L'Opinione

La querelle dell’articolo

È trascorso solo un mese dalle ultime elezioni politiche che hanno sancito la vittoria del centro destra e hanno portato Giorgia Meloni a rivestire, prima donna in Italia, la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, ma le vecchie abitudini di chi ha perso ed è rimasto fuori dai giochi, non sono morte. Se da un lato questa elezione ha segnato un momento di progresso storico con la vittoria di una donna, contemporaneamente ne ha evidenziato un altro molto meno edificante che ha sottolineato quanto siamo lontani da una vera parità di genere.

Perché se fossimo in un paese in cui contano solamente il benessere e la prosperità della nostra società ci si aspetterebbe che l’opposizione si ponesse come garante delle priorità e invece, manifestando ancora una volta tutta la propria piccolezza umana e la propria vacuità politica di uomini senza valori e principi se non quelli personali, non ha trovato di meglio che concentrare tutte le proprie forze per commentare in modo negativo l’abbigliamento della Meloni anzi per essere precisi per criticare la sua scelta per aver indossato dei tailleur neri nei tre giorni istituzionali.

“Si è vestita da uomo” è stato gridato in numerosi post, scandalizzati di fronte a tanto ardire! 

Etichettando una tipologia di abbigliamento per rimarcare, così, la differenza di genere.

E viene da sorridere se si pensa che gli attacchi provengono proprio da coloro che si battono ogni giorno per l’uguale dignità di tutti gli individui, che, a loro dire, hanno il sacrosanto diritto di esprimere se stessi secondo il genere in cui si riconoscono.

A questo punto verrebbe tanto da chiedere a questi illustri tenutari della verità, perché Giorgia Meloni in quanto donna non è libera di decidere come vestirsi, che poi nella scelta di indossare il pantalone ha dimostrato proprio che non c’è alcuna differenza tra l’abbigliamento maschile e quello femminile. Forse l’opposizione ha dimenticato tutti gli anni e le lotte che hanno combattuto le donne per sdoganare questo indumento, forse dovrebbero aprire qualche libro di storia e studiare ma si sa che la cultura è il tallone d’Achille di molti dei nostri prodi politici.

Ma non soddisfatti del loro cicaleccio, hanno raggiunto l’apice del loro acume in questi ultimi giorni sollevando un vero e proprio polverone per la scelta della Meloni di porre l’articolo maschile davanti alla sua carica istituzionale.  Attacco che si è trasformato in una vera querelle ideologica che si è ingigantita così tanto da coinvolgere anche personaggi esterni al mondo politico.

Polemica che è stata alimentata non da un uomo ma, come accade sempre, da un’altra donna, la deputata del Partito Democratico Laura Boldrini che in un tweet ha scritto “La prima donna a palazzo Chigi che però si fa chiamare al maschile, il presidente…”

Seguita da molte altre donne soprattutto le femministe più radicali.

Ed ecco che, come sempre avviene sui social, si è scatenata una valanga di commenti in cui ognuno si è sentito autorizzato a dire la propria, spesso senza competenze al riguardo, ma oramai lo sappiamo, sui social siamo tutti “Tuttologi”.

E ne abbiamo lette parecchie di opinioni, come quella di scrittori che ne fanno una questione puramente grammaticale, tanto da far intervenire il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, il quale ha chiarito che entrambe le forme, quella con l’articolo maschile e l’altra con il femminile, sono corrette, la lingua italiana non vieta di utilizzare il maschile per riferirsi a cariche ricoperte da donne.

A questo punto non possiamo che farci una domanda fondamentale, anzi più di una:

Perché una donna deve a tutti costi scegliere un grafema femminile per rafforzare la sua reale posizione? Una donna per esprimere il proprio valore deve per forza sottolinearlo con un articolo? Una donna per essere tale ha bisogno di un riconoscimento puramente formale e grammaticale?

Tutte domande, queste, che varrebbe la pena che si pongano uomini e donne, perché da queste inutili posizioni emerge solamente una illuminante evidenza: ancora oggi non si è raggiunta una vera parità di genere se una donna per esistere in quanto tale, in un ruolo che tradizionalmente è stato occupato sempre da uomini, ha ancora bisogno di un articolo per sottolineare la propria identità. 

Beatrice Venezi, nel Sanremo del 2021, chiese di essere chiamata “Direttore d’orchestra e non direttrice” senza per questo perdere la propria identità di genere, e soprattutto le proprie capacità professionali.

Bisognerebbe dire all’opposizione e soprattutto a queste donne così tanto agguerrite che forse più che discutere di un articolo, dovrebbero assicurarsi se nella realtà di tutti i giorni questo mero riconoscimento formale si traduce in una maggiore rappresentanza delle donne nella società di oggi.

Perché se si analizzano a fondo i problemi di genere moderni, emerge un quadro tutt’altro che roseo che evidenzia come, ci sia ancora molto da fare per le tantissime donne che continuano a vivere in una situazione di assoggettamento culturale ed economico.

L’opposizione piuttosto che suscitare battaglie immaginarie contro mulini a vento, che distraggono l’opinione pubblica dai nostri fondamentali problemi economici e sociali, farebbe meglio a concentrarsi sulle vere problematiche che stanno dilaniando il nostro paese.

E per quel momento ci aspettiamo tutti noi, cittadini italiani, critiche costruttive ed efficaci.

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