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L’arresto di Cecilia Sala

Com’è noto la giornalista Cecilia Sala, che appena due mesi fa a Santa Venerina aveva ottenuto, per la stampa nazionale, il premio internazionale in memoria di Maria Grazia Cutuli, si trova reclusa nel carcere iraniano di Teheran.
Se tutti ufficialmente continuano a negare che l’arresto di Cecilia Sala a Teheran costituisca una risposta a quello del ricercatore Mohammed Abedini a Malpensa, tuttavia quando si discute di intraprendere trattative per liberare l’una, immediatamente il discorso si intreccia con la liberazione l’altro. Il gioco delle parti prevede che se da parte italiana si chiede l’immediato rilascio di Cecilia Sala arrestata il 19 dicembre, la risposta è di «accelerare la liberazione del cittadino iraniano» preso tre giorni prima.
Il fatto è che al tavolo delle trattative è presente un convitato di pietra, gli Stati Uniti, che nulla avrebbero a che fare né con Cecilia Sala, né con l’Iran con cui, peraltro, non hanno rapporti diplomatici. “E però Abedini è stato arrestato in Italia sulla base di una red notice inoltrata da Washington (l’accusa è di aver fornito componenti tecnologiche all’Iran, violando l’International Emergency Economic Powers Act) e il Dipartimento di Stato si è già fatto sentire intimando a Teheran di non usare l’italiana come strumento di scambio, perché non otterrà niente in cambio”.

Una situazione potenzialmente pericolosissima, sostengono gli iraniani, che pur non precisando le accuse a Sala, (si parla di «violazione delle leggi della repubblica islamica»), assicurano di aver fornito alla loro prigioniera «tutte le agevolazioni necessarie».
In realtà, Sala nelle sue telefonate ha sottolineato la drammaticità della condizione carceraria, costretta a dormire per terra, con la luce accesa a tutte le ore del giorno e della notte, senza poter incontrare nessuno e senza aver ricevuto i beni di conforto che le erano stati inviati.
Sul caso della reporter italiana si è tenuto un vertice a Palazzo Chigi, a cui hanno partecipato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, oltre ai rappresentanti dei servizi di intelligence.
Tajani ha invitato a evitare le speculazioni politiche, mentre la famiglia ha chiesto il silenzio stampa.
Certamente, occorre rispettare le preoccupazioni e le richieste della famiglia ma occorre, anche, una riflessione collettiva sulle condizioni delle carcerarie iraniane.
In Italia, è stato tradotto da poco il libro di Narges Mohammadi Più ci rinchiudono, più diventiamo forti.
Narges Mohammadi, laureata in ingegneria, giornalista e attivista iraniana, vicepresidente del Centro dei difensori dei diritti umani, è stata arrestata e detenuta per ben più di 10 volte in quanto dissidente e nel maggio 2016 è stata condannata a 16 anni di reclusione per aver organizzato “un movimento di difesa dei diritti umani”. Il libro, oltre alla testimonianza dell’attivista iraniana, raccoglie i racconti di tredici donne, tra cui la famosa giornalista Nazanin Zaghari-Ratcliffe e l’attivista Atena Daemi, che hanno vissuto la stessa esperienza nelle carceri iraniane. Le storie, annotate di nascosto durante la prigionia, rivelano non solo le terribili condizioni carcerarie, ma anche il grande coraggio delle donne, che nemmeno l’isolamento e la tortura bianca riescono a spezzare. Come viene drammaticamente descritto nel libro, la tortura bianca consiste nella reclusione in uno spazio limitatissimo, dalle dimensioni di una tomba, senza alcuna apertura, tranne un’angusta porta d’ingresso sbarrata da cui si affacciano gli aguzzini per torturare le donne sia psicologicamente che fisicamente. Non è un caso che venga chiamata la tomba della morte perché sottrae alle persone ogni stimolo sensoriale e acustico; è illuminata da luci bianche al neon; carcerieri e carcerati sono vestiti di bianco e anche il cibo è tutto bianco e insapore. Il tutto per far perdere ai detenuti il concetto di sé, della propria personalità e condurre ad allucinazioni visive e uditive.

Narges Mohammadi non ha mai smesso di lottare; nel 2023 ha ottenuto il premio Nobel per la pace. Speriamo che Cecilia Sala venga liberata al più presto e che, anche lei, non smetta mai di lottare per i diritti umani, la libertà e la democrazia.

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