Le radici economiche dell’Europa
“L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri. Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo.” (Art .3 comma 3, Trattato dell’Unione Europea)
Molti intellettuali e il Papa Benedetto XVI ritengono che l’Europa sia essenzialmente espressione del Cristianesimo. Ripetono la celebre massima del filosofo Benedetto Croce: “Non possiamo non dirci cristiani.”.Lamentano la mancanza del riferimento alle radici giudaico-cristiane nei Trattati dell’Unione Europea.
In pochi, però, hanno notato che nel Trattato di Lisbona è scritto che l’Unione Europa adotta come suo modello economico un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente.
Ma cosa vuol dire questa misteriosa e gigantesca frase?
Per gli economisti dell’area del popolarismo europeo questa formula indica essenzialmente l’“economia sociale di mercato” ossia un gruppo di economisti molto attivi tra gli anni Trenta e Settanta del XX secolo in Germania di formazione liberale e cristiana. Alcuni erano anche cattolici. Sono anche noti come Scuola di Friburgo.Pubblicavano i loro lavori sulla rivista “Ordo” da cui deriva anche il termine ordo-liberalismo. Una descrizione abbastanza interessante del pensiero di questi economisti (Eucken, Röpke, Lippmann, Erhard) si trova nel saggio intitolato Economia sociale di mercato di Luisa Bonini. Per i liberisti puri, tale formula significa alla fine che il liberismo fortemente competitivo è la matrice economica dell’Europa. Per qualche socialista con gli occhi bendati, tale formula rassomiglia ad una versione molto indebolita del socialismo compatibile con il mercato di alcune correnti liberal-socialiste perché il Trattato parla anche nello stesso punto di piena occupazione e progresso sociale. Si potrebbe dire uno scolorito liberalsocialismo in cui di socialismo c’è sempre meno e di liberismo sempre di più.
Ma cosa proponevano nello specifico i sostenitori dell’economia sociale di mercato?
Questi economisti sono lontani da quei liberisti che sostengono la tesi secondo cui il mercato è un mezzo naturale di allocazione delle risorse e che si auto-regolamenta da sé in maniera quasi spontanea. Al contrario, questi economisti sono convinti che il mercato sia un quadro di regole estremamente dettagliato in cui possono agire le aziende. Lo Stato è il guardiano dell’ordine concorrenziale economico. Non è lo “stato minimo”, semplice “guardiano notturno” di cui parla Robert Nozick, ma uno stato forte al di sopra delle parti e dei gruppi di interessi.
I sostenitori dell’ordoliberalismo sono, pertanto, contrari all’intervento attivo dello Stato nell’economia e alla nazionalizzazione dei mezzi di produzione. Non ammettono aiuti di stato alle imprese. Ammettono la sua azione solo per soccorrere in momenti eccezionali le imprese in difficoltà.
Taluni ammettono un welfare minimo. Tutti vogliono un estremo rigore nei conti pubblici (massimo contenimento del debito pubblico), il pareggio di bilancio e uno strettissimo controllo dell’inflazione e della stabilità dei prezzi.
Questo modello economico si pone in una posizione intermedia tra il liberismo economico puro e il collettivismo. È una terza via tra questi due estremi. Il sistema economico non può essere fondato solo sulla legge del profitto e dell’uomo economico tipico del liberismo assoluto, né sul controllo totalitario dell’economia da parte dello stato comunista. Secondo questi autori (Eucken, von Dietze, Lampe), l’economia va strettamente collegata con l’etica e specificatamente con l’etica cristiana e il Vangelo. Lo Stato è intermedio tra la persona umana che sta al di sotto e Dio che sta al di sopra. Nella società, oltre allo spazio riservato alla concorrenza e al libero mercato, va lasciato uno spazio affinchè la Chiesa possa agire adeguatamente contro il peccato e il Male. L’economista Röpke oltre a proporre l’idea dello stato come produttore della cornice di regole e una politica sociale innovativa, insiste molto sulla necessità di un nuovo umanesimo economico in grado di coniugare libero mercato e giustizia, democrazia e separazione del potere politico da quello religioso.
Va sottolineato e ricordato che soprattutto Erhard subì l’influsso di Oppenheimer, già suo professore, che voleva risolvere la questione sociale con “un socialismo realizzato per mezzo del liberalismo”. Entrambi cercavano una terza via tra liberismo e collettivismo.
Cosa significa allora la formula “economia sociale di mercato fortemente competitiva”?
Alcuni potrebbero dire che l’“economia sociale di mercato fortemente competitiva” sia l’incontro tra liberismo economico, cristianesimo liberale e sociale, liberalismo politico. Mario Draghi potrebbe riconoscere una forma moderna di liberal-socialismo. A nostro avviso, tale formula mette da parte qualsiasi forma di economia socialdemocratica o liberal-socialista e radica l’Unione Europea in un unico modello economico, ideologico e culturale: un misto di liberalismo politico, ultraliberismo economico, verniciato un po’ di dottrina sociale cristiana cattolica, economia sociale di mercato, e social-liberalismo. In questa prospettiva, l’Unione Europea è un ente intermedio tra i cittadini europei e Dio. Questi cittadini non possono non dirsi cristiani, e sono persone umane super-competitive. I vari Mario Monti, Mario Draghi e molti altri educati nelle scuole cattoliche possono passare dagli scranni del Parlamento Europeo, alle poltrone della Banca Centrale Europea, ai convegni di Rimini di Comunione e Liberazione, alle colonne dei templi massonici.
Probabilmente i chilometri di direttive dell’Unione Europea sono dovute a questa visione del “liberalismo delle regole” propria dell’economia sociale di mercato e anche, in parte, l’estremo rigore sui conti pubblici imposto dalla Germania e da alcuni stati del Nord-Europa a tutta l’Unione Europea. Tale rigorismo etico ed economico spesso è andato a cozzare con gli interessi e le politiche degli stati del Sud-Europa più propensi agli aiuti di stato e alla spesa pubblica. Il paradosso dei paradossi è l’Italia dove per anni nei blog di Forza Italia sono comparsi molti riferimenti agli economisti dell’ordoliberalismo. Le draconiane riforme ultra-liberiste volute dalla Commissione Europea hanno causato il colpo finale al governo Berlusconi nel 2011. Berlusconi, il “neoliberista”, è stato travolto da altri feroci ordo-liberali nord-europei.
Al di là delle parole, andando alla sostanza, il modello economico dell’Unione Europea è una forma di ultra-liberismo applicato ad una scala sovranazionale. L’altisonante formula “economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente” è un ombrello in cui possono riconoscersi i cristiani liberisti, i liberisti puri, il liberal-socialisti, i cattolici, ecc.. Ma la sostanza dietro le maschere ideologiche è una sola e si chiama neoliberismo sovranazionale, fondato su forte regolamentazione e super-concorrenza.
La crisi attuale dell’Unione Europea sta forse proprio in questo: 1) essere sospesa tra la persona umana e Dio, 2) essere a metà strada tra un’organizzazione confederale e uno stato federale, 3) essere impigliata in uno strano monolite di ideologia economica che sta diventando sempre più rigido e insostenibile.