Un libro da raccontare

“La porta socchiusa. Degenza e convergenza emotiva”

In occasione della festa della donna, alla Rinascente, è stato presentato il libro La porta socchiusa. Degenza e convergenza emotiva, a cura di Francesca Catalano, Elda Ferrante, Pina Travagliante, Algra Editore, Catania 2025.

Straordinaria tempra quella umana: ‘donne laboratorio’, perché la mente/mondo femminile è laboratorio in continua creazione e in continua scoperta; donne che sperimentano anche nel dolore la propria identità indissolubile. È questo in estrema sintesi il significato de La porta socchiusa. Degenza e convergenza emotiva, per Andos Catania, curato da chi le ha tenute per mano – Francesca Catalano, Elda Ferrante, Pina Travagliante, per i tipi di Algra Editore. Un libro in cui le donne parlano in prima persona di avventure umane – interiori e relazionali – in cui il male più temuto è affrontato e sconfitto con la forza delle emozioni. Nessun tratto da ego-histoire blochiana, qui si tratta di narrazione come pratica di cura, come gesto e linguaggio inclusivo, strumento/metodo, autogestito, per la ri‐progettazione dell’esistenza stessa, per la riconquista della propria identità, per la costruzione di contesti affettivi su nuovi piani di azione. La trasver¬salità, l’obliquità, le caratteristiche connettive e sinergiche del linguaggio narrativo auto‐biografico rendono così possibile riappropriarsi del progetto di vita, temporaneamente interrotto dal trauma della patologia, e dalla consapevolezza interiorizzata di essa. Il libro documenta una sorta di comunità di cura, realizzata col sensibile contributo delle tante storie di vita, narrate dai principali attori del processo inclusivo, comprendente le figure esperte che mediamo tale processo ricostruttivo. La narrazione è, secondo Bruner, il primo dispositivo interpretativo e conoscitivo di cui l’uomo – soggetto socio-culturalmente situato- fa uso nella sua esperienza di vita: attraverso la narrazione, infatti, l’uomo conferisce senso e significato al proprio esperire e delinea coordinate interpretative e prefigurative di eventi, azioni, situazioni, e su queste basi costruisce forme di conoscenza che lo orientano nel suo agire. Così, ne La porta socchiusa, (ancor più, nel racconto orale, che in quello scritto, per chi ha avuto fortuna di assistere alla presentazione del libro con le autrici/attrici) scorrono immagini di donna: variegata, complessa, determinata e forte della nuova dolorosa esperienza, che, sopraffatta dalla paura di perdersi, gioca la sua partita da protagonista, vince le insicurezze e, raccontandosi, dà corpo alla volontà di esistere. Annalisa, Pamela, Agrippina, Maria Elena, Anna, Giulia, Patrizia, Loredana, Anna Maria, Milena, Giusy, undici donne per la prima volta raccontano di sé, non solo, non tanto di quel vivere il dolore come percezione di un sé mortificato dal fenomeno più tragico, l’anti-vita, quanto per l’affermazione della vita. Paradosso inafferrabile per chi non ne ha esperienza, ma comprensibile se riportato a quell’universo peculiare dell’esser donna, nel quale tutto sembra possibile, purché, finché si sia in vita. Ricorrente nei racconti torna la responsabilità verso gli altri, a sottolineare la priorità degli affetti sul sé: “come faccio a dare questo dolore a mia figlia, a mia madre, alla famiglia …”, e, ancora, la tenera immagine di quante non vogliono abbandonare il luogo di cura, poco importa che sia un ospedale, infatti, proprio lì hanno appreso che sono oggetto di costanti, multiple, generose attenzioni, proprio lì, spazio e tempo diventano amorevoli condizioni in cui si scoprono soggetti d’amore.

*Professore Ordinario di Storia sociale dell’educazione – Università di Catania

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