Spettacoli

“La morte di Stalin” conclude il ciclo dedicato a Sciascia dal Teatro Stabile

È andato in scena al Palazzo della Cultura l’ultimo spettacolo del ciclo dedicato a Leonardo Sciascia: “La morte di Stalin”; tratto da “Gli zii di Sicilia” dello stesso Sciascia. Regia di Ninni Bruschetta; sulla scena: Antonio Alveario, Lydia Giordano, Luca Iacono, Alessandro Romano, Manuela Ventura; scene e costumi di Riccardo Cappello; luci di Gaetano La Mela; contributo video di Francesco Bruschetta. Produzione: Teatro Stabile di Catania.

Il gustoso spettacolo di Ninni Bruschetta riesce trasformare il racconto sciasciano in una sorta di spettacolo televisivo ricco di interviste, incursioni di opinionisti, parti recitate ma anche animate da musiche, canzoni e balli che movimentano continuamente la scena.
Si attualizza così una tematica che, oltre che dalla penna di Sciascia, sembra uscita da un racconto, in chiave siciliana, del buon Giovannino Guareschi, tratto dalla fortunata serie che vedeva come protagonisti il parroco, ovviamente DC, Don Camillo e il sindaco comunista Peppone in un’Italia postbellica animata da schieramenti politici fortemente contrapposti ma commentati con sapida ironia.
Con lo stesso sorriso sornione Bruschetta affronta, in stile talk show, le vicende politiche di Calogero Schirò, un calzolaio siciliano, convinto comunista che, reduce dal confino a Lampedusa nel ’40, ha anche lui il suo idolatrato “zio di Sicilia”, Giuseppe Stalin: “Lo zio di tutti, il protettore dei poveri e dei deboli, l’uomo che aveva nel cuore la giustizia. Calogero chiudeva ogni ragionamento sulle cose storte di Regalpetra e del mondo indicando il ritratto: ci penserà “lu zi’ Peppi”.
Alla viglia delle elezioni del 1948, lo aveva addirittura sognato intento a comunicargli che non era ancora maturo il trionfo del PCI.
Ma è la notizia della morte, per emorragia cerebrale, del leader sovietico, avvenuta il 5 marzo del 1953, che butta in un incredulo sconforto i ‘compagni’ di Regalpetra i quali piangono il ‘vincitore’ della guerra e il ‘patrono’ dei lavoratori, di quanti ciecamente credono in un prossimo immancabile riscatto.
Sono ancora lontani gli anni della ‘destalinizzazione’ voluta da Chruscev. Nulla si sa ancora delle crudeli ‘purghe’ degli anni Trenta, della cinica politica interna ed estera del dittatore sovietico, dell’assassinio di Trockij e di tanto altro.
Al contrario si coltiva la cieca convinzione degli ideali, la volontà di non riconoscere gli sbagli, di giustificare con forza il pensiero politico che si è voluto abbracciare.
E Palmiro Togliatti, il ‘vate’ dei comunisti italiani declamava: “Giuseppe Stalin è un gigante del pensiero, è un gigante dell’azione. Col suo nome verrà chiamato un secolo intero, il più drammatico forse, certo il più denso di eventi decisivi”
Che delusione alla fine, quando da una conversazione con un deputato, suo amico e compagno, Calogero aprirà gli occhi: Stalin era come Hitler?
“Con piacere ho accettato di ‘replicare’ il progetto nato da un’idea dalla direzione artistica dello Stabile di Catania – dice Ninni Bruschetta – e che l’anno scorso mi ha fatto mettere in scena ‘Il mare colore del vino’ senza adattare il testo al teatro. Una idea che si è rivelata vincente…Attraverso questo protagonista tenero, paesano, intelligente, disponibile al ragionamento, se pur offuscato degli eventi, Sciascia ci racconta, con un geniale artifizio letterario, la storia della seconda guerra mondiale – scrive Ninni Bruschetta nelle note di regia – Mantenendo l’originale punto di vista di Calogero, riflette sulle strategie politiche e militari, sulle reali convenienze degli stati e dei leader di allora e, soprattutto sulle conseguenze e le illusioni relative a tutto ciò che accadde…Per questo abbiamo messo in scena il racconto di Sciascia come se fosse un talk show, ovvero il luogo in cui oggi si può vedere la guerra, proprio come se fosse uno spettacolo!”.
Un modo di riflettere sulla guerra che oggi più che mai è presente sugli schermi e nel dramma di un’umanità dolente.
Ma la storia, si sa, non è ‘magistra vitae’…

Foto di Antonio Parrinello

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