La morte della notizia: come l’algoritmo uccide il giornalismo

La notizia è morta, ma chi ne porta il lutto sembra ormai rassegnato a un destino segnato. Anni fa, il giornalismo aveva una funzione: raccontare i fatti, contestualizzarli, approfondirli. Ora, tutto ciò che ci viene offerto è un carosello di banalità che si mescolano alla farsa, un mix di immagini scintillanti e parole che non dicono nulla. Eppure, siamo immersi in questa nuova realtà come pesci nell’acqua, troppo abituati al rumore di fondo delle notizie confezionate in 40 secondi. La realtà dei fatti è che siamo diventati spettatori passivi di un sistema che non ha più nulla a che vedere con il giornalismo che conoscevamo. Oggi tutto è “ottimizzato”. Non si tratta più di fornire informazioni accurate e complete, ma di produrre contenuti che si adattino al ritmo frenetico e spesso insensato degli algoritmi. L’informazione non è più uno strumento per formare opinioni, ma un prodotto da vendere. E il mercato delle idee è ormai governato da un principe invisibile: l’algoritmo.
Facciamo un esperimento. Hai scrollato il carosello? Hai visto quel video da 40 secondi che ti spiega “tutto quello che devi sapere” sul conflitto arabo-israeliano? Ma davvero pensi che quella sia informazione? Non è nemmeno un riassunto. È un clickbait travestito da analisi. Una palata di superficiali enunciazioni che nascondono la complessità di uno degli scontri più delicati e profondi della nostra storia. Ma ecco il trucco: il pubblico non ha tempo, non ha voglia, non ha interesse. Quindi, meglio accontentarlo con qualcosa che gli faccia dire “ok, lo so” e lo spinga a continuare a scorrere.
Questa è la banalità del male. Perché oggi non ci limitiamo a trattare con superficialità, ma stiamo permettendo alla superficialità di diventare la norma. Il giornalismo che sfidava i potenti, che andava oltre la notizia del momento, è ormai un ricordo sbiadito. Ci siamo adattati a un mondo in cui la sostanza è sacrificata sull’altare della forma. La forma che attira l’attenzione, che fa salire i numeri, che nutre l’algoritmo. Non conta più se quello che raccontiamo è vero, o anche solo verosimile. Conta solo se cattura.
E così, i giornali si sono arresi alle piattaforme social. Le testate che un tempo cercavano di informare il pubblico, oggi si trovano a fare i conti con una realtà in cui il profitto non si misura in copie vendute, ma in like e condivisioni. La notizia, così come la conoscevamo, non esiste più. È stata inghiottita dal circo della viralità, dove a dominare non è l’intelligenza, ma l’emotività di un pubblico che ha bisogno di sentirsi stimolato, sorpreso, forse anche indignato, ma mai veramente informato.
Le piattaforme social hanno fatto il resto. Hanno preso il controllo della narrazione, spingendo sempre più in basso la qualità del dibattito pubblico. Non interessa più che tu capisca le radici di un conflitto o che tu riesca a comporre un quadro completo. L’importante è che tu clicchi su quel titolo accattivante, che tu interagisca con quella gif che ti fa sorridere, che tu faccia parte di una comunità che condivide il tuo punto di vista. Non è più importante sapere, ma essere sempre al passo con l’ultimo trend, con l’ultimo meme, con l’ultimo scandalo.
E intanto, il pensiero umano si è arreso alla finzione. Non vogliamo più analizzare, vogliamo consumare. Non vogliamo conoscere, vogliamo sentirci in sintonia con un mondo che sta velocemente perdendo il suo fondamento razionale. La notizia non è più un atto di comunicazione, ma un atto di intrattenimento. Un contenuto che scivola via senza lasciare traccia, perché tanto, tra qualche minuto, ci sarà già qualcos’altro che attirerà la nostra attenzione. Questo è il nuovo ordine, questo è il futuro. E nel frattempo, i giornalisti si guardano l’uno con l’altro, come vecchi gladiatori, consapevoli che il loro mondo sta morendo, ma incapaci di fermare la catastrofe.
È difficile non sentirsi parte di questa marcia trionfale verso l’abisso. Ogni scroll, ogni click è un passo in più. Siamo tutti complici di un sistema che ci ha insegnato a cercare la rapidità, a cercare l’effimero, a cercare la sensazione, ma ci ha privato di ciò che davvero conta: il pensiero critico, la consapevolezza, la profondità. E la notizia? Non è più la protagonista. È stata sostituita dalla chiacchiera, dalla curiosità superficiale, dal sensazionalismo che attrae, ma che non nutre.
Questa non è solo la morte della notizia. È la morte di un’epoca. E forse, paradossalmente, è la morte anche di un’illusione: quella che l’informazione possa veramente