L'Opinione

La vittimizzazione secondaria delle donne

E, come sempre, grandi titoli ad effetto spiccano sulle prime pagine delle più importanti testate giornalistiche, perché uno stupro, anzi per essere corretti, un presunto stupro, fa notizia e aumenta le visualizzazioni, poi se ad averlo commesso è addirittura il figlio del nostro presidente del Senato Ignazio La Russa, la situazione diventa esplosiva. Quale migliore occasione per trasformare una vicenda terribile, in una opportunità per scatenare l’ennesima diatriba politica (ma questa è un’altra storia).

I cosiddetti giornalai, prima ancora che la le indagini della Magistratura siano arrivate a un punto conclusivo, hanno emesso la loro sentenza e, immancabilmente, una pletora di tenutari della verità assoluta si sono scatenati sui social con la loro abituale arroganza.

Ma in tutta questa ridicola e discutibile baraonda di condanne sancite dalla lucentezza dei caratteri neri delle parole accusatorie e di plateali moralismi e di giudizi severi che farebbero impallidire lo stesso Catone il Censore, purtroppo l’unica certezza che emerge prepotente è che ancora una volta, una giovane donna, dal momento in cui ha deciso di denunciare, è stata messa alla gogna e ha subito da parte di tutti, il vergognoso trattamento che la nostra società (che urla con spavalderia la propria inclusività),  riserva a tutte le donne che hanno il coraggio di farsi avanti.

La vita di questa ragazza è stata violentata una seconda volta ed è stata sottoposta a una spregevole forma di vittimizzazione secondaria.

I media con i loro titoli sensazionalistici e con le loro ricerche ossessive, scavano in profondità con interesse morboso e divulgano condotte di vita personali per poi darle in pasto alla bramosia famelica della massa che si erge a giudice supremo e insindacabile.

Ogni donna che ha trovato la forza di uscire dal dolore in cui è precipitata, viene scaraventata di nuovo in fondo e subisce un processo sommario, prima ancora che abbia inizio quello giudiziario.

Nel presunto stupro di Leonardo Apache La Russa, se da un lato il ragazzo è stato giudicato colpevole ed è stato condannato senza alcuna possibilità di appello, contraddittoriamente dall’altro è iniziato il consueto iter di colpevolizzazione dei comportamenti assunti dalla ragazza. E così, decine e decine di menti “autorevoli e competenti” ritenendosi in diritto di poter sentenziare a proprio piacimento, con una valanga di commenti l’hanno screditata e ridotta a una drogata abituale che, di conseguenza, è responsabile di quello che le è accaduto.  

La giovane, presunta vittima di uno stupro, è diventata vittima per la seconda volta.

Questi leoni da tastiera, anonimi cittadini senza reali capacità cognitive, ma purtroppo espressione forte delle disparità di genere ancora radicate nel profondo delle coscienze, hanno dimostrato con chiarezza quanto siamo schiavi dei pregiudizi maschilisti e patriarcali. Pur scagliandosi contro il presunto stupratore, hanno messo in discussione le affermazioni della ragazza, nei cui confronti hanno assunto un atteggiamento sessista e denigratorio. Forti di questa loro vigliacca superiorità, si sono lanciati in commenti svilenti attraverso i quali hanno giudicato in modo negativo il suo aver aspettato settimane prima di denunciare, e hanno avanzato dubbi dimostrando una disarmante superficialità che non lascia spazio ad alcuna forma di empatia.

Ogni volta che si verifica un comportamento scorretto che sfocia in una forma di vittimizzazione secondaria della donna che ha subito violenza, si attua una indegna opera di emarginazione che porta a una ennesima discriminazione basata solamente su ipocriti presupposti di diversità.

Purtroppo questo è un atteggiamento che spesso viene ignorato, sminuito a un innocuo comportamento e non ci si rende conto che ancora oggi non facciamo altro che reiterare comportamenti passati, retaggio di secoli di esclusione femminile da ogni campo sociale, politico e culturale.

“Come contiamo poco e come tutte queste moltitudini annaspano pur di restare a galla” scriveva Virginia Wolf nel suo saggio “Una stanza tutta per sé”.

Parole scritte nel lontano 1928 ma che ancora oggi sembrano riflettere una retrograda volontà di esclusione femminile e concezioni di presunta inferiorità e di inadeguatezza delle donne costantemente e ostinatamente ridotte a oggetti di piacere.

Oggetti che vengono guardati con sospetto tutte le volte che osano dimostrarsi pensanti e indipendenti. Di conseguenza una donna che sfida il predominio maschile e ha il coraggio di denunciare ad alta voce, automaticamente suscita dubbi e perplessità sulla veridicità delle sue affermazioni.

Qualcuno, restio a cedere il ridicolo scettro dei propri pregiudizi, potrebbe obiettare che non tutte le accuse solo perché avanzate da donne debbano essere necessariamente attendibili, però se si vuole raggiungere e vivere una vera parità di genere è necessario che questi stereotipi sessisti vengano abbattuti in modo tale che ogni donna possa sentirsi libera di denunciare una violenza e non sia costretta a subire un sistematico e deliberato attacco alla sua credibilità e alla sua dignità.

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