento dei prezzi; per esempio, il prezzo dell’olio rispetto al 2014 è aumentato dell’81%. Questi piccoli aumenti in busta paga, quindi, per quei pochi che li riceveranno, non compensano minimamente l’aumento del costo della vita. Come è evidente dall’aumento del tasso di povertà assoluta negli ultimi dieci anni in Italia, le persone, pur lavorando, sono sempre più povere. Questa manovra, per quanto possa dirne il governo, non ha minimamente scalfito questo problema.
Detto ciò, in questo stesso blocco rientra anche un’altra misura, le cosiddette tre aliquote IRPEF. Questa non è altro che una riconferma della misura dell’anno scorso. Per quanto concerne la partita IVA, anche a questo giro di giostra non ci sono diritti di riposo né garanzie. La conferma di queste due manovre vale 18 miliardi di euro, e queste due misure rappresentano la gran parte dei fondi della legge di bilancio di quest’anno.
Andiamo avanti, sul fronte delle famiglie, per esempio, il governo ha detto a più riprese di voler puntare sulla natalità. Come ha pensato di farlo? Per esempio, con il bonus bebè: 1.000 euro per ogni figlio nato nel 2025 se il reddito è inferiore a 40.000 euro. O con il bonus asilo nido: 3.600 euro per i nati dal 2024 se il reddito è inferiore a 40.000 euro. Una manovra che migliora la vita delle famiglie solo in apparenza, perché 1.000 euro non rappresentano una soluzione reale; infatti, è calcolato che mantenere un figlio fino ai 18 anni costa 75.642 euro. Questo non è un incentivo alla natalità, così come non lo è una politica che non aumenta gli asili nido disponibili, che in alcune regioni non ci sono proprio. Sarebbero altre le politiche di sostegno alla natalità.
Passiamo al tema sanità, che è decisamente urgente in Italia, considerando che 4,5 milioni di persone rinunciano a curarsi a causa di una sanità inefficiente pur pagando le tasse. La scelta delle priorità del governo purtroppo è ricaduta su altro, perché per il 2025 le risorse destinate alla sanità aumenteranno solo dello 0,5%, e forse dell’1% per il 2026. C’è poco da dire in realtà, se non che sono risorse evidentemente totalmente insufficienti per far fronte al problema della sanità italiana, che è poi molto più grave in determinate regioni e città italiane. La priorità del governo invece è il ponte sullo stretto di Messina, sogno nel cassetto di Matteo Salvini e poche altre anime. È stato approvato un incremento delle risorse da destinare al ponte.
Infine, nel progetto sono presenti altre misure. Ad esempio, c’è la conferma di un bonus elettrodomestici.
Dopo una breve panoramica delle leggi di bilancio, emerge una riflessione necessaria. Affinché un paese possa crescere, e l’Italia è sicuramente un paese che ha bisogno di crescere, sia economicamente che culturalmente e socialmente, è imprescindibile un progetto di crescita solido. Tuttavia, la legge di bilancio 2025 non mostra né crescita né progettualità. Questa normativa sembra essere più un’istantanea sfocata che il risultato di una pianificazione di lungo o medio periodo. Tale mancanza è evidente nelle misure per la natalità e nell’inconsistenza delle manovre economiche rispetto alle esigenze del mondo reale. Gli investimenti nell’istruzione italiana sono scarsi, e addirittura il fondo per contrastare la povertà educativa minorile, istituito nel 2016 e costantemente rifinanziato, è stato cancellato nonostante l’aumento della povertà educativa. Inoltre, il sostegno alla crescita appare debole: mille euro una tantum non rappresentano una risposta adeguata. Perché per i giovani non ci sono quasi interventi significativi? Un paese che non investe nel proprio futuro non può progredire. La realtà è che, con queste premesse, l’Italia non potrà essere un paese che progredisce, nemmeno nel 2025.

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