L’arte di strapparsi la maschera dal volto e… “Quel che Varguitas non ha detto”
Riflessioni sullo spettacolo “Appuntamento a Londra”, che, prodotto dallo Stabile di Catania nell’ambito della trilogia dedicata al Nobel Vargas Llosa, dopo le repliche al Verga di Catania, andrà in tournée. Come la storia di Julia Urquidi Illanes s’incrocia con quelle di Raquel, Chispas e Pirulo, o se preferite Maddy, Luca e Nino, tra l’ossessione per le verità controverse, il tema dell’identità e della sessualità fluida e quel gioco dell’essere e sembrare di pirandelliana memoria. Con un ricordo di Carmelo Volpe, libraio
Lo que Varguitas no dijo, ossia Quel che Varguitas non ha detto.
Così s’intitolava un libro pubblicato nel 1983 in Bolivia e firmato da Julia Urquidi Illanes, che sarebbe poi morta nel 2010 a 84 anni. Era la protagonista di un celebre romanzo, La tía Julia y el escribidor.
L’altro personaggio principale de La zia Julia e lo scribacchino, come venne chiamato in Italia, era il diciottenne Mario, anzi Marito, detto anche Varguitas. Cioè quel Mario Vargas Llosa, peruviano naturalizzato spagnolo, che sarebbe stato insignito, nel 2010, del Nobel per la Letteratura e al quale il Teatro Stabile di Catania ha deciso di dedicare una Trilogia. Così, dopo I racconti della peste, ha messo in scena con i bravissimi Lucia Lavia e Luigi Tabita e la regia di Carlo Sciaccaluga questo Appuntamento a Londra, tratto dall’omonimo testo pubblicato nel 2009 da Einaudi.
È nella capitale britannica, appunto, che Raquel (Maddalena nella versione di Sciaccaluga) bussa alla porta della suite di Chispas (Luca, sulla scena), ricco uomo d’affari peruviano, e lo sconvolge rivelandogli d’essere la sorella del suo migliore amico, Pirulo (Nino), che lui non vede da venticinque anni. Da qui, tra continui colpi di scena, parte un confronto psicologico sull’essere e sembrare di pirandelliana memoria, ma anche sulla sessualità fluida con l’attribuzione di differenti generi e diverse identità (più volte i protagonisti ripetono il gesto di strapparsi la maschera dal volto), e soprattutto su quel concetto di verità spesso ricorrente in Vargas Llosa.
E probabilmente legato proprio al libro citato all’inizio.
Sì, perché Julia Urquidi Illanes – sorella della moglie dello zio e d’una quindicina d’anni maggiore di Vargas Llosa fu da lui sposata, contro il parere della famiglia, quando lo scrittore aveva appena 19 anni e risultava dunque minorenne – aveva voluto, con Lo que Varguitas no dijo, raccontare la propria versione dei fatti. E aveva accusato l’ex marito non solo di aver omesso, scrivendo La zia Julia e lo scribacchino, importanti vicende della loro storia, ma anche di aver tentato di bloccarla intervenendo su alcuni editori. Tanto da dichiarare: “la mia onestà, rivendicazione e integrità di donna non sono in vendita”.
Vargas Llosa – che oggi ha 87 anni e in seconde nozze avrebbe sposato la nipote di Julia, Patricia Llosa, di quindici anni più giovane di lui, per poi lasciarla a sua volta -, sosteneva però che “Non si scrivono romanzi per raccontare la vita, ma per trasformarla, aggiungendovi qualcosa”.
Lo stesso meccanismo, cioè, ha utilizzato per questo testo teatrale di grande forza, nel quale si intrecciano dialoghi formidabili tra lo Stupido maschietto Luca (Allora Nino non era frocio! Dopo 25 anni siamo i fantasmi di ciò che siamo stati)e Maddalena-Maddy, lacerata nel rivivere la sua transizione (Ero e non ero più, il Nino che hai conosciuto non esiste, Mi hai ficcato ben bene nella maledetta realtà).
Nel testo di Vargas Llosa, Carlo Sciaccaluga ha innestato inoltre un potente brano tratto dalla poesia Il corpo elettrico di Walt Whitman: L’amore del corpo di un uomo o di una donna è al di là di ogni descrizione, il corpo stesso ne è al di là, quello del maschio è perfetto, perfetto quello della femmina.
La recitazione sincopata di Lucia Lavia e quella a un tempo aggressiva e intimistica di Luigi Tabita, entrambe di grande efficacia fanno il resto, insieme allo straordinario disegno di luci creato da Gaetano La Mela e che potenzia la già efficacissima scenografia di Anna Varaldo, autrice anche dei costumi. Mentre le musiche – a eccezione della struggente Vedrai, vedrai di Luigi Tenco cantata da Tabita in una sorta di bara trasparente – sono di nogravity4monks.
Così, lo spettacolo – rappresentato al Verga di Catania partirà presto per una tournée – procede in un crescendo di emozioni e dubbi fino al colpo di scena finale. Il medesimo della prima edizione italiana di Appuntamento a Londra, andata in scena nel 2009 a Spoleto nell’ambito del Festival dei Due Mondi. Era presente Vargas Llosa, che definì quella conclusione indovinatissima.
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Mi prendo la libertà di aggiungere qualche riga per ricordare un amico che non c’è più da tempo. Parlo di Carmelo Volpe, proprietario e anima di quella libreria La Cultura in cui si ritrovavano un tempo tutti gli amanti catanesi della Letteratura. Fu lui, nel 1979, a convincermi acquistare La zia Julia e lo scribacchino, volume ambientato nella capitale peruviana e ch’era appena uscito per la collana Supercoralli della Einaudi. Ricordo ancora la copertina: un cono di luce colorata che illuminava, in una sala da ballo, le gambe di due donne che danzavano su tacchi altissimi.
’Sta Lima pari Catania mi disse Carmelo – tutti coloro che lo conobbero lo rimpiangono per la leggerezza e la profondità con cui svolgeva la sua missione di autentico operatore culturale – intendendo che Mario Vargas Llosa, per come scriveva, per com’era, avrebbe potuto essere un catanese.
Così fui felice anche per Carmelo, quando Marito venne insignito con il premio Nobel.
Nel tempo, avevo continuato a leggere le opere affascinanti di questo peruviano naturalizzato spagnolo considerato uno dei massimi romanzieri contemporanei: da La città e i cani, opera del suo esordio, a Pantaleón e le visitatrici a Chi ha ucciso Palomino Molero? e a Il caporale Lituma sulle Ande e poi le affascinanti Avventure della ragazza cattiva, Il sogno del Celta, che nel 2013 ottenne il premio Tomasi di Lampedusa e L’eroe discreto.
E bene ha fatto lo Stabile a dedicargli questa Trilogia.