Storie Arcane

La magica grotta di Calafarina

Le grotte, cavità semibuie, sin dai tempi più antichi, sono state un luogo perfetto per nascondersi dai nemici o per custodire le proprie ricchezze da occhi indiscreti.

Da sempre sono state avvolte da leggende spaventose e da dicerie popolari, per cui nessun buon cristiano avrebbe mai osato oltrepassare la loro soglia.

La Sicilia è ricca di grotte magiche e paurose, per questo sono tantissimi i racconti della tradizione popolare che narrano di mirabolanti tesori nascosti al loro interno che nessuno ha mai ritrovato.

La Grotta di Calafarina, in provincia di Siracusa, è proprio una di queste grotte particolari che cela da secoli nella sua penombra magica, un antico tesoro.

Essa si trova a poca distanza dal borgo marinaro di Marzamemi e con le sue leggende ancora oggi continua ad affascinare visitatori e curiosi.

Ma poiché, la fantasia popolare è ricca e particolarmente creativa, nel corso del tempo, questa grotta è diventata protagonista di ben tre diverse leggende che continuano ad alimentare la sua presenza come un luogo chimerico ed irreale.

La prima leggenda risale al tempo della dominazione araba in Sicilia. Narra che la vedova dell’emiro arabo di Noto, morto in un combattimento contro i Normanni, radunò tutte le sue ricchezze e, insieme al figlio, si diresse verso Marzamemi per salpare verso l’Egitto. Preoccupata che i suoi beni potessero essere rubati dai pirati durante la navigazione, ordinò ai suoi schiavi, di nasconderli all’interno della grotta di Calafarina. E, affinché nessuno di loro parlasse e rivelasse ad altri il nascondiglio, li fece uccidere.

Si mormora tra gli abitanti che le loro anime, rimaste intrappolate nella grotta, nelle notti di febbraio, facciano sentire i loro lamenti disperati e che, nell’oscurità, invochino il nome di chi riuscirà a rompere l’incantesimo.

Anche la seconda leggenda si riallaccia all’epoca araba in Sicilia.

Essa narra che a quel tempo, sopra la grotta di Calafarina, sorgeva un castello arabo che venne conquistato dal generale bizantino Maniace e che poi questi lo donò alla figlia Zoraide affinché ci vivesse con tutte le sue ricchezze.

Però la nuova moglie di Maniace ordì un complotto insieme all’imperatore Costantino per uccidere il marito, il quale poco prima di morire rivelò alla figlia come porre sotto incantesimo il loro tesoro nascosto nella grotta.

Anche Zoraide poco dopo morì in battaglia ma, prima di morire, riuscì a gettare in mare un anello incantato che poi venne mangiato da un pesce che divenne immortale.

Chi riuscirà a catturare questo magico pesce, troverà il tesoro nascosto dentro la grotta.

Invece la terza leggenda racconta di un uomo chiamato Cala Farina il quale, inviato in Sicilia in qualità di viceré dal re Varvalonga, con il tempo riuscì ad accumulare una ingente ricchezza.

Un giorno però il re lo convocò a corte e lui, impensierito, chiese alla figlia di proteggere il suo tesoro anche a costo della vita stessa. Se però non fosse ritornato vivo, anche lei avrebbe dovuto uccidersi.

Passarono i giorni e le settimane ma Cala Farina non fece più ritorno a casa. La figlia capendo che era morto, si tolse la vita onorando la promessa fatta al padre.

Il tesoro rimase per sempre nascosto nella grotta, ma c’è chi narra che l’incantesimo può essere spezzato solo pronunciando le esatte parole che la ragazza sussurrò poco prima di morire.

Tre leggende che aleggiano da secoli intorno alla bellezza naturale della Grotta di Calafarina e che sembrano rivivere non solo nelle parole raccontate dalla tradizione popolare ma anche nei sinistri lamenti delle anime prigioniere degli schiavi egiziani che in molti giurano di aver sentito.

Leggende che si tingono di magia e di mistero negli incantesimi lanciati da Zoraide prima e poi da Cala Farina, suscitando curiosità e ingenua ammirazione per eventi accaduti in un tempo che si perde nella memoria.

Un tempo lontano ma che ancora oggi riesce ad essere vivo e presente nella nostra cultura popolare a testimonianza che, nella nostra isola, storia e mito si fondono l’uno nell’altro in un connubio indissolubile.

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