La Realtà “Perfetta”
Ciao, come posso aiutarti?
Questa è la fatidica domanda che lampeggia sul nostro schermo e che, esattamente come la formula magica “Apriti sesamo” della favola di Alì Babà, ci spalanca le porte per entrare nel favoloso universo di Chat GPT, un’innovativa app che permette di chattare con l’intelligenza artificiale proprio come se dall’altra parte ci fosse un altro essere umano che parla con noi con un linguaggio difficilmente distinguibile da quello usato in una conversazione reale.
Ultimamente non si parla d’altro che di lei, di IA e delle sue molteplici possibilità di applicazione, in quanto è in grado di rispondere a tutte le nostre domande, di eseguire qualunque tipo di calcolo e di dare informazioni tecniche su qualsiasi ambito. Molti, presi dall’entusiasmo, ne decantano gli aspetti positivi e auspicano un aumento delle sue prestazioni in ogni campo lavorativo fino ad arrivare a pensare che IA possa essere una efficace alternativa umana nei processi giudiziari o nella gestione amministrativa della nostra società.
Basta inserire tutti i dati sui casi precedenti e lei farà tutto il resto.
Ma tanta meraviglia non riesce, però, a cancellare quell’impercettibile sgomento che serpeggia dentro, un senso di vuoto, perché in fondo la nostra umanità di individui in carne e ossa non può accettare che una macchina guidata da algoritmi, perché IA è questo, possa veramente essere considerata una reale alternativa al nostro potere decisionale e che le nostre scelte siano influenzate o addirittura sostituite da decisioni meccaniche.
Eppure, nonostante tutto, IA sta imponendo la sua presenza e sta diventando sempre più determinante nella nostra società, uno strumento indispensabile di cui non possiamo più fare a meno. Abbagliati dalle spettacolari prospettive che ci mostra come fantastiche opportunità di progresso, non ci rendiamo conto che parallelamente ci stiamo lentamente disumanizzando. Affidare a una macchina il compito di scegliere per noi, significa rinunciare al nostro essere umani e al necessario coinvolgimento emotivo che non solo ci contraddistingue ma che ci permette di agire non in modo perfetto ma eticamente giusto.
Mentre IA avanza imperiosa e con essa il nostro tanto decantato progresso, la nostra umanità e il nostro sentire vengono sgretolati, ridotti in insignificanti granelli di polvere da eliminare a ogni costo per impedire che entrino e si insinuino all’interno dei perfetti ingranaggi di una tecnologia che invece di sostenerci si arroga la pretesa di essere migliore di noi.
Di certo IA sceglie la soluzione o la decisione più perfetta, ma lo farà sempre basandosi su calcoli algoritmici che non tengono conto della nostra realtà emotiva o dei nostri sentimenti che invece rivestono un ruolo importante in ogni nostro pensiero o azione. Noi non siamo automi che reagiscono solo a stimoli esterni ma una unione di varianti emotive che fanno di noi gli esseri umani che siamo.
Ma tutto questo diventa irrilevante in nome di IA, un’intelligenza artificiale che simula l’intelletto umano ma con più capacità e discernimento critico, e quindi capace di assicurare una qualità di valutazione perfetta e inattaccabile però ci si dimentica che il nostro intelletto, non è fatto solo di neuroni che trasmettono impulsi elettrochimici ma di una stretta connessione tra questi e i nostri sensi che portano a un coinvolgimento intimo e personale che nasce dall’esperienza vissuta, che si intreccia a concezioni etiche formatisi nel corso della vita e a convincimenti morali che non si fermano alla materialità dell’evidenza ma che scendono nelle profondità delle azioni in modo da valutarle in modo totalizzante. Ogni azione umana è frutto di una scelta che interseca elementi materiali e interiori in un binomio inscindibile e questo nessun cervello elettronico sarà mai in grado di emularlo.
IA possiede solo dati concreti e dimostrabili e guarda il nostro mondo umano solamente con un unico punto di vista: quello razionale che non potrà mai soddisfare la nostra umanità.
IA crea immagini, melodie, composizioni letterarie, produce testi ma resteranno confinati a un livello asettico e impersonale, in quanto essa manca di vera ispirazione artistica che invece nasce da una creatività interiore tutta umana nutrita di passione e di sentimento.
Una umanità che una macchina non possiederà mai così come anticipato dallo scrittore Isaac Asimov nel suo romanzo “Io Robot” attraverso le parole della dottoressa Susan Calvin che afferma che “è una contraddizione in termini trovare elementi di interesse umano in un robot”.
Piuttosto che avere paura di una possibile sostituzione fisica come paventato nei passati romanzi di fantascienza, bisogna porre attenzione a questa sottile ma ben più pericolosa sostituzione che rischia di imporsi e di annullare la meravigliosa complessità umana che pur nella sua imperfezione e nella sua fragilità è l’unica condizione che ci potrà permettere di non essere risucchiati all’interno di una distopica realtà virtuale.