La Politica contro le Toghe: conflitto di potere
La recente sentenza del Tribunale di Roma -che ha annullato il trattenimento di 12 migranti di nazionalità egiziana e bangladese presso il cpr di Shengjin in Albania poiché secondo i giudici romani questi paesi d’origine non possono essere definiti “sicuri” e l’immediata contestazione del governo Meloni, rappresentano l’ennesimo caso dell’assurdo quanto infruttuoso attacco della politica italiana nei confronti della Magistratura.
Un’ingerenza politica sempre più pressante fatta di critiche sterili e di osteggiamenti nei confronti di numerose decisioni dei giudici prese nel legittimo esercizio della loro funzione arbitrale fino ad arrivare a un evidente discredito dell’intera Magistratura.
E, in questo attacco sistematico, si è travalicato il limite nel recente caso del Tribunale di Roma, in quanto la fonte della sentenza emessa è la direttiva Ue 2013/32 secondo la quale un paese non può definirsi “sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali”.
Niente di più chiaro!
Le norme del diritto sovranazionale prevalgono su quelle nazionali.
Di fronte all’ostinazione di una politica, intollerante a ogni decisione che non sia la sua, questa normativa è stata ribadita dalla Corte di Giustizia Ue “le sentenze europee sono immediatamente vincolanti per i paesi membri” attraverso le parole di un suo portavoce all’Ansa.
Ma la presunzione di superiorità che affligge la politica del momento, ha condotto a non considerare la vincolatività di questa norma di diritto pubblico e a ritenersi autorizzati a contestarla.
Il governo con una solerzia, che invece dovrebbe dimostrare nella risoluzione dei ben più gravi e urgenti problemi sociali ed economici che affliggono l’Italia, ha immediatamente reagito redigendo un contro decreto legge.
Un testo che si pone, ancora una volta, come la pretesa della politica di porsi, sempre e comunque, al di sopra di ogni altro potere dello Stato, in uno scontro che non ha nulla di legittimo o di costruttivo, ma che invece vira verso un controllo sempre più autoritario.
Tralasciando che, nel redigere questo testo, oltre a minare dalle basi la validità delle decisioni giudiziarie, sono state proposte procedure molto più lente e complesse che non snelliscono l’iter giuridico.
Esso va ad intasare le Corti d’Appello italiane poiché inserisce un grado di giudizio intermedio sui trattenimenti dei migranti nei cpr.
La reazione di tutti i Presidenti dei tribunali di 2° grado, è stata inevitabile, così come quella di tutta la Magistratura che ha immediatamente rivendicato la sua assoluta e inattaccabile indipendenza da ogni interferenza politica.
Forse questo governo è confuso su quale sia il suo ruolo, così come si evidenzia dalle parole del Presidente del Senato Ignazio la Russa che ha suggerito una “fantasmagorica” modifica della Costituzione per “chiarire meglio il rapporto tra politica e magistratura”.
O forse è solo che questo governo si è arrogato il privilegio di essere l’unico organo dello Stato a poter decidere su ogni questione, in una illegittima commistione con il potere giuridico.
Ma la Magistratura deve essere libera di applicare e di interpretare le leggi, sia nazionali che sovranazionali, e, in un paese libero, le applica e le interpreta secondo principi giuridici che non hanno niente a che vedere con le decisioni della politica e delle varie correnti di partito.
L’ indipendenza della Magistratura è una importante e basilare garanzia di legittimità all’interno di uno Stato che si definisce democratico.
Eppure questo governo non sembra ricordarlo, e invece sembra ignorare che uno Stato per definirsi e per essere democratico, deve basarsi sulla separazione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario.
Questa separazione non è creazione moderna da potersi revisionare a seconda delle esigenze della politica, ma, a dimostrazione della sua storica validità di garanzia democratica, essa risale al secolo dei Lumi, alla teoria del filosofo Illuminista Montesquieu che, nel 1748, nel suo “Lo spirito delle Leggi” scrisse che l’esercizio del potere spesso tende all’abuso e che pertanto deve necessariamente trovare un limite affinché non degeneri. Per questo il modello ideale consiste in uno stato in cui i tre poteri siano limitati dall’autonomia degli altri due.
Un modello che è stato adottato prima dalla Costituzione americana e che poi, nel 1948, nella nostra Costituzione secondo la quale i ruoli sono ripartiti in modo chiaro e senza fraintendimenti.
Il potere legislativo spetta al Parlamento e si occupa dell’approvazione delle leggi. Il potere esecutivo al Governo e si occupa dell’applicazione delle suddette leggi.
Infine il potere giudiziario alla Magistratura alla quale spetta il compito di far rispettare queste leggi e di condannare chiunque le infranga, siano cittadini o le stesse Istituzioni.
Quindi, un modello di separazione adottato nell’interesse collettivo affinché non si degeneri verso forme di autocrazia.
Una separazione auspicata anche dallo stesso Platone che nel 4 secolo a.C. sosteneva, già, la necessità dell’indipendenza dei giudici dal potere politico.
Eppure la nostra politica sembra aver cancellato, nel suo modus operandi, questa giusta separazione e non perde occasione per travalicare arbitrariamente i suoi limiti.
Il potere giudiziario non può e non deve essere subordinato, in nessun caso, agli altri due poteri.
La sua autonomia e indipendenza rappresentano la basilare condizione che garantisce le nostre libertà come popolo e che ci tiene al riparo da soprusi di natura politica o da biechi tentativi di forme di potere assoluto.