La resilienza delle donne in Libra e in The Plot against America
Rimasero sdraiati al buio, a pensare. A causa di quello che ci hanno fatto. Lei ha dovuto lavorare e poi piantare il lavoro e badare a me e farsi licenziare e lavorare e piantare il lavoro e prender su e partire. Anche noi, prendiamo su e partiamo. Raggranellando i cent per il prossimo spostamento da qualche parte. Umiliazioni quotidiane per tutta la vita. Macinata dal sistema. Salvo che lei non lo mette mai in discussione. È sempre colpa delle situazioni particolari. Di Mr Ekdahal e della sua ridicola buonuscita. Dei pettegolezzi alle sue spalle. Dei vicini con le loro lavatrici Hotpoint e le loro auto Ford Fairlane, contro cui lei compete nell’ultimo modo che conosce. Il mio ragazzo, Lee, ama la lettura. La sua infinita madre. [1]
Donald Richard DeLillo è nato a New York, il 20 novembre 1936. Considerato uno dei più importanti scrittori americani, ha collezionato successi letterari come Libra, Underground e White Noise.
Libra, uno dei più premiati romanzi americani dell’ultimo trentennio, pubblicato nel 1988, racconta la tragica vita di Lee Harvey Oswald e fornisce una ricostruzione fittizia della sua partecipazione alla cospirazione della CIA per assassinare il Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy.
Oswald è nato nel mese di ottobre, ed è della bilancia, simbolo dell’equilibrio che Oswald non riesce a raggiungere, una casualità che DeLillo non perde di vista tanto che sceglierà di intitolare il suo libro proprio “Libra”. Il romanzo consta di 24 capitoli, è suddiviso in due parti e si presenta come romanzo modernista, il testo infatti è caratterizzato da continui cambi di voce narrante e salti spazio-temporali.
Il brano in questione si colloca nel quinto capitolo della prima parte e si muove in direzione del primo vettore temporale che conduce la narrazione: la miserabile vita di Lee Harvey Oswald, dall’infanzia nel Bronx ai giorni del suo funerale.
Il quinto capitolo, intitolato “Atsugi”, fa riferimento agli anni vissuti da Oswald in Giappone durante l’addestramento dei marines. Dopo essersi arruolato, il giovane fa fatica a integrarsi e ad adattarsi alla rigidità fisica e morale della vita militare, a causa della sua dislessia e della sua fragilità emotiva.
Il brano inizia con due militari che dialogano sulle assurdità della vita militare. La narrazione in un primo momento procede limpida e lineare, per poi diventare incontrollata e impulsiva, causando confusione nel lettore che a un certo punto, non riesce più a indentificare la voce narrante. Dunque, in linea con la scrittura sperimentalista e postmodernista dell’autore, e in linea con la natura polifonica del romanzo, il brano in analisi risulta complesso ed è articolato in quattro sequenze.
Per quanto concerne la dimensione spazio-temporale, il brano si muove su due linee temporali: il presente (“Anche noi, prendiamo su e partiamo”), dimensione temporale che l’autore adopera quando si riferisce ai giorni trascorsi da Oswald in Giappone, e il passato prossimo (“Lei ha dovuto lavorare e poi piantare il lavoro e badare a me e farsi licenziare”), attraverso il quale DeLillo riporta le umiliazioni fisiche e morali subite da Oswald durante gli anni trascorsi con la madre in un quartiere del Bronx di New York. Una ferita mai rimarginata come si evince dalla presenza di verbi come “macinare” che letteralmente significa “ridurre in polvere” e “dovere” che sembrano ricordare la dura lotta per la sopravvivenza dei Malavoglia e la crudeltà di un sistema sociale che non lascia ai deboli alcuna possibilità di riscatto.
È importante inoltre sottolineare la presenza di tecniche narrative come l’analessi, dal momento che Oswald sta rammentando alcuni dettagli della sua infanzia, la prolessi (“Raggranellando i cent per il prossimo spostamento da qualche parte”) e una pausa, un’interruzione volontaria che rallenta il ritmo narrativo ed evidenzia la prevalenza del tempo del racconto sul tempo reale.
Per quanto concerne l’aspetto stilistico prevale il discorso indiretto libero, come è visibile nella seconda sequenza: “A causa di quello che ci hanno fatto[…]”, espediente che offre la possibilità al lettore di immergersi nei pensieri e nelle emozioni più intime di Oswald. La narrazione in questione è condotta in prima persona, affinché risalti all’occhio del lettore tutta la sofferenza e il disagio vissuto da Oswald nel tentativo di ricordare un’infanzia vissuta in un contesto socio-economico di miseria ed emarginazione.
Tuttavia, è importante chiarire che il testo viene introdotto da una narrazione in terza persona, con un narratore extra-eterodiegetico. La scrittura di DeLillo, come anticipato prima, è articolata e frammentata, per cui, un approccio lineare e diacronico del testo devierebbe il lettore da una corretta comprensione, e la terza e quarta sequenza ne sono la conferma. Nella terza sequenza DeLillo inserisce, con una geniale disinvoltura, un flusso di coscienza carico di emotività (“Il mio ragazzo, Lee, ama la lettura”) che confonde il lettore circa la provenienza della voce narrante, potrebbe trattarsi di Marguerite Oswald, ma la narrazione in terza persona della quarta sequenza ( La sua infinita madre) potrebbe offrirci un’altra chiave di lettura, facendoci pensare a una missiva, per queste ragioni non possiamo stabilire con certezza il tipo di focalizzazione che caratterizza queste sequenze. Tuttavia l’attacco della seconda sequenza, con la presenza del pronome personale “noi”, orienta il lettore verso la consapevolezza che a parlare in queste sequenze sia Oswald, e dunque avvalora l’ipotesi della focalizzazione interna mobile.
Una scelta stilistica tutt’altro che gratuita, che DeLillo mette in atto per portare il lettore all’interno della mente confusa e instabile di un ragazzo poco più che ventenne. Queste repentine transizioni di voce narrante infatti mostrano come la sua mente sia posseduta da pensieri contrastanti, una condizione che accomuna ogni essere umano in età prematura. È molto probabile che il giovane sia ancora legato allo spettro della madre, è abbastanza comune, infatti, che negli adolescenti prevalga il punto di vista del genitore dominante, nel processo iniziale di formazione identitaria.
Da questi dati emerge il profilo di un ragazzo smarrito, che cerca di dare un senso alla propria vita. Oswald è un Outsider nella sua terra d’origine, ma questa condizione di esclusione sociale continuerà a perseguitarlo anche durante il suo breve soggiorno in Unione Sovietica. Disilluso e scoraggiato, decide così di ritornare negli Usa, portando con sé Marina, una giovane donna che Lee aveva conosciuto e sposato in Russia, che decide di lasciare la sua patria per trasferirsi in un paese straniero e dominato dall’ideologia capitalista, e la piccola June, nata da questa unione disfunzionale. Una grande prova d’amore alla quale Oswald sembra non attribuire il giusto valore, maltrattando e trascurando la moglie, che il lettore vedrà sfiorire come una rosa al sole. Una presenza importante quella delle donne nella vita di Oswald, Marina infatti non è stata l’unica a sostenere Oswald durante le prove della vita, anche Marguerite, sua madre, non ha mai abbandonato il figlio né quando si è ritrovata a crescere due bambini da sola nell’America dell’immediato dopoguerra, né quando disperata si è recata alla Casa Bianca per chiedere notizie del figlio disperso in Unione Sovietica.
I personaggi femminili sono apparentemente secondari nel libro di DeLillo, rispetto a The Plot against America di Roth, eppure in entrambi i romanzi, la figura femminile è simbolo di resilienza.
In fisica viene definita resilienza la capacità di resistere agli urti senza spezzarsi, e quelli che vengono definiti scientificamente urti, nella vita reale non sono altro che le esperienze traumatiche della vita. Dunque, la resilienza è la capacità di riorganizzare positivamente la propria vita dinnanzi alle difficoltà. Per la capacità di resistenza, la persona resiliente potrebbe essere paragonata al giunco, una pianta palustre originaria delle regioni temperate dell’emisfero settentrionale, nota per la sua flessibilità che le permette di resistere agli agenti atmosferici. La persona resiliente, dunque, è colei che riesce a piegarsi fino a toccare il fondo, ma non si spezzerà mai, in questo modo resiste ai colpi della vita, e DeLillo sceglie di far emergere questa capacità di non spezzarsi di fronte alle avversità della vita nel personaggio di Marguerite Oswald.
Marguerite è una donna combattiva che nonostante l’indole vittimistica che la contraddistingue, rappresenta un vero e proprio esempio di forza femminile, perché in fondo Marguerite è davvero una vittima della società. Trascorre tutta la sua vita in un contesto di povertà estrema ed emarginazione dal momento che si ritrova da sola con due figli da accudire. Eppure non si scoraggia, sceglie di non abortire e di crescere Lee da sola, lavorando duramente per garantire ai figli un futuro migliore del suo. C’è quasi dell’eroismo nelle parole pronunciate da Marguerite al giudice per difendere un figlio ammazzato e umiliato pubblicamente, sono parole cariche di dolore, quelle di una madre che ha visto morire il proprio figlio da uno schermo:
Ed è così fin dai tempi antichi, gli uomini si uccidono fra loro e le donne restano accanto alla tomba. Ma io non mi accontento di restare vostro onore.[2]
Marguerite per la sua natura di donna resiliente può essere paragonata alla protagonista femminile del romanzo di Roth, The Plot against America.
Dalla lettura del romanzo di Roth emerge una donna straordinaria: Bess Roth. Bess è cresciuta sentendosi ostracizzata dai suoi coetanei e disconnessa da una vera comunità ebraica. Da adulta, ha lottato duramente per assicurarsi che i suoi figli facessero parte di una comunità ebraica fiorente e tangibile, affinché non sperimentassero l’umiliazione che lei fu costretta a subire a causa dell’antisemitismo. Philip nutre una profonda ammirazione per la madre, e molte delle sue rivelazioni più profonde sulla sua identità e sul suo posto nel mondo provengono dalla sua percezione di lei:
Non mi sarebbe mai sembrata più straordinaria di come mi apparve quella sera, e non soltanto per l’abbandono con cui accettava e faceva telefonate a e dal Kentucky. C’era qualcosa di più, molto di più.[3]
Queste parole sono tratte da una delle scene più emozionanti del romanzo che fanno emergere l’istinto materno e la capacità di resilienza di Bess. Nonostante la sua indole ansiosa, Bess rivela una personalità forte, capace e instancabile che non si fermerà davanti a nulla al fine di proteggere la sua famiglia.
Bess e Marguerite, dunque, sono due personaggi così distanti ma affini allo stesso tempo. Due donne resilienti capaci di non spezzarsi di fronte al dolore, come la protagonista del romanzo più celebre di Arundhati Roy: Il Dio delle piccole cose. Ammu, è considerata resiliente perché affronta molteplici sfide nella sua vita con forza e determinazione. Questa forza delle donne è un elemento centrale nel romanzo di Arundhati Roy, che infine non condurrà la protagonista a un riscatto sociale, Ammu, infatti muore precocemente. Tuttavia, la sua battaglia e il suo coraggio sono stati l’ancora di salvezza di sua figlia Rachel.
Alla resilienza dei personaggi femminili, DeLillo contrappone la fragilità che caratterizza le figure maschili, che cercano di resistere come le donne alle avversità della vita ma con maggiore fatica e incapacità di controllo.
DeLillo rivela come Oswald e per assurdo anche Everett siano incapaci di accettare i fallimenti della vita, cercando sempre di mantenere il controllo degli eventi a discapito anche delle leggi morali che dovrebbero governare ogni uomo. Oswald si illude di aver assunto quel protagonismo a cui ha sempre ambito ma in realtà non è altro che un progetto necessario del sistema sociale americano, infatti Oswald non è solo la pedina della CIA e dell’FBI, ma è anche un prodotto dell’ideologia della Guerra Fredda e dei media americani. Oswald è la vera vittima del complotto che portò alla morte di Kennedy, o forse meglio dire il capro espiatorio.
La presenza di un complotto implica una vittima, e la vittima merita di essere risarcita, ed è quello che accade a Kennedy. Mentre, il capro espiatorio è colui che paga, è la vittima reale del complotto, in questo caso è il giovane e indifeso Lee Harvey Oswald. Oswald muore a soli ventitré anni e si conquista un ruolo nella storia, ma a che prezzo? Oswald passa alla storia come il carnefice, un brutale assassino senza scrupoli, l’assassino che ha strappato brutalmente la vita al Presidente più stimato degli Stati Uniti d’America.
La ricostruzione dei fatti di DeLillo permette al lettore di analizzare la figura di Oswald da una prospettiva alternativa, che fa emergere tutta la tragicità della sua storia. Il paradigma vittimario è una costante culturale della nostra società, pertanto è possibile fare un parallelismo con il celebre romanzo di Roth, The Plot against America. Winchell, ebreo e famoso giornalista radiofonico, si presenta come capro espiatorio secondo uno schema sacrificale. Ma si propone anche come pietra dello scandalo in quanto lancia un’accusa pubblica contro il Presidente in carica degli Stati Uniti. Il modello presente è quello dell’intellettuale impegnato sul modello di Zola e del suo celebre j’accuse durante l’Affaire Dreyfus, un modello che è possibile riscontrare anche in Sciascia e in DeLillo.
In Libra la sacralità abbonda, ragion per cui il testo va letto in una prospettiva antropologica: la violenza, il desiderio di sacrificare vittime umane è un fenomeno ancestrale come dimostrano gli studi dell’antropologo, filosofo e critico letterario Renè Girard. Girard ci invita a storicizzare i processi sacrificali come elementi dell’immaginario umano primitivo ma che non abbiamo ancora superato. Lo studio condotto, infatti, prende in analisi i riti sacrificali condotti dai Greci. I Greci chiamavano “Karharma” l’oggetto malefico espulso nel corso di operazioni rituali. La vittima, prima di essere giustiziata, veniva portata in giro per le vie della città per calamitare sulla propria persona tutti i germi cattivi. Dunque, il rito che funzione assume? Secondo Girard il rito aiuterebbe gli uomini ad esorcizzare la violenza, il dolore e la paura.
Da quest’analisi, dunque, emerge un’idea di storia alternativa al complottismo. Non si tratta di un testo complottista, ma storico, che come quello di Roth, smonta la visione del complotto come realtà messa in atto dalle grandi forze politiche. Il complotto viene ideato e generato da personaggi in cerca d’autore, piccoli uomini che hanno bisogno di sentirsi potenti. E la letteratura può offrirci una sorta di verità in quanto può fornirci prospettive sull’esperienza umana, come l’esperienza di vita di Oswald. A questo proposito, è importante citare le parole pronunciate da Marguerite Oswald, durante il processo accusatorio nei confronti del figlio: “Vostro onore non posso affermare la verità di questo caso con un semplice sì o no, devo raccontare una storia”.[4]
Marguerite nel suo discorso pronuncia una parola per niente casuale: “raccontare”. Il verbo “raccontare” deriva dal latino “contare” ovvero numerare, e dal momento che l’etimologia delle parole ha un’importanza, numerare significa mettere in ordine, ricostruire i pezzi di un puzzle, dare un senso al disordine, ed è proprio questa la funzione della letteratura, quella di rivelare una verità invisibile agli occhi.
[1] D. DeLillo, Libra, Torino, Einaudi, 2010, p. 102.
[2] Ivi, p. 442
[3] P. Roth, The Plot against America, Torino, Einaudi, 2010, p. 360.
[4] Ivi, p. 449.