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Le donne afghane: ombre anonime della società

“Una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice … Che tutti i sospiri si elevavano al ciel o …a formare delle nubi…si spezzavano cadendo silenziosamente sulla gente … A ricordo di come soffrono le donne come noi … di come sopportiamo in silenzio tutto ciò che ci cade addosso”.
Rileggere oggi queste dolorose parole che Nana, donna afghana, rivolge alla figlia Mariam, entrambe protagoniste del romanzo “Mille Splendidi Soli” di Khaled Hosseini, ci costringe a spezzare il velo dell’illusoria perfezione della società in cui viviamo e a riflettere sulla condizione di vita di tantissime donne afghane, spose, madri e figlie, che sono costrette a subire ogni giorno senza alcuna possibilità di riscatto.
Nonostante il romanzo sia stato scritto un paio di anni fa, le sue analisi sui problemi sociali ed economici che affliggono l’Afghanistan e la sua denuncia per il modo in cui vengono trattate le donne, purtroppo, descrivono una realtà ancora attuale.
Dopo la ritirata nell’agosto del 2021 degli occidentali decisa dagli Usa, i Talebani si sono riappropriati, con brutalità, del potere provocando un enorme dissesto economico ma soprattutto hanno relegato le donne in un vero e proprio girone infernale: la donna, essere inferiore, non possiede più alcun diritto. La sua unica funzione rimane solo quella riproduttiva al servizio dell’uomo-padrone.
Spazzando via, come un violento ciclone, i significativi progressi degli ultimi 20 anni ottenuti da donne coraggiose, le hanno rinchiuse nelle loro abitazioni e le hanno private della possibilità di lavorare.
L’autoproclamato Emirato islamico dell’Afghanistan guidato dai Talebani, ha attuato una vera e propria politica di cancellazione delle donne, vietando loro di esprimere se stesse, costringendole a scomparire dalla società.
E lo ha fatto chiudendo le scuole e privandole del diritto, sacro per ogni essere umano, allo studio e alla conoscenza.
Ma soprattutto ha mortificato i loro corpi, avvolgendoli in abiti scuri, informi “per non indurre in tentazione gli uomini”, è stato affermato, facendosi scudo ipocritamente di una religione piegata esclusivamente ai loro scopi.
E le donne afghane, ricoperte dalla testa fino ai piedi di pesanti stoffe scure, sono state defraudate della loro dignità e ridotte a ombre nere, anonime e insignificanti, macchie invisibili che non possono e non devono sporcare la falsa purezza di un perbenismo religioso che simula virtù inesistenti.
Questa bieca politica di cancellazione dell’identità femminile, prosegue da mesi nell’indifferenza generale, come se la loro vite violate non siano più importanti.
Dopo l’iniziale indignazione generale, nessun mezzo di informazione ha mantenuto un’informazione costante su quello che sta accadendo loro, su tutti i soprusi che sono costrette ad affrontare ogni giorno.
Avvolte dal nostro biasimevole silenzio le abbiamo abbandonate al loro destino.
Concentrati solo sui nostri bisogni, abbiano finito con il dimenticare che sono donne come noi, esseri umani con il nostro stesso diritto di vivere in libertà.
La dignità e l’identità di queste donne non può essere ridotta a delle sagome scure da cui sbuca a fatica lo sguardo intenso dei loro occhi neri, la cui profondità ci sbatte in faccia la loro sofferenza e la nostra vergognosa apatia.
Una delle tante fortunate donne che sono riuscite a scappare, la regista Sahraa Karimi, ex direttrice dell’Afghan Film e insegnante alla Scuola nazionale di cinema a Roma, in una intervista ha testimoniato questa drammatica situazione, raccontando di essere dovuta andare via perché la sua professione non poteva più essere accettata dai talebani che avevano iscritto il suo nome in una lista nera. E ha sottolineato che proprio le donne afghane hanno raggiunto grandi risultati per l’Afghanistan in nome del loro paese, ma che i Talebani vogliono “mettere a tacere questa parte importante della società perché hanno paura della donna che sa formulare i suoi pensieri e come scegliere il suo destino”.
Oggi essere donna in Afghanistan è un peccato ignominioso di cui vergognarsi e da espiare annullandosi nel volere dell’uomo che ha assunto ogni potere.
Ma oggi, nonostante l’Afghanistan sia un paese distrutto, stritolato da un barbaro oscurantismo, con scuole chiuse, testate giornalistiche censurate, bambini in condizioni estreme di povertà costretti a lavorare o umiliati in matrimoni precoci, molte donne non si sono arrese a questa loro solitudine e non hanno rinunciato a lottare anche rischio della propria vita come l’attivista Frozan Savi la quale purtroppo, per difendere i diritti civili e umani delle donne è stata uccisa con così tanti proiettili da averle deturpato il viso come se la si volesse cancellare per sempre.
E noi, troppo spesso, distratti dai colori che brillano sulla superficie della nostra quotidianità, e i nostri governi imprigionati nelle loro contorte reti di interessi, siamo scivolati, sempre più, verso il fondo della nostra umanità e non siamo più in grado di distinguere il nostro principale dovere: assicurare libertà e giustizia.
Ma non possiamo continuare a ignorare che queste donne vivano come in una perenne notta buia senza stelle, prigioniere di una cultura barbara e retrograda.
Ogni donna con la propria dignità e identità possiede eguali capacità di un uomo.
Perché, ricordando ancora le parole di Khaled Hosseini:
“Una società non ha nessuna possibilità di progredire se le sue donne sono ignoranti, nessuna possibilità”.

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