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La rigenerazione urbana: il caso Catania

Recentemente, “il quotidiano inglese The Telegraph ha pubblicato una controversa classifica delle città di mare più brutte d’Europa, suscitando reazioni e discussioni tra turisti e residenti. La lista non solo mette in evidenza le bellezze trascurate di alcune località costiere europee, ma include anche due città italiane, Ostia e Catania, finite in classifica per i loro aspetti poco attraenti”. Catania, pur essendo una città ricca di storia e cultura, è stata criticata per il suo “aspetto trascurato e per i problemi legati alla gestione dei rifiuti”. La presenza di edifici fatiscenti e strade mal tenute ha contribuito a una percezione negativa tra i turisti, “che si aspettano un’esperienza più curata in una località costiera”.

Edifici obsoleti, strade dissestate e una cronica inefficienza nella gestione dei rifiuti, hanno oscurato le straordinarie ricchezze storiche e culturali di Catania. La città etnea, da sempre al centro di intensi contrasti tra un glorioso passato e le difficoltà del presente, non riesce a brillare come meriterebbe. 

Una città – come si legge su The Telegraph – “che si affaccia su uno dei tratti di mare più belli del Mediterraneo, ma che deve fare i conti con infrastrutture carenti e un evidente stato di trascuratezza. Le ricchezze culturali e architettoniche della città sembrano non trovare un adeguato equilibrio con le politiche di sviluppo urbano e turistico, finendo così per non essere valorizzate a dovere”.

Eppure Catania, come Napoli, e il Mezzogiorno possono rappresentare un fattore concreto per l’impulso a una ripresa in chiave nazionale ed europea, “non solo in ragione dei vuoti produttivi di un quadro macroeconomico, ma per l’opportunità di tramutare i vecchi comparti produttivi e di instaurare un’economia circolare attraverso nuove imprese, la ricerca e l’innovazione tecnologica in un processo di crescita sistemica”. Questo obiettivo, secondo l’economista Amedeo Lepore, non può essere perseguito senza una metamorfosi delle città meridionali e delle loro aree di maggiore affollamento o abbandono. Una strategia di riqualificazione territoriale potrebbe rivelarsi quale  l’inizio  di un mutamento più generale  in una relazione virtuosa tra istituzioni, imprese e cittadini, associazioni e altre forme di aggregazione sociale. Il termine rigenerazione urbana (urban regeneration), nella sua accezione originaria, indica i programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare con impronta sociale e ambientale, privilegiando il riuso dell’edilizia esistente e contenendo, perciò, il consumo di suolo, in un’ottica complessiva di riduzione dell’impatto sull’ecosistema e di miglioramento della qualità della vita. Concetto diverso è quello del rinnovamento urbano (urban renewal), che prevede un’edilizia nuova o sostitutiva – basata su interventi di demolizione e ricostruzione – con una maggiore incidenza del suo carattere remunerativo. Questi due approcci, di fronte all’esigenza di un profondo cambiamento delle condizioni abitative, della situazione sociale e della qualità urbana nel Mezzogiorno, possono essere integrati, nei loro migliori aspetti, in una visione originale di sviluppo. Salvatore Cafiero, Pasquale Saraceno, e, in particolare, Giuseppe Giarrizzo, nella sua “Catania”, (pubblicato da Laterza nella collana Storia e società. Storia delle città italiane) ragionavano in questo modo, quando si proponevano di mettere al centro di una svolta meridionalista la “questione urbana”, come leva per il rafforzamento dei territori e dell’economia del Sud.   Oggi, al cospetto delle contraddizioni e dei drammi dei maggiori agglomerati delle città meridionali – ma il tema riguarda ormai medi e grandi centri di tutto il Paese – è indispensabile riprendere l’elaborazione e la programmazione di interventi organici per rivitalizzare gli spazi urbani degradati, riconvertire i siti industriali dismessi e irrobustire il tessuto sociale, con una strategia di sviluppo vieppiù innovativa. Per Giarrizzo, ripercorrere la storia di Catania doveva servire a “ricostruire sul terreno sconvolto da rivolgimenti di uomini e della natura”.  Non a caso, Giarrizzo stesso si è a lungo battuto per la riconversione del Monastero dei Benedettini, diventato la sede della Facoltà di Lettere e oggi del Disum. Un esperimento riuscito a cui ne sono seguiti pochi altri. Solo nel marzo 2020, dopo tanti cavilli e tante discussioni, sono stati attivati da Nello Musumeci, allora presidente della Regione,  i fondi a sua disposizione, ex art. 38, destinando 2,3 milioni di euro alla demolizione dei padiglioni del Santa Marta costruiti nel dopoguerra.  “Una decisione motivata con la necessità sia di valorizzare l’immobile settecentesco, attribuito al Vaccarini (impropriamente, secondo gli esperti) sia di restituire uniformità urbanistica e architettonica a quella parte di città barocca. La demolizione dei brutti edifici degli anni Sessanta, dovrebbe contribuire a riqualificare l’area conferendole maggiore capacità di attrazione turistica”. 

Ma i lavori vanno a rilento!

All’interno di questo scenario, per l’area catanese, al di fuori di una mera logica topografica, si potrebbe puntare a infrangere sia le barriere che la separano dal mare sia quelle che separano il centro dalle altre zone e che hanno soffocato la vocazione metropolitana della città e impedito una piena connessione del centro con le altre parti del territorio circostante.  Occorre partire da una rigenerazione dei quartieri periferici attraverso la costruzione di nuovi alloggi e la promozione di iniziative per l’agricoltura urbana, il verde, l’istruzione e l’aggregazione sociale e culturale. Occorre mettere in atto esperimenti complessi di riqualificazione edilizia e digitalizzazione, istruzione e formazione, realizzazione di attrezzature collettive, partecipazione civica e potenziamento della sicurezza, condotto a tutti i livelli istituzionali. E, ancora, costruzioni di PalaEventi per la musica e lo sport mediante un project financing.

Si è aperto da poco il cantiere nell’area del vecchio San Berillo, per la riqualificazione di via Di Prima e piazza Turi Ferro già denominata Spirito Santo, e hanno avuto inizio i lavori anche per la realizzazione di spazi a verde e nuova pavimentazione, nelle vie Pistone e delle Finanze, cuore dell’antico quartiere a “luci rosse” nel centro di Catania.  
Un piano di riqualificazione, che si inserisce all’interno dei Piani Urbani Integrati previsti per il completamento dell’area di San Berillo, principalmente legati alle misure del Pnrr che interessano la città di Catania con diversi interventi di riqualificazione urbana, per un ammontare complessivo di 74 milioni di euro di investimenti.
Sono previste – come si legge nel sito del Comune di Catania – nuove pavimentazioni, e saranno installate sedute e fioriere lungo i lati della viabilità. “Dal punto di vista impiantistico si procederà alla risistemazione dei corpi illuminanti esistenti e all’implementazione di una nuova illuminazione che, di concerto all’installazione di sistemi di videosorveglianza, garantiranno una maggiore sicurezza sociale. L’area sarà inoltre dotata di copertura WiFi e sarà resa prevalentemente pedonale grazie all’installazione di dissuasori mobili negli accessi delle due vie”.
 Il tutto, al fine di “rendere il quartiere di San Berillo finalmente agibile dal punto di vista della vivibilità e dell’immagine collettiva di questa zona di Catania… in cui saranno migliorate le condizioni igienico-sanitarie e  inseriti elementi di arredo urbano e di verde pubblico, garantendo finalmente accessibilità e sicurezza a una zona finora considerata marginale”.  Inoltre, è prevista “la realizzazione del grande parco urbano attrezzato di oltre 7 mila quadrati, nell’area dismessa compresa tra piazza della Repubblica e via Ventimiglia”.

L’intervento potrebbe essere l’inizio di un possibile percorso di recupero urbano, che vede per la prima volta la possibilità di estendere la città fino al mare attraverso la realizzazione di un grande spazio pubblico, un parco lineare che congiunge il cuore della città alla costa, nel rispetto della memoria e dell’identità cittadina.

Insieme a queste iniziative, però, occorre mettere a regime almeno altri tre cospicui campi di azione su temi irrisolti: l’impiego del patrimonio immobiliare pubblico e la sua rigenerazione; la risoluta definizione di programmi per nuove abitazioni, attraverso processi di rigenerazione edilizia; la realizzazione di piani di manutenzione, decoro e viabilità su scala metropolitana. “Per integrare queste opere in una logica di sistema è indispensabile, secondo Amedeo Lepore, anche in tempi difficili, rinsaldare una collaborazione e una sinergia istituzionale su scopi specifici, ma di grande valore per la comunità. Non dimenticando, come ha ammonito Saskia Sassen, che le maggiori città, oltre a dovere curare il benessere dei loro abitanti, sono parte di una competizione a livello nazionale e internazionale per affermare la loro attrattività. Solo in questo modo, Catania, Napoli e il Mezzogiorno potranno vincere la sfida.
 

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